Fritz Leiber - Novilunio

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Perduta in uno spazio brulicante di stelle, sola in una nera giungla di vuoto cosmico, la Terra ha sognato per migliaia d'anni la propria solitudine. Come in una grande casa abitata da vecchi abitudinari, nella quale nessuno viene mai a rendere visita, così gli abitanti della Terra pensano che nessuno possa venirli a trovare da quel nero abisso scintillante di punti luminosi che splende sopra le nostre teste, di notte.
Come la Luna è stata una fedele compagna della Terra nella sua solitudine celeste, così le stelle sono state soltanto immagini remote, indistinte, piccole fiamme sospese nel cielo, inaccessibili e straniere e incorporee. Ma un giorno qualche viaggiatore, lasciando la strada lontana, potrebbe venire a bussare alla porta della vecchia casa; un giorno qualcosa potrebbe avvicinarsi, strisciando, nella giungla nera degli spazi cosmici. Quel giorno potrebbe essere vicino, in un cosmo dove le forze del tempo e del caso si muovono secondo schemi che la mente umana non riesce neppure a intuire. E cosa accadrebbe, se uno dei punti luminosi nel cielo… una delle stelle lontane… apparisse d'un tratto enorme, come un globo sanguigno e minaccioso, nei cieli notturni della Terra? Se la fedele compagna delnostro pianeta, la Luna, fosse risucchiata e cancellata dal cielo? Inizierebbe allora una lunga, infinita notte di novilunio. Un grande cielo color ardesia, dove le stelle brillano rade e fievoli, sopra coste battute da gigantesche maree, tra grandi cataclismi ed eventi ancor più bizzarri, una notte di novilunio che opera strani prodigi sulla mente e sul cuore degli uomini, facendo emergere tutto ciò che di migliore, e di peggiore, di nobile, e di volgare, costituisce l'essenza della natura umana. In questa notte di novilunio, forse il genere umano comincerebbe a conoscere se stesso…
Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1965.

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A oriente il cielo era rosato, là dove il sole, che indugiava dietro le quinte dell'orizzonte prima di fare il suo ingresso in scena, aveva sciacquato il cielo da tutta la polvere di stelle, portando su Manhattan il chiarore del mattino. Ma nessuno guardava da quella parte, né dava alcun segno che quello fosse il momento di andare a lavorare, o di andare a letto per cercare di dormire un poco. Le guglie della bassa Manhattan erano una città fiabesca di castelli incantati a sud, ma nessuno guardava là.

Arab, Pepe e 'High' avevano rinunciato già da qualche tempo ad aprirsi una strada tra la folla che, in silenzio e a bocca aperta, fissava il cielo dai marciapiedi, e camminavano al centro della strada, dove non si muoveva nessuna automobile, e il numero di persone a testa in su era minore, ed era più facile aprirsi un varco. A Pepe sembrava che dal pianeta, davanti a lui, piovesse una polvere che congelava tutti i motori e quasi tutte le persone, con una specie di raggio a effetto combinato, paralizzatore e di bloccaggio dei motori, degno dei fumetti. Si fece il segno della Croce.

'High' Bundy mormorò:

«Il vecchio uomo della Luna adesso entra davvero in lei, è la volta buona! Le gira davanti, decide che gli piace, e poi whoosh! »

«Forse si nasconde perché ha paura. Come noi.» disse Arab.

«Paura di che cosa?» domandò 'High'.

«Della fine del mondo,» disse Pepe Martinez, con voce sommessa e lamentosa.

Solo il bordo del Vagabondo appariva ormai sopra i grattacieli, che sporgevano dal suolo e s'innalzavano sempre più rapidamente verso il cielo, mano a mano che i fratelli di viaggio si avvicinavano.

«Venite!» disse improvvisamente Arab, afferrando il braccio di Pepe e quello di 'High', e stringendo con forza. «Il mondo finisce, io parto. Andiamo via da tutti questi moribondi dagli occhi di gufo, che aspettano le trombe del Giudizio e lo scontro. Un pianeta si rompe, noi ne prendiamo un altro. Venite, prima che se ne vada!… Prenderemo la nostra stella al fiume, e saliremo a bordo!»

I tre cominciarono a correre.

Paul, Margo e i loro nuovi amici erano seduti sulla sabbia, a quindici metri dal cancello buio, quando la seconda scossa fece sussultare la spiaggia. Non fece nulla, se non farli ballare un poco, e loro non potevano fare nulla per evitarla, così si limitarono a respirare più forte, e a ballare con la spiaggia. Il soldato uscì di corsa dalla torretta, con il fucile mitragliatore spianato, si fermò, e dopo un minuto rientrò, camminando sempre all'indietro. Non rispose, quando Doc lo chiamò allegramente, dicendo:

«Ehi, non è stata una bella scossa?»

Cinque minuti dopo, Ann disse:

«Mammina, adesso ho fame davvero.»

«Anch'io,» disse il giovane Harry McHeath.

L'Omino, che stava diligentemente ammansendo un Ragnarok visibilmente turbato, disse:

«Ah, questa è buffa. Avremmo servito del caffè e delle tartine, dopo l'eclisse. Il caffè era in quattro grossi termos… lo so, perché l'ho portato io. Dev'essere ancora tutto sulla spiaggia.»

Wanda si mise a sedere, sulla branda, malgrado le proteste della donna magra.

«Cos'è tutto questo chiarore rosso, lungo la costa?» domandò, nervosamente.

Hunter fece per risponderle, non senza una sfumatura di sarcasmo, che si trattava semplicemente della luce del nuovo pianeta, quando vide che doveva esserci realmente un'altra sorgente di luce… un chiarore livido e sanguigno, come il rosseggiare di una fornace, che l'altra luce aveva mascherato.

«Potrebbe essere un incendio della sterpaglia,» suggerì con aria cupa Wojtowicz.

La donna magra disse:

«Oh, santo cielo, proprio adesso doveva accadere. Come se non avessimo guai a sufficienza.»

Hunter strinse le labbra. Non volle dire ad alta voce quello che pensava: «Oppure potrebbe trattarsi di Los Angeles che brucia.»

L'Omino richiamò la loro attenzione sulla volta celeste, dove l'intruso color porpora e giallo ora nascondeva completamente la Luna. Egli disse:

«Dovremmo avere un nome per indicare il nuovo pianeta. Sapete, è buffo, un momento per me è la cosa più importante di tutto il creato, ma un minuto dopo è solo una macchia nel cielo, che posso coprire tendendo la mano.»

«Cosa sigifica in realtà la parola 'pianeta', signor Brecht?» domandò Ann.

«'Vagabondo', cara,» le disse Rama Joan.

Bacchetto pensò: Ispan è noto all'uomo sotto mille nomi, eppure è sempre Ispan.

Harry McHeath, che aveva scoperto da poco la mitologia scandinava e gli Edda, pensò: Divoratore della Terra sarebbe un buon nome… ma troppo minaccioso per la gente di oggi.

Margo pensò: Potrebbero chiamarlo Don , e si morse il labbro, e strinse Miao così forte che la gatta protestò; delle lacrime filtrarono tra le ciglia socchiuse della ragazza.

«Vagabondo è il nome giusto,» disse l'Omino.

Il segno giallo, che per Bacchetto era l'Uovo Dischiuso, e per Ann era la Cruna d'Ago, in quel momento toccava il bordo sinistro del Vagabondo, da come essi lo vedevano. Le chiazze polari gialle rimanevano, e una nuova chiazza gialla centrale stava lentamente apparendo sul bordo destro. In tutto, quattro macchie gialle ai margini; a nord, a sud, a est e a ovest.

L'Omino estrasse il suo blocco d'appunti, e cominciò a tracciare uno schizzo.

TRE ORE La parte purpurea forma una grossa X disse Wojtowicz La croce - фото 4
TRE ORE

«La parte purpurea forma una grossa X,» disse Wojtowicz.

«La croce inclinata,» disse Bacchetto, parlando finalmente a voce alta. «Il disco dentato. Il circolo diviso in quattro.»

«È un mandala,» disse Rama Joan.

«Oh, già,» disse Wojtowicz. «Professore, lei ce ne parlava prima,» si stava rivolgendo a Hunter. «Simboli di qualcosa di psichico.»

«Unità psichica,» disse l'uomo barbuto.

«Unità psichica,» ripeté Wojtowicz. «Questo va bene,» aggiunse, in tono pratico. «Ne avremo molto bisogno.»

«E per questo ti ringraziamo,» mormorò Rama Joan.

Due grandi occhi gialli apparvero alla sommità della gobba della grande strada centrale di Vandenberg Due. Si udì un lontano ruggito. Poi la jeep iniziò la discesa verso il cancello, e i fari illuminarono cespugli e terriccio secco.

«Tutti in piedi,» disse Paul. «Adesso avremo un po' d'azione.»

Don Merriam poté vedere una grande, asimmetrica clessidra di stelle nello schermo del Baba Yaga. Alcune stelle erano lievemente offuscate dai punti nei quali lo schermo aveva subito l'impatto della polvere lunare, durante il viaggio al centro del satellite.

La massa nera che entrava nella clessidra da poppa era la Luna, ora in eclissi totale, a causa dell'enorme corpo celeste apparso da così poco tempo.

Il Vagabondo, che pareva penetrare nella clessidra di stelle da prua, non era completamente nero… Don poteva vedere sette macchie che emanavano la bizzarra fosforescenza verdognola, ciascuna apparentemente di 300 miglia; le più lontane erano ellissi, le più vicine erano circoli quasi perfetti. Erano informi, e non presentavano lineamenti di sorta, benché a volte qualcosa in esse desse l'idea di un pozzo fosforescente, o di un imbuto. Del loro significato, Don riuscì a supporre soltanto che fossero pallide macchie verdi sul ventre nero di un ragno.

In compagnia della luna, il Baba Yaga stava orbitando intorno al Vagabondo, ma guadagnava lentamente nei confronti della Luna, perché la piccola astronave, più vicina al Vagabondo, seguiva un'orbita più veloce.

Accese il radar. Il segnale di ritorno dalla Luna mostrò una superficie più irregolare di quanto crateri e montagne, da soli, avrebbero potuto giustificare, e perfino in cinque, brevi minuti i contorni erano grandemente cambiati; la marea che frantumava la Luna stava continuando.

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