Non credo in Dio con la "D" maiuscola e, malgrado la loro indubbia consistenza fisica, non credo negli dèi con la "d" minuscola. Non come forze reali nell’universo. Ma credo nella dea puttana Ironia. È sempre in mezzo. Governa uomini e dèi e Dio insieme.
E ha un perfido senso dell’umorismo.
Come Romeo disteso a fianco di Giulietta., ascolto il tuono muoversi verso di noi da sudovest, echeggiare nella corte, mentre le prime folate muovono le tende delle terrazze su entrambi i lati della grande camera da letto. Elena si rigira, ma non si sveglia. Non ancora.
Chiudo gli occhi e fingo di dormire qualche minuto ancora. Mi sento gli occhi irritati, come se avessi sabbia sotto le palpebre. Comincio a diventare troppo vecchio per stare sveglio a lungo, soprattutto dopo avere fatto l’amore per tre volte con la più bella e sensuale donna del mondo.
Lasciati Elena e Paride, abbiamo seguito Ettore fino a casa. L’eroe che in vita sua non era quasi mai scappato da un combattimento ora scappava dalla tentazione offertagli da Elena: correva a casa da sua moglie Andromaca e dal loro figlioletto di un anno.
Nei nove anni trascorsi a osservare Ilio e a ciondolare nella città non avevo mai parlato con la moglie di Ettore, ma conoscevo la sua storia. Tutti a Ilio la conoscevano.
Andromaca era bella (non paragonabile a Elena o alle dee, è vero, ma bella in maniera più che umana) e anche di sangue reale. Proveniva da Tebe, città dell’area troiana nota come Cilicia, e suo padre era il sovrano locale, Eezione, ammirato da molti, rispettato da tutti. Il loro piccolo palazzo si trovava sulle pendici inferiori del monte Placo, in una foresta famosa per la qualità del legname; le grandi porte Scee di Ilio erano fatte di legname cilicio, proprio come le torri d’assedio su ruote, dietro le linee greche, a meno di tre chilometri da lì.
Achille aveva ucciso Eezione, padre di Andromaca, in combattimento, quando il piè veloce aveva condotto i suoi uomini contro le città troiane più lontane, poco dopo lo sbarco dei greci. Andromaca aveva sette fratelli, non guerrieri, ma pastori e bovari; Achille li aveva trovati nei campi, aveva dato loro la caccia nelle montagne sorto la foresta e li aveva uccisi tutti, quello stesso giorno. Era chiaro che non voleva lasciare vivo nessun maschio della famiglia reale cilicia. Quella notte aveva ordinato ai suoi uomini di rivestire nella bronzea corazza Eezione e ne aveva bruciato con rispetto il cadavere, erigendo poi un tumulo sulle ceneri del vecchio re. Ma i cadaveri dei fratelli di Andromaca erano rimasti abbandonati nei campi e nei boschi, cibo per i lupi.
Pur carico del bottino di una decina di città, Achille aveva ancora preteso un riscatto da re per la moglie di Eezione, madre di Andromaca, e l’aveva ottenuto. Ilio era ancora ricca, a quel tempo, e in grado di contrattare con gli invasori.
La madre di Andromaca era tornata in Cilicia, nelle sale del vuoto palazzo reale e lì, secondo la dolorosa storia raccontata di frequente da Andromaca, "fu uccisa da Artemide in una grandinata di frecce".
Be’, più o meno.
Artemide, figlia di Zeus e di Latona e sorella di Apollo, è la dea della caccia (solo ieri l’ho vista su Olimpo) ma anche la dea che presiede alle nascite. In un certo passo dell’ Iliade un infuriato Apollo inveisce contro la sorella, di fronte a Zeus loro padre: "Ti lascia uccidere madri in travaglio" grida e si riferisce al fatto che Artemide, oltre a fare da divina levatrice per donne mortali, dispensa anche morte nel parto.
La madre di Andromaca morì nove mesi dopo essere stata presa in ostaggio da Achille quello stesso giorno in cui l’eroe uccise Eezione, padre di Andromaca. Morì di parto, nel tentativo di mettere al mondo il figlio di chi le aveva ucciso il marito.
Non venite a dirmi che la dea puttana Ironia non governa il mondo.
Andromaca e il figlioletto non erano in casa. Ettore ha guardato in tutte le stanze e noi quattro lancieri siamo rimasti a sorvegliare l’ingresso senza interferire. L’eroe era chiaramente preoccupato e ha mostrato più ansia di quanta non gli abbia mai visto sul campo di battaglia. Tornato alla porta, ha fermato due serve che rientravano. «Dov’è Andromaca? È andata al tempio di Atena insieme con le altre nobildonne? A casa di mia sorella? A trovare le mogli di mio fratello?»
«La nostra padrona è andata alle mura, signore» ha risposto la più anziana delle due. «Tutte le donne troiane hanno sentito parlare del terribile combattimento di oggi, dell’ira di Diomede e del cambiamento della fortuna per i figli di Ilio. Tua moglie è andata alla torre della grande porta per vedere ciò che riesce a vedere, per sapere se il suo signore e marito è ancora vivo. È andata di corsa come una pazza, padrone, seguita dalla bambinaia con tuo figlio.»
Abbiamo faticato a tenere dietro a Ettore che correva alle porte Scee. Solo a un caseggiato dalle mura mi sono reso conto che era meglio non restare con lui. L’incontro di Ettore e Andromaca sui bastioni era troppo importante. Moltissimi dèi vi avrebbero assistito. Forse anche la mia Musa sarebbe stata lì, continuando a darmi la caccia.
A qualche centinaio di metri dalle porte sono rimasto più indietro degli altri lancieri e mi sono mescolato alla folla in una via laterale. Ora il buio era più fitto, l’aria si era rinfrescata, ma le eccelse torri di Ilio erano ancora illuminate di rosso dal sole al tramonto.
Ho scelto una delle torri e ho salito la scala a chiocciola interna, ancora morfizzato in un anonimo lanciere. Un soldato di nessuna importanza.
La torre era costruita grosso modo come un minareto… anche se l’Islam era ancora qualche millennio nel futuro; ho messo piede sulla stretta balconata circolare e ho visto che non c’erano altri. Avevo il sole di fronte, perciò ho polarizzato i filtri e regolato la messa a fuoco delle lenti a contatto forniteci dagli dèi, così avevo una buona visuale dell’incontro sulle mura.
Andromaca è scesa di corsa dal bastione e si è gettata al collo del marito, con i piedi che giravano a mezz’aria quando lui l’ha sollevata stringendola al petto. L’elmo di lucido bronzo ha colto l’intensa luce della sera. Altri soldati e mogli in apprensione sulle mura si sono allontanati per lasciare una certa intimità al loro condottiero e alla moglie. Solo la bambinaia di Andromaca è rimasta lì vicino, reggendo in braccio il loro figlioletto di un anno.
Avrei potuto ascoltare la loro conversazione, col microfono direzionale, ma ho preferito guardare il movimento delle loro labbra, studiare le loro espressioni. Dopo il senso di sollievo nel vedere il marito guerriero vivo e illeso, Andromaca ha corrugato la fronte e si è messa a parlare in fretta, con tono pressante. Ricordavo, da Omero, il succo di ciò che diceva: il racconto delle sue sventure, della sua solitudine dopo che Achille le aveva ucciso il padre e i fratelli. Potevo davvero leggerle sulle labbra le parole: «Tu ora sei mio padre, Ettore, e anche la mia nobile madre. Sei ora per me un fratello, amore mio. E sei anche mio marito, giovane e caldo e virile e vivo! Abbi pietà di me, marito mio! Non abbandonarmi. Non uscire di nuovo nella piana di Ilio a morire e a far trascinare il tuo cadavere dietro un cocchio acheo fino a strappare la carne dalle ossa. Resta qui. Combatti qui! Proteggi la nostra città combattendo qui sui bastioni!».
«Non posso» ha detto Ettore, con l’elmo che mandava lampi al lento scuotere della testa.
«Sì che puoi!» ha ribattuto Andromaca, col viso distorto dall’amore e dalla paura. «Devi! Porta il tuo esercito vicino a dove cresce quel fico, là, lo vedi? È il punto dove la tua amata Ilio è più aperta al loro attacco. Tre volte gli argivi hanno provato in quel punto, nella speranza d’invadere la città, e tre volte i loro migliori guerrieri hanno aperto la strada: i due Aiaci, il Grande e il Piccolo, e Idomeneo e il terribile Diomede. Forse un indovino ha mostrato loro la nostra debolezza in quel punto. Combatti qui, marito mio! Proteggici qui!»
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