Dan Simmons - Ilium

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Attenzione! Thomas Hockenberry è stato un insegnante universitario di storia, con una vita assolutamente normale. Per quale motivo, allora, si trova adesso ad assistere alla Guerra di Troia, al servizio degli dèi dell’antica Grecia? E perché gli stessi dèi sembrano padroneggiare una tecnologia avanzatissima, con la quale cercano di alterare il corso degli eventi e di uccidersi a vicenda? Intanto, in un futuro lontano migliaia di anni, su una Terra dove i pochi abitanti rimasti hanno come sola occupazione il divertimento, solo un uomo ricorda ancora l’antica arte della lettura e la sfrutta cercando di risolvere l’enigma più grande di tutti: chi ha costruito le macchine che governano il pianeta? Dall’autore che ha cambiato la fantascienza, la sua saga più intensa e appassionante, dove il gusto per la ricostruzione storica si mescola con i grandi scenari di un futuro apocalittico e affascinante.
Vincitore del premio Locus per il miglior romanzo di fantascienza in 2004.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 2004.

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Harman le toccò la schiena, preoccupato; ma quando lei lo allontanò con un gesto, lasciò il riparo e si diresse verso la carcassa.

«Resta lì!» gli ordinò Odisseo.

Harman esitò, perplesso. «Se ne sono andati tutti… Ti servirà aiuto per portare…»

Odisseo alzò la mano, palma in fuori, per bloccare Harman. «Non è la preda che volevo. È solo… Non muovetevi!»

Harman e Ada si girarono: da ovest si avvicinavano a grande velocità due sagome bipedi, bianche e nere e rosse, più rapidamente di quanto gli erbivori non fossero corsi via. Ada si sentì mancare il fiato e vide Harman impietrire.

Le due creature corsero a più di novanta chilometri all’ora verso la sanguinante carcassa dell’erbivoro, poi frenarono e si fermarono in una piccola nube di polvere. Erano gli animali visti dal sonie, notò Ada, quelli che Savi aveva chiamato Uccelli Terrore; ma quelle che dall’alto erano sembrate creature divertenti, simili a struzzi che camminavano impettiti come goffi pulcini, da vicino mettevano davvero paura.

I due Uccelli Terrore si erano fermati a cinque passi dalla carcassa e ora fissavano Odisseo. Erano alti quasi tre metri, avevano corpo muscoloso coperto di corte piume bianche, piume nere sul vestigio di ali, possenti zampe grosse come il busto di Ada. Il loro becco era lungo almeno un metro e venti, malignamente ricurvo, rosso intorno alla bocca, come tuffato nel sangue, e controllato da robusti muscoli mascellari che risaltavano sotto la decina di lunghe penne rosse che sporgevano dalla parte posteriore del cranio. I loro occhi erano di un terribile, malevolo giallo, cerchiati di blu e posti sotto la fronte da sauro. In aggiunta al becco da predatore, avevano robusti artigli, lunghi come l’avambraccio di Ada, e un artiglio dall’aspetto anche più pericoloso alla piega del vestigio d’ala.

Ada capì subito che quei mostri non erano semplici saprofagi, ma terribili predatori.

Odisseo si alzò, lancia insanguinata nella destra e seconda lancia nell’altra mano. I due uccelli ritrassero di scatto la testa all’unisono, si scambiarono un’occhiata e si divìsero, come ben sincronizzati ballerini, per attaccare Odisseo da due lati. Ada sentì il lezzo di carogna dei due mostri. Non dubitò che quelle potenti zampe glabre potessero spingere ciascuno di quei mostri da una tonnellata in balzi di sei metri e più verso la preda (Odisseo, nel caso attuale), con gli artigli protesi e pronti a lacerare. Era anche evidente che i due uccidevano con un perfetto lavoro di squadra.

Odisseo non aspettò che prendessero posizione e attaccassero. Con grazia micidiale scagliò la prima lancia, dritto al bersaglio, nel petto muscoloso dell’Uccello Terrore alla sua sinistra, poi si girò velocemente ad affrontare il secondo. Il primo emise un terribile stridio che agghiacciò Ada, imitato un attimo dopo dal ruggito di Odisseo, che scavalcò con un salto la carcassa dell’erbivoro, passò dalla sinistra alla destra la seconda lancia e vibrò la punta di bronzo in un affondo verso l’occhio destro del secondo mostro.

Il primo barcollò all’indietro, artigliò la lancia che gli sporgeva dal petto e spezzò di netto la robusta asta di quercia. Il secondo evitò il colpo di Odisseo, muovendo di scatto la testa aH’indietro, con la rapidità di un cobra. Chiaramente sorpreso d’essere attaccato da quel piccolo bipede spelacchiato, spiccò due balzi che lo portarono indietro di tre metri e cercò di artigliare la lancia.

Odisseo era costretto a tirare rapidamente indietro la lancia dopo ogni colpo di punta, per non farsela strappare di mano. Continuando a gridare, arretrò, parve inciampare sulla carcassa insanguinata e cadde, rotolando sul fianco.

L’Uccello Terrore ancora illeso vide l’occasione e la colse al volo, spiccando un balzo di due metri e ricadendo su Odisseo, con gli artigli protesi.

Mentre ancora rotolava, con movimento fluido Odisseo si rialzò sul ginocchio e piantò nel terreno la base della lancia, un attimo prima che l’Uccello Terrore vi calasse sopra con tutto il peso; la punta di bronzo trapassò il petto muscoloso del mostro, fino al cuore. Odisseo rotolò di nuovo di lato, per non farsi schiacciare dalla gigantesca creatura che piombava senza vita dove lui si trovava un attimo prima.

«Attento!» gridò Harman e si mise a correre verso il luogo dello scontro.

Il primo Uccello Terrore, perdendo sangue dalla ferita e con la lancia spezzata ancora conficcata nel petto, si precipitava su Odisseo per assalirlo alle spalle. Spinse avanti la testa, sui due metri di collo piumato e sinuoso, e chiuse di scatto il becco dove Odisseo si sarebbe trovato se fosse arretrato. Ma Odisseo si era gettato avanti, anziché indietro, rotolando di nuovo, a mani vuote, stavolta; l’Uccello Terrore lo sorpassò di slancio e si girò con la stessa incredibile rapidità degli erbivori dalle zampe bizzarramente articolate.

«Ehi!» gridò Harman e tirò un sasso all’uccello gigante.

L’animale alzò di scatto la testa, batté le palpebre a tanta impertinenza e balzò in direzione di Harman, che scivolò sul terreno, disse: «Merda!» e tornò precipitosamente indietro. A un tratto capì di non potere battere in velocità il mostro; si girò, a gambe larghe, pugni alzati, pronto a sostenere a mani nude la carica dell’Uccello Terrore.

Ada si guardò intorno, cercò un sasso, un bastone, un’arma qualsiasi. Non ne vide a portata di mano. Balzò in piedi.

Odisseo alzò lo scudo e, usando come pedana elastica la carcassa dell’erbivoro, saltò in groppa all’Uccello Terrore, sguainando nello stesso tempo la corta spada.

L’uccello continuò a correre verso Harman e Ada, ma ora storceva indietro il collo e cercava di mordere, con l’enorme becco che picchiava contro lo scudo rotondo di Odisseo. Ogni volta che le robuste fauci colpivano, Odisseo era spinto indietro, ma stringeva fermamente le gambe intorno al corpo dell’uccello, a tre metri da terra, e per quanto si piegasse all’indietro, come un cavaliere acrobata nel dramma del lino, non cadde. Poi, quando l’Uccello Terrore girò la testa, puntando gli occhi gialli su Harman, Odisseo si sporse avanti e passò la spada alla base del collo dell’uccello gigante, tagliandogli la giugulare.

Allora saltò giù, atterrò in piedi e corse a fianco di Harman, mentre l’Uccello Terrore crollava e rimaneva immobile a meno di tre metri da loro. Il getto di sangue salì a un metro e mezzo, poi diminuì e scomparve, mentre il grosso cuore smetteva di battere.

Ansimante, coperto di sangue dell’erbivoro e dell’Uccello Terrore, la spada insanguinata e lo scudo tenuti ancora in alto, Odisseo rise sotto i baffi e disse: «Ne volevo solo uno per cena, ma ci spartiremo con gli altri il secondo».

Ada si avvicinò a Harman e gli toccò il braccio. Harman non si girò. Aveva gli occhi sbarrati.

Odisseo si diresse verso l’uccello più vicino, gli tagliò la testa e gli passò sul petto il coltello da scuoiatore, pelando via carne e pelle e piume, con la facilità con cui qualcuno aiuterebbe a togliere un pesante cappotto. «Mi serviranno altre borse di plastica» disse a Harman e Ada. «Ce ne sono alcune nel vano di poppa del sonie. Basta dire alla macchina: "Vano aperto" e quello si aprirà. Sbrigatevi, però.»

Harman, che si era incamminato verso il sonie, si fermò. «Sbrigarci? E perché?»

Odisseo si asciugò il sangue dalla barba col dorso della mano e rise della grossa. «Questi uccelli fiutano il sangue fino a dieci leghe di distanza; e nelle pianure, al crepuscolo, le coppie di cacciatori sono centinaia.»

Harman si girò e corse a prendere le borse di plastica.

Ada notò che Savi e Daeman erano già ubriachi prima che la cena iniziasse.

Il pasto fu servito in una saletta di vetro attaccata al fianco del supporto più alto della torre sud. Savi riscaldava pasti precotti, in una normale bolla a microonde, ma Ada era affascinata: non aveva mai visto un pasto preparato esclusivamente da un essere umano. L’assenza di servitori nelle aree residenziali del Golden Gate diventava ancora più evidente, durante i pasti.

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