Paul Hagbolt guardò il maggiore Buford Humphreys, attraverso il cancello dell'ingresso sulla spiaggia di Vandenberg Due. Margo era accanto a lui, e teneva in braccio Miao. I dieci studiosi di dischi volanti erano riuniti intorno a loro.
I contorni delle loro ombre producevano scintille rosse e gialle sul reticolato d'argento del cancello.
C'erano riflessi dorati e purpurei sulla superficie del Pacifico, alle loro spalle, dove il Vagabondo, ancora alto nel cielo, aveva iniziato una lenta discesa verso il placido oceano. Mostrava ancora la faccia che Rama Joan aveva chiamato mandala, benché ora la macchia occidentale gialla stesse crescendo, e quella orientale si stesse restringendo, mano a mano che la rotazione del pianeta continuava. Il globo inondava di uno strano crepuscolo il paesaggio della costa, e rendeva il cielo un grande lago grigio, nel quale brillavano solo cinque o sei stelle.
La jeep che aveva portato il maggiore Humphreys dalla sommità di Vandenberg Due brontolava ancora, dietro di loro, e rischiarava la sabbia con la luce dei fari inutilmente accesi. Uno dei due soldati che avevano accompagnato il maggiore sedeva al volante, l'altro era in piedi al suo fianco.
Il soldato pesantemente armato che montava di sentinella al cancello era in piedi, fuori del reticolato, nell'oscura cavità della porta della torretta. I suoi occhi erano fissi sul maggiore. Il fucile mitragliatore era nell'ombra, tranne un anello purpureo che si rifletteva sulla canna.
Il maggiore Humphreys aveva gli occhi pensosi e la bocca all'ingiù di un maestro di scuola, ma in quel momento l'espressione dominante era la stessa della sentinella… tensione che mascherava la paura.
Paul, con il viso gentile e bonario indurito un poco dalla responsabilità che avvertiva, disse:
«Speravo che venisse lei, maggiore. Questo ci risparmia un sacco di fastidi.»
«Lei è fortunato, perché non sono venuto per il suo caso,» rispose freddamente il maggiore Humphreys, e poi aggiunse, d'un fiato, «Alcuni altri della sezione di Los Angeles ce l'hanno fatta, prima che l'Autostrada Costiera saltasse. Speriamo che gli altri arrivino prendendo la Collinare, o le altre strade montane. Oppure li trasporteremo qui in elicottero… specialmente quelli del Caltech. Pasadena è andata, con la seconda scossa.» Si controllò subito, aggrottando le ciglia e scuotendo il capo, come se fosse irritato per avere detto impulsivamente tanto. Poi continuò ad alta voce, dominando il mormorio di esclamazioni che veniva dagli studiosi dei dischi volanti. «Bene, Paul, non ho tutta la notte a disposizione… anzi, non ho nemmeno un minuto da perdere. Perché lei è venuto dalla spiaggia? Riconosco la signorina Gelhorn, naturalmente…» fece un breve cenno del capo a Margo, «Ma chi sono gli altri?» Il suo sguardo studiò gli studiosi di dischi volanti, fermandosi dubbioso sulla gran barba bruna di Ross Hunter.
Paul esitò.
Doc, che aveva l'aspetto di un moderno Socrate dal viso lungo, l'enorme testa calva e gli spessi occhiali, si schiarì la voce e si preparò a rischiare tutto, dicendo: «Siamo dei collaboratori civili della sezione del signor Hagbolt.» Sospettava, infatti, che fosse uno dei momenti in cui una grossa bugia era necessaria.
Ma Doc aveva esitato una frazione di secondo più del dovuto. L'Omino, che era in prima fila, tra lui e Wojtowicz, fissò il maggiore con sguardo benigno. Un sorriso fiducioso apparve sotto i baffi cespugliosi, mentre egli annunciava, con una precisione da avvocato:
«Io sono il segretario, e siamo tutti membri di pieno diritto, dell'Associazione degli Studiosi di Meteore e Oggetti Volanti Non Identificati della California Meridionale. Stavamo tenendo un simposio, in occasione dell'eclisse, nella casa sulla spiaggia dei Rogers, dopo avere ottenuto il debito permesso dagli esecutori testamentari del patrimonio Rogers, e… benché questo non fosse strettamente necessario… dopo avere ottenuto l'approvazione del comando al quale lei stesso appartiene.»
Doc emise un lamento percepibile.
Il maggiore Humphreys parve trasformarsi in una statua di ghiaccio.
«Maniaci dei dischi volanti?»
«Proprio così,» rispose soavemente l'Omino. «Ma la prego… non maniaci… studiosi.» Aveva il braccio sinistro teso, nel tentativo di trattenere Ragnarok che, nervoso più che mai, minacciava di spezzare il guinzaglio.
«Studiosi,» fece eco il maggiore Humphreys, dubbioso, squadrandoli ben bene come se, pensò Paul, volesse chiedere a tutti di mostrare i loro libretti universitari.
Paul si affrettò a dire:
«Le loro auto sono rimaste sepolte, insieme alla mia, in uno smottamento di terreno, maggiore. La signorina Gelhorn e io ben difficilmente saremmo riusciti a giungere qui, senza il loro aiuto. Ora non hanno alcun posto in cui andare. Una persona del gruppo ha avuto un attacco di cuore, e un'altra è una bambina.»
Lo sguardo del maggiore Humphreys esitò, fissando Rama Joan, che era in piedi alle spalle di Hunter. Lei si fece avanti, e si mostrò… con i capelli rossi lunghi fino alle spalle, e l'abito da sera maschile con la cravatta bianca… poi sorrise gravemente, e fece un breve inchino. Ann, con le lunghe trecce rossicce, si fece avanti, accanto alla madre. Avevano l'aspetto di bizzarra bellezza e di insolente crudeltà di un'illustrazione di Aubrey Beardsley del Libro Giallo.
«Io sono la bambina,» spiegò freddamente Ann.
«Vedo,» disse il maggiore Humphreys, facendo un breve cenno d'assenso, e voltandosi. «Mi ascolti, Paul,» disse in fretta. «Sono molto spiacente, le assicuro, ma Vandenberg Due non può assolutamente accogliere dei profughi di un terremoto. Questo problema è già stato esaminato, discusso e una decisione è stata presa. Abbiamo un lavoro d'importanza vitale da svolgere, e un'emergenza può soltanto rendere più rigide le regole di sicurezza.»
«Ehi,» intervenne Wojtowicz, «lei stava dicendo che i terremoti sono stati violenti, nella contea di Los Angeles?»
«Gli incendi li può vedere da solo, no?» disse seccamente il maggiore Humphreys. «No, non posso rispondere a nessuna domanda. Passi alla torretta, Paul. E anche la signorina Gelhorn… sola.»
«Ma queste persone non sono dei comuni profughi, maggiore,» protestò Paul. «Saranno utilissimi. Hanno già compiuto alcune interessantissime deduzioni sul Vagabondo.»
Nel momento in cui pronunciò l'ultima parola, il globo giallo e purpureo, dimenticato per un momento, dominò nuovamente i loro pensieri.
Le dita del maggiore Humphreys si strinsero sulla rete, ed egli avvicinò il viso a quello di Paul. Con una voce nella quale sospetto, curiosità e paura formavano una bizzarra mescolanza, domandò:
«Vagabondo? Dove avete trovato questo nome? Cosa ne sapete di quel… corpo?»
«Corpo» lo interruppe Doc, in tono esasperato. «Anche un idiota vedrebbe che si tratta di un pianeta, ormai. In questo momento, la Luna è in orbita dietro di esso.»
«Non siamo responsabili della sua presenza, se è questo che sta pensando,» disse in tono leggero Rama Joan. «Non l'abbiamo evocato noi.»
«Sì, e non sappiamo neppure dove quel… corpo fosse sepolto prima,» aggiunse ironicamente Doc. «Anche se alcuni di noi pensano a un cimitero nell'iperspazio.»
Hunter gli diede un calcetto nello stinco, senza farsi vedere.
«'Vagabondo' è semplicemente un nome che gli abbiamo dato, perché significa 'pianeta',» intervenne, rivolgendosi al maggiore con tono accomodante.
«Vagabondo può anche andare, benché il vero nome sia Ispan,» La voce di Bacchetto risuonò cavernosa dal punto in cui il suo viso angoloso, con gli occhi e le guance scavate immerse nell'ombra, si levava dietro le spalle del Barba. Aggiunse, «Mentre forse i Saggi Imperiali già stanno per sbarcare a Washington.»
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