Rogers si strinse nelle spalle, aspirò una boccata di fumo dalla sigaretta, e si domandò cosa sarebbe potuto accadere. Gli sembrava che la nebbia fosse entrata nel suo corpo attraverso le narici, e si fosse sistemata nella sua gola. Aveva freddo, e si sentiva depresso e deluso. I passeggeri cominciavano ad avviarsi verso l'aereo.
Rogers cercò di captare il rumore della portiera della macchina. Non lo udì, e immaginò che l'uomo avesse voluto attendere che tutti si fossero trovati a bordo, nell'assurda speranza di poter salire e occupare l'ultimo posto, in modo che nessuno, per qualche tempo almeno, avesse potuto notarlo.
Invece l'uomo attese che i passeggeri si fossero disposti intorno al controllore dei biglietti, e poi uscì dall'auto, aspettò che Finchley fosse sceso a sua volta, e richiuse la portiera violentemente.
Rogers girò il capo in quella direzione, e si rese conto che tutti lo avevano imitato.
Per un istante, l'uomo rimase immobile, stringendo la valigetta nella mano guantata, con il cappello calcato sul cranio metallico, il soprabito abbottonato fino al collo, il bavero rialzato. Poi posò la valigetta e si tolse i guanti, sollevando il volto per guardare direttamente gli altri passeggeri. Poi sollevò la mano metallica e si tolse il cappello.
Circondato dal silenzio più assoluto, avanzò a passo rapido, stringendo cappello e valigetta nella mano sana, estraendo di tasca il biglietto con quella metallica. Si fermò d'un tratto, si chinò, e raccolse una borsetta femminile.
«Vi è caduta?» mormorò.
La donna prese la borsetta quasi automaticamente. L'uomo si rivolse a Rogers e, con voce deliberatamente allegra, gli disse:
«Be', è ora di salire a bordo, no?»
Il giovane Lucas arrivò in città in un momento particolare.
L'estate del 1966 non fu piacevole, per New York. Più fredda del previsto, con piogge frequenti. La stagione deluse coloro che abitualmente frequentavano i giardini pubblici, camminando ogni sera per i vialetti, fermandosi poi sulle panchine a osservare gli altri passanti. I vecchi avvizziti che vendevano gelati con i loro carretti a tre ruote, dovettero suonare i loro campanelli molto più forte del solito, per richiamare l'attenzione della gente. Ci furono pochi frequentatori per i concerti all'aperto di Central Park, e i musicisti apparivano nervosi e impacciati.
Ci furono, di quando in quando, delle giornate calde. Perfino settimane, durante le quali il tempo sembrava essersi sistemato definitivamente, e allora l'intera città cercava di assumere il consueto ritmo di vita estivo. Ma poi, ricominciava a piovere. Una pioggerella leggera, monotona, autunnale. Sarebbe stata, dopotutto, un'estate perfettamente normale, a Boston, ma New York era molto diversa. Tutti i nuovayorkesi erano sconcertati: sapevano come dovevano essere le estati, sapevano come ci si sentiva d'estate, e sapevano che quell'anno era tutto diverso.
Il giovane Lucas Martino capì soltanto una cosa: la città sembrava pervasa dal nervosismo e dalla delusione. Suo zio, Lucas senior, che era il fratello maggiore di sua madre, e che si trovava negli Stati Uniti dal 1936, fu lieto di vederlo e di dargli un lavoro, ma egli stava diventando vecchio, e il suo umore era piuttosto mutevole. L' Espresso di Lucas sr. , dove il giovane Lucas doveva lavorare da mezzogiorno alle tre del mattino di tutti i giorni della settimana, meno il lunedì, preparando caffè espresso, e portando le tazze fumanti ai tavoli, fino a qualche tempo prima era stata una delle consuete trattorie italiane, frequentata dagli emigranti italiani che abitavano nei dintorni.
Ma Greenwich Village era cresciuto fino a comprendere l'isolato dove sorgeva la trattoria di Lucas senior, e, di conseguenza, il locale si era modernizzato; adesso si trattava di un caffè alla moda, con quadri alle pareti, tavolini di lusso, musica e un nuovissimo registratore di cassa elettrico. Lucas senior, un vecchio scapolo grosso e robusto, era sempre riuscito a guadagnare danaro a sufficienza. E ora si trovava ad averne più del necessario. Poteva pagare al suo unico nipote uno stipendio maggiore di quanto egli non meritasse, e il danaro che gli avanzava era sufficiente a fargli domandare se non fosse giunto il momento di vivere un po' più liberamente di quanto non avesse fatto fino a quel momento. Ma l'istinto gli diceva che bisognava essere prudenti, e l'esperienza gli insegnava a resistere alle tentazioni. E così, combattuto tra due sentimenti contrastanti, il suo umore ne risentiva negativamente. Provò un vago risentimento nei confronti del caffè, assunse un direttore, e ne rimase lontano per quasi tutta la giornata. Le sue fermate a Washington Square, davanti ai tavolini sui quali molti vecchi giocavano a scacchi con la concentrazione dei professionisti del gioco, divennero sempre più frequenti, e a volte fu sul punto di chiedere di giocare.
Quando il giovane Lucas giunse a New York, fu accolto dallo zio alla Pennsylvania Station. Il vecchio lo abbracciò, lo baciò sulla guancia, e lo guardò a lungo.
«Ah! Lucas! Nipotino bello! E la mamma, il babbo… come stanno?»
«Bene, zio Lucas. Ti salutano. E io sono felice di vederti.»
«Bene. Bene… tu mi piaci, io ti piaccio… andremo d'accordo. Andiamo.» Prese in mano la valigia di Lucas e guidò il ragazzo verso la stazione della sotterranea. «La signora Dormiglione… la mia padrona di casa… ha una camera per te. A buon mercato. Una bella stanza. Ti piacerà. La vecchia signora Dormiglione non si occupa delle pulizie. Dovrai pensarci tu. Ma, in questo modo, non ti darà fastidio. Sei giovane, Lucas… non vogliamo che tu debba essere importunato dai vecchi, di continuo. Devi stare coi giovani. Hai diciott'anni… devi vivere secondo la tua età.» Lucas senior piegò il capo in direzione di una ragazza che stava passando accanto a loro.
Il giovane Lucas non seppe cosa rispondere. Seguì lo zio all'interno del treno, e si attaccò a un sostegno quando il treno partì. Poi, siccome non c'era niente da dire, Lucas decise di tacere. Quando il treno raggiunse la Quarta Strada, lui e suo zio scesero, e si avviarono verso il palazzo a camere ammobiliate nel quale Lucas senior abitava, all'ultimo piano; il ragazzo avrebbe dovuto abitare in una camera nel seminterrato, con un'entrata secondaria. Dopo che il ragazzo fu presentato alla signora Dormiglione, dopo avergli mostrato la camera, e dopo qualche minuto dedicato a una breve rinfrescata, lo zio lo portò nel caffé.
Lungo la strada, Lucas senior si rivolse al giovane Lucas.
«Lucas e Lucas… ci sono troppi Lucas per un solo locale. Matteo ti chiamava con qualche altro nome?»
Lucas ci pensò.
«Be', a volte il babbo mi chiama Tedeschino.»
«Bene! Nel locale, ti chiamerai così. D'accordo?»
«D'accordo.»
E così Lucas fu presentato sotto questo nome al personale dell' Espresso di Lucas senior. Suo zio gli disse di presentarsi al lavoro a mezzogiorno del giorno seguente, gli diede una settimana di paga anticipata, e lo lasciò. Si videro di quando in quando, in seguito, e a volte, quando suo zio desiderava compagnia, domandava al giovane Lucas di pranzare con lui o di ascoltare della musica col giradischi della signora Dormiglione. Ma Lucas senior aveva sistemato le cose in modo che il ragazzo potesse avere una vita indipendente, e libera, pur seguendolo abbastanza da vicino, in modo che il ragazzo non si cacciasse nei guai, Così fu sicuro di avere fatto del suo meglio per il ragazzo, e la sua convinzione era giusta.
Lucas passò così il primo giorno a New York con una solida base sotto ai piedi, ma da solo. Si disse che la città avrebbe potuto essere migliore, ma che l'occasione era buona, e doveva sfruttarla. Si sentì un po' isolato, ma capì che la faccenda dipendeva esclusivamente da lui.
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