Greg Bear - L'ultima fase

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L'ultima fase: краткое содержание, описание и аннотация

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Vergil Ulam, brillante ricercatore dei Genetron Labs, sta lavorando segretamente ad un esperimento che promette risultati sensazionali, e cioè la produzione di nuclei intelligenti di materia cellulare, capaci di evolversi e di apprendere con straordinaria rapidità. Ma quando Ulam infrange le norme di sicurezza del laboratorio e viene licenziato, si rifiuta di distruggere il frutto delle sue ricerche, come gli è stato ordinato, e decide invece di iniettarsi nel sangue le colonie cellulari, e diventare così egli stesso la cavia di un nuovo straordinario esperimento. Ma sarà il primo di un incredibile processo di mutazione e trasformazione, i cui limiti non sono facilmente immaginabili, perché infatti è subito chiaro che questa forma di intelligenza virale può assorbire e riplasmare qualsiasi materia vivente. Un’epidemia assolutamente inattaccabile, un vero e proprio universo di miliardi di cellule senzienti in frenetica espansione, che lentamente inghiottono l’America del Nord, trasformandola in uno scenario “alieno” che suscita al tempo stesso orrore e meraviglia. Ma si può parlare di catastrofe? O non è piuttosto un nuovo gradino nella scala dell’evoluzione? E che ne sarà dell’umanità, letteralmente trasfigurata da questi microscopici organismi che rappresentano una nuova dimensione di ciò che si può concepire come “vita”?
Nominato per il premio Nebula in 1985.
Nominato per i premi Hugo, Campbell e BSFA in 1976.

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— Mi è stato detto che una volta i giovani gentiluomini della Repubblica di Weimar lo consideravano un divertimento molto costoso. Una rara esperienza nei sofisticati bordelli di Berlino.

— Frieda, devo dire che lei mi fa rimanere sbalordito.

— Sì. Ora per favore si giri, dottore.

Lui si girò supino e chiuse gli occhi.

XXIV

Le candele erano allineate sul davanzale della finestra del grande atrio al pianterreno, di fronte alla piazza. Suzy si fece indietro ed esaminò il suo lavoro. Il giorno prima s’era aperta la strada fra vasti brandelli del lenzuolo marroncino, scossi dal vento, penetrando in un negozio dove vendevano candele. Usando un altro carrello, rubato in un piccolo supermarket armeno di South Street, aveva riportato uno scatolone di candele votive al World Trade Center, dopo aver stabilito la sua residenza al piano terra della torre nord. Dal basso aveva ancora visto la luce verde alla sommità dell’altissimo edificio.

Con tutte quelle candele forse un sottomarino o un aeroplano l’avrebbero trovata. E un altro impulso la spingeva ad accenderle, ma era così sciocco che nel pensarci ridacchiava. Era determinata a rispondere al fiume. Così accese l’una dopo l’altra tutte le candele, e sospirò nel vedere com’erano insignificanti le loro fiammelle stagliate contro l’immensa tenebra che avevano di fronte.

Nei giorni successivi ne dispose altre in ampie spirali sul pavimento, nello spazio che aumentava a mano a mano che le sue scorte diminuivano. La sera le accendeva passando dall’una all’altra, in ginocchio sulla moquette spessa, sorridendo alle loro piccole luci e sentendosi vagamente in colpa per la cera che colava dappertutto.

Al tramonto del terzo giorno cenò con una confezione di cibo sottovuoto M M, e alla luce di cinque candele lesse una copia di Lady’s Home Journal rubata a un’edicola. Leggere non era mai stato il suo forte, ed era lenta, inoltre c’erano molte parole che non capiva. Le pagine della rivista, con la loro abbondanza di cifre e di colonne scritte fittamente sotto le foto degli abiti e dei cibi, avevano comunque su di lei un piacevole effetto soporifero.

Distesa supina su un tappeto, accanto al carrello del cibo e a quello delle candele, si chiese se si sarebbe mai sposata — sempreché ci fossero ancora uomini da sposare — e se avrebbe mai avuto un casa da riempire con gli oggetti che esaminava con occhi assonnati. — Probabilmente no — si disse. — Adesso sono davvero una zitella. — Non aveva mai avuto molti appuntamenti, e anche a Cary non aveva concesso di avere molto da lei. Nella classe speciale delle scuole medie cui era stata iscritta aveva goduto fama d’essere simpatica… e stupida. Ma nessun ragazzo di quella classe era stato troppo sveglio, in specie per quel che riguardava i rapporti con le compagne di sesso diverso.

— Be’, io sono ancora qui — disse, fissando l’alto soffitto oscuro. — E sono ancora stupida.

Si alzò, scese nell’elegante seminterrato con una candela e in uno degli uffici trovò una copia di Cosmopolitan da leggere. Risalita nell’atrio dormicchiò per un poco, si ridestò con un sussulto quando la rivista le sfuggì dalle mani e girò fra le candele accese soffiando su ognuna di esse nel caso che avesse voluto usarle anche l’indomani. Poi tornò a stendersi sul tappeto, con una sola candela accesa accanto a sé e la giacca di Kenneth arrotolata sotto la testa, e pensò a quant’era enorme l’edificio che la sovrastava. Non ricordava se le due torri gemelle erano ancora le più alte del mondo. Le sembrava di no. Ciascuna era come un transatlantico puntato verticalmente verso il cielo… anzi, più alta di un transatlantico, come diceva la pubblicità per i turisti.

Sarebbe stato divertente esplorare tutti gli uffici e i negozi del seminterrato, ma anche insonnolita com’era Suzy sapeva quel che invece avrebbe dovuto fare. Voleva arrampicarsi per le scale — dovunque fossero quelle scale — fino alla sommità, per scoprire cos’era quella luce e guardare il panorama di New York. Da lassù avrebbe potuto vedere tutta la città e buona parte dello stato, vedere cos’era accaduto e cosa stava accadendo. A quell’altezza la radio avrebbe forse ricevuto più stazioni. Inoltre sapeva che sulla cima c’era un ristorante, e questo significava altro cibo. E c’era un bar. D’improvviso desiderò di potersi ubriacare, una cosa che aveva tentato di fare solo altre due volte in vita sua.

Non sarebbe stato facile. Sapeva che per salire quelle scale poteva occorrerle un giorno o forse più.

Uscì dal sonno con un sussulto. Qualcosa aveva prodotto un rumore nelle vicinanze, un suono prolungato e frusciante. All’esterno l’alba stava spandendo la sua grigia luce diffusa. Nella piazza c’erano dei movimenti: oggetti che rotolavano mollemente, come grumi di peluria sotto un letto o cespugli divelti. Sbatté le palpebre e si sfregò gli occhi, alzandosi in ginocchio per vedere meglio.

Enormi foglie scure ondeggiavano nel vento, talora precipitando al suolo, talaltra attraversando l’intera estensione della piazza, con i loro orli irregolari e sbrindellati che sventolavano attorno. I pezzi che cadevano sull’asfalto vi aderivano e si estendevano, allargando stralci che crescevano a vista d’occhio. Stavano invadendo la piazza adesso, con l’arrivo del giorno, ricoprendo finestre e porte, panchine, muri e marciapiedi con uno strato bianco-grigiastro o marroncino.

— Non potrò più uscire in strada — disse fra sé. — Uh… mmh!

Mangiò un paio di brioches e accese la radio sperando di ricevere ancora la stazione inglese dei giorni precedenti. Dopo aver girato la manopola sentì lo speaker, oltre un crepitio di scariche. La sua voce era stanca, come quella di un uomo che parlasse da solo.

— … e dire che l’economia mondiale avrà un collasso è quasi un eufemismo. Chi può dire quante delle risorse del pianeta (sia minerarie sia in forma di merci, documenti bancari e capitali) giacciano ora inaccessibili nel Nord America? Capisco che molti si preoccupino più della loro sopravvivenza e si domandino se il morbo attraverserà l’oceano, o se non sia già in incubazione fra noi, ma… — Scariche statiche sopraffecero il segnale per alcuni minuti. Suzy restò seduta a gambe incociate davanti alla radio, in paziente attesa. Non capiva molto, ma quella voce era confortante. — … perciò, come economista, mi preoccupo di cosa accadrà al termine della crisi. Se questa avrà un termine. Ma io non rinuncio all’ottimismo. Dio, nella Sua saggezza, avrà dei motivi per fare questo. Sì. Dunque non abbiamo più avuto comunicazioni dal Nord America, con l’eccezione della nota stazione meteorologica di Afognak Island. I grandi manovratori della finanza sono morti, allora. Gli USA sono sempre stati il principale bastione del capitale privato. Oggi la nazione che domina il pianeta è la Russia, sia militarmente sia finanziariamente. Cosa possiamo prevedere?

Suzy spense la radio. Chiacchiere. Lei aveva bisogno di sapere che cos’era successo in casa sua.

— Perché? — chiese ad alta voce. Guardò i rotoli marroncini scivolare su e giù per la piazza, ricoprendo pian piano l’asfalto. — Perché non uccidermi e farla finita con tutto? — Allargò di colpo le braccia in gesto melodrammatico e dalla bocca le sfuggì una risata. Rise finché col fiato mozzo e la gola dolorante capì, spaventata, che non riusciva a smetterla. Con le mani sulla bocca corse alla fontana in mezzo all’atrio e bevve a garganella, il volto immerso nell’acqua limpida e ferma.

Ciò che la preoccupava realmente, rifletté infine, era il pensiero dell’arrampicata fino in cima al grattacielo. Avrebbe avuto bisogno di chiavi? Sarebbe arrivata fino a metà altezza per scoprire che qualcosa le impediva di proseguire?

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