Dan Simmons - Ilium

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Ilium: краткое содержание, описание и аннотация

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Attenzione! Thomas Hockenberry è stato un insegnante universitario di storia, con una vita assolutamente normale. Per quale motivo, allora, si trova adesso ad assistere alla Guerra di Troia, al servizio degli dèi dell’antica Grecia? E perché gli stessi dèi sembrano padroneggiare una tecnologia avanzatissima, con la quale cercano di alterare il corso degli eventi e di uccidersi a vicenda? Intanto, in un futuro lontano migliaia di anni, su una Terra dove i pochi abitanti rimasti hanno come sola occupazione il divertimento, solo un uomo ricorda ancora l’antica arte della lettura e la sfrutta cercando di risolvere l’enigma più grande di tutti: chi ha costruito le macchine che governano il pianeta? Dall’autore che ha cambiato la fantascienza, la sua saga più intensa e appassionante, dove il gusto per la ricostruzione storica si mescola con i grandi scenari di un futuro apocalittico e affascinante.
Vincitore del premio Locus per il miglior romanzo di fantascienza in 2004.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 2004.

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Certo che lo trovavo. Ma non sono tipo da dirvi la differenza. Ero uno studioso di scarsa importanza e (nelle fantasticherie nella mia vita perduta) forse un romanziere. Ci vorrebbe un poeta più bravo di Omero, più bravo di Dante, più bravo di Shakespeare, per rendere giustizia alla beltà di Elena.

Sono uscito dalla stanza da bagno, nel fresco di una terrazza vuota davanti alla camera da letto, e ho toccato il sottile bracciale che mi permette di morfizzarmi. Il quadro di comando del bracciale brillava solo quando era in funzione, ma sotto il dito parlava con simboli e immagini. Nel bracciale erano immagazzinati i dati morfici di tutti gli uomini che avevo registrato negli scorsi nove anni. In teoria mi sarei potuto morfizzare in una donna, ma non avevo mai avuto motivo di farlo e di certo ne avevo ancora meno quella sera.

Dovete capire che la morfizzazione non dà nuova forma a molecole e acciaio e carne e ossa. Non so però come funzioni, anche se cinque o sei anni fa uno scoliaste del ventunesimo secolo, vissuto brevemente, un certo Hayakawa, ha provato a spiegarmi la sua teoria. Lui insisteva sulla conservazione della materia e dell’energia (qualsiasi cosa voglia dire), ma non sono stato molto attento.

Evidentemente la morfizzazione funziona a livello quantico. Come tutto il resto, con questi dèi. Hayakawa mi invitò a immaginare tutti gli esseri umani qui esistenti, compresi lui e me, come onde di probabilità stazionarie. A Evello quantico, disse, gli esseri umani (e ogni cosa nell’universo fisico) esistono da istante a istante come una sorta di fronte d’onda in collasso: molecole, memoria, vecchie cicatrici, emozioni, baffi, alito che sa di birra, tutto. Gli dèi ci hanno dato wafer che registrano onde di probabilità e ci permettono di interrompere e immagazzinare le originali e, per breve tempo, quando ci morfizziamo, di mescolare le nostre a quelle immagazzinate, di portare con noi in un nuovo corpo i nostri ricordi e la nostra volontà. Non so come mai tutto ciò non violasse l’amata (da Hayakawa) legge della conservazione della massa e dell’energia, ma lui insisteva nel dire che non la violava.

Quest’usurpare la forma e le azioni di un altro è il motivo per cui noi scoliasti quasi sempre ci morfizziamo in figure minori della guerra di Troia; semplici comparse, come l’innominata guardia del corpo la cui forma avevo assunto stasera. Se fossimo diventati, che so, Odisseo o Ettore o Achille o Agamennone, avremmo avuto il giusto aspetto fisico, ma non avremmo cambiato il nostro comportamento (molto inferiore a quello, eroico, del personaggio reale) e ogni nostro minuto trascorso in quella forma avrebbe scostato sempre più gli eventi effettivi da quella realtà che, nel suo dispiegarsi, correva parallelamente all’ Iliade .

Non ho idea di dove finisse la persona reale, quando ne prendevamo la forma. Forse la sua onda di probabilità si limitava a galleggiare nei dintorni, a livello quantico, senza collassare in quella che chiamiamo realtà, finché non avevamo terminato di usare la sua forma e la sua voce. Forse l’onda di probabilità era immagazzinata nel wafer che portiamo o in qualche macchina o bottiglia di dio su Olimpo. Non lo so e non me ne frega molto. Una volta chiesi a Hayakawa, poco prima che facesse arrabbiare la Musa e scomparisse per sempre, se potevamo usare il bracciale di morfizzazione per cambiarci in uno degli dèi. Hayakawa si era messo a ridere e aveva detto: "Gli dèi proteggono le loro onde di probabilità, Hockenberry. Non proverei a fare casini con loro".

Ora ho messo in funzione il bracciale e ho sfogliato le centinaia di uomini che vi ho registrato fino a trovare quello che volevo. Paride! È probabile che la Musa avrebbe posto fine alla mia esistenza, se avesse mai saputo che avevo registrato Paride per eventuale uso futuro. Gli scoliasti non interferiscono.

"Dov’è Paride in questo momento?" mi sono chiesto. Tenendo il dito sull’icona di attivazione, ho passato in rassegna gli eventi del pomeriggio e della sera, il confronto fra Ettore, Paride ed Elena, l’incontro fra Ettore, sua moglie e suo figlio sulle mura… erano avvenuti verso la fine del Libro sesto dell’ Iliade. Giusto?

Non riuscivo a pensare. Il petto mi doleva di malinconia. La testa mi girava, come se avessi passato tutto il pomeriggio a bere vino.

Sì, la fine del Libro sesto. Ettore lascia Andromaca e Paride lo raggiunge prima che esca dalla città… o poco prima. Com’era, nella mia traduzione preferita? "Neppure Paride indugiava nel suo alto palazzo." Il nuovo marito di Elena ha indossato la corazza, come promesso, ed è corso a raggiungere Ettore e insieme hanno varcato le porte Scee per riprendere la battaglia. Ricordo di avere scritto un intervento per un seminario di studiosi, nel quale avevo analizzato la metafora di Omero, Paride che corre come un destriero liberatosi della cavezza, neri capelli sciolti sulle spalle come criniera, ansioso di battersi, bla, bla, bla.

"Dov’è Paride adesso?" penso. "Ora che si è fatto buio? Cosa mi sono perso, mentre giravo per le vie e fissavo le luci di Elena e i seni di Elena?"

Quella scena era nel Libro settimo e ho sempre pensato che il Libro settimo dell’ Iliade fosse confuso e abborracciato. Concludeva la lunga giornata iniziata nel Libro secondo, con Paride che uccide l’acheo Menestio e con Ettore che squarcia la gola a Eione. E tanti saluti ai suoi abbracci di marito e di padre. Poi c’erano altri combattimenti ed Ettore si era impegnato in singolar tenzone contro Aiace il Grande e…

"Cosa? Non molto. Aiace era sul punto di vincere, era guerriero più abile di Ettore, ma gli dèi avevano cominciato di nuovo a litigare sul risultato, c’era stato un mucchio di discorsi di greci e troiani, un mucchio di vanterie da una parte e dall’altra, ed Ettore e Aiace si erano scambiati la corazza e comportati da vecchi amici e poi avevano convenuto di fare una tregua per raccogliere i cadaveri da mettere sulle pire e…

"Dove diavolo è Paride stanotte? Rimane con Ettore e con l’esercito per controllare la tregua e fare il discorso ai funerali? O agisce più da Paride e torna al letto di Elena?"

«Chi se ne frega» ho detto. Ho premuto l’icona di attivazione sul bracciale e ho assunto la forma di Paride.

Ero sempre invisibile, con addosso l’Elmo di Ade e la bardatura di levitazione e tutto il resto.

Mi sono tolto tutto, tranne il bracciale e il piccolo medaglione TQ, e ho nascosto l’armamentario dietro un tripode nell’angolo del balcone. Adesso ero semplicemente Paride in armatura da guerra. Mi sono tolto la corazza e ho lasciato sul balcone anche quella, diventando così Paride in una semplice e morbida veste. Se la Musa fosse planata su di me adesso, non avrei avuto difese, tranne la possibilità di telequantarmi lontano.

Ho scostato le tende del balcone e sono rientrato nella zona bagno.

Elena ha alzato gli occhi, sorpresa. «Mio signore?» ha detto e le ho visto negli occhi prima la sfida e poi quella che, abbassato lo sguardo, poteva essere un’espressione di scusa e di sottomissione per le dure parole di poco prima. «Potete andare» ha detto, brusca, alle serve e quelle hanno subito ubbidito, lasciando sul marmo impronte di piedi bagnati.

Elena di Troia ha risalito lentamente i gradini del bagno, verso di me, con i capelli asciutti, a parte i riccioli bagnati sulle scapole e sul seno, la testa ancora china, ma gli occhi che guardavano in su verso di me, ora, da dietro le ciglia. «Cosa vuoi da me, marito mio?»

Ho dovuto provarci due volte, prima di far funzionare nel giusto modo la voce. Finalmente, con la voce di Paride, ho detto: «Vieni a letto».

19

GOLDEN GATE, A MACHU PICCHU

Camminarono sul Golden Gate, passando da un globulo verde all’altro, scendendo scale mobili bloccate e attraversando passaggi racchiusi da vetrate verdi che collegavano i giganteschi cavi di sostegno del piano stradale in basso. Odisseo camminava con loro.

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