Questa città… Ilio, Troia, polis di Priamo, Pergamo… è bellissima di notte.
Le mura, alte più di trenta metri, sono illuminate da torce, arrossate da bracieri posti sui bastioni, accarezzate dai riflessi delle centinaia di falò dell’accampamento dell’esercito troiano nella piana in basso. Troia è una città d’alte torri, molte illuminate fino a tarda notte, finestre calde di luce, corti risplendenti, terrazze e balconi scaldati da candele e pozzetti di braci e ancora torce. Le vie di ILio sono larghe e lastricate con cura (una volta provai, senza riuscirci, a infilare la lama del coltello fra le lastre) e in molti casi rischiarate da vani di porte, da torce in staffe a muro e dai fuochi di cottura delle migliaia e migliaia di guerrieri alleati non troiani e delle loro famiglie che ora vivono qui.
Anche le ombre a Ilio sono vive. Ragazzi e ragazze delle classi inferiori fanno l’amore in vicoli bui e su terrazze in ombra. Cani ben pasciuti e gatti eternamente furbi scivolano di ombra in ombra, da uno stretto vicolo a un cortile, percorrono a lunghe falcate i bordi delie ampie vie principali dove frutta e verdure, pesce e carne, caduti dai carri del mercato del giorno, sono il loro cibo; e poi si ritirano di nuovo nell’ombra di stretti vicoli e nel buio sotto i viadotti.
I residenti di Ilio non temono di patire la fame né di morire di sete. Al primo allarme per l’avvicinarsi degli achei, molte settimane prima che le nere navi giungessero, più di nove anni fa, centinaia di bovini e migliaia di pecore erano stati portati in città, svuotando i terreni agricoli per mille chilometri quadrati intorno alle mura. Altri arrivi di bestiame avvengono regolarmente e gran parte dei bovini entra in città malgrado i timidi tentativi d’impedirlo dei greci. Ortaggi e frutta giungono facilmente a Ilio, portati dagli stessi furbi contadini e mercanti che vendono cibo agli achei.
Troia fu costruita in questa posizione geografica, molti secoli fa, soprattutto a causa dell’enorme falda acquifera nel sottosuolo (la città ha quattro grandi e profondi pozzi sempre pieni d’acqua potabile) ma Priamo, per essere più sicuro, fece deviare un affluente del fiume Simoenta, a nord di Ilio, in canali facilmente difendibili e in viadotti sotterranei nella città vera e propria. Per rifornirsi di acqua potabile, i greci assediatiti hanno più difficoltà degli abitanti di Ilio assediati.
La popolazione di Ilio (senza dubbio la maggiore città della Terra di questo periodo) è più che raddoppiata dall’inizio della guerra. Per primi si sono rifugiati in città, in cerca di protezione, i contadini e i pastori e altri abitanti ex peripatetici della piana intorno a Ilio. Dopo di loro sono giunti gli eserciti alleati dei troiani, non solo i guerrieri, ma spesso anche mogli e figli e anziani e cani e bestiame.
Questi alleati comprendono vari gruppi: i "troiani" non di Troia, i dardani e altri di città più piccole e di zone remote molto lontane da Ilio, compresi i guerrieri fedeli a Troia provenienti dai piedi del monte Ida e dalla Licia nel lontano Nord. Ci sono anche ora i guerrieri di Adrestea e di altre zone molte leghe a oriente di Troia, oltre ai pelasgi giunti da Larissa nel meridione.
Dall’Europa sono giunti i traci, i peoni e i ciconi. Dalle spiagge meridionali del mar Nero sono giunti gli alizoni (che abitano lungo il fiume Halis e sono imparentati con i chalibi lavoratori dei metalli dell’antica leggenda). In città si possono udire canti di bivacco e imprecazioni di paflagoni e di enetoi, popoli del lontano Nord lungo il mar Nero, che potrebbero essere lontani antenati dei futuri veneti. Dall’Asia Minore centrosettentrionale sono giunti gli irsuti misi… Ennomo e Naste sono due misi che ho conosciuto e che, secondo Omero, saranno uccisi da Achille nella prossima battaglia del fiume, un massacro così terribile che non solo lo Scamandro diventerà rosso per mesi, ma sarà anche sbarrato dai cadaveri di tutti i guerrieri che Achille vi massacrerà, compresi quelli, non reclamati, di Naste e di Ennomo.
Sono pure qui, riconoscibili dai capelli arruffati, dall’armatura di bronzo dal disegno insolito e dal puzzo, i frigi, i meoni, i cari e i lici.
La città è piena e meravigliosamente viva e rauca per tutte le ore del giorno, tranne due o tre. È la più raffinata, la più grandiosa, la più bella città del mondo… in quest’epoca o nella mia epoca o in qualsiasi epoca nella storia dell’uomo.
Penso queste cose, mentre sono disteso, nudo, al fianco di Elena di Troia, nel suo letto, con lenzuola che odorano di sesso e di noi due, con la fresca brezza che entra a gonfiare le tendine. Da qualche parte il tuono romba, una tempesta si avvicina. Elena si muove e mormora il mio nome… «Hock-en-bear-eeee…»
Sono giunto in città nel tardo pomeriggio, dopo essermi telequantato giù dall’ospedale degli dèi su Olimpo, sapendo che la Musa mi cercava per uccidermi e che, se oggi non m’avesse trovato lei, domani m’avrebbe trovato Afrodite, non appena fosse uscita dalla vasca di risanamento.
Avevo pensato di mescolarmi ai guerrieri che guardavano gli ultimi episodi delle lunghe battaglie di oggi (da qualche parte, là fuori, nel sole del tardo pomeriggio e nel polverone, Diomede ancora faceva strage di troiani), ma quando ho visto Ettore tornare in città, con una scorta ridotta rispetto al solito, mi sono morfizzato in uno dei guerrieri che conoscevo (Dolone, un lanciere e un fidato esploratore, che presto sarà ucciso da Odisseo e Diomede) e l’ho seguito. Il prode Ettore ha varcato le porte Scee, le porte principali di Ilio, fatte di robuste tavole di quercia, alte come dieci uomini della corporatura di Aiace, ed è stato subito assediato da mogli e figlie di Troia che chiedevano notizie di mariti e figli e fratelli e amanti.
Ho guardato Ettore dall’alto cimiero rosso muoversi tra la folla di donne, testa e spalle che parevano nuotare sul mare di facce supplici, e infine fermarsi a parlare alla folla sempre più numerosa. «Pregate gli dèi, donne di Troia» fu tutto quel che disse, prima di girare sui tacchi e dirigersi al palazzo di Priamo. Alcuni suoi guerrieri hanno incrociato le lunghe lance e coperto la sua ritirata, trattenendo la massa di gementi donne troiane. Sono rimasto con gli ultimi quattro della sua guardia e in silenzio ho accompagnato Ettore nel magnifico palazzo di Priamo, di ben cinquanta stanze, come disse Omero, e sul davanti portici e colonnati di marmo liscio.
Ci siamo tenuti indietro, contro la parete (le ombre della sera già strisciavano nelle corti e nelle camere da letto) e siamo rimasti di guardia, mentre Ettore si incontrava brevemente con la madre.
«Niente vino, madre» ha detto, allontanando con un gesto il calice che lei aveva ordinato a un servo di portargli. «Non ora. Sono troppo stanco. Il vino mi porterebbe via quel poco di forza e di coraggio che mi resta per i prossimi scontri di stasera. E poi ho riguardo a libare a Zeus il rosso vino, lordo come sono.»
«Figlio mio» ha detto la madre di Ettore, una donna che ho visto agire con calore e bontà d’animo nel corso degli anni «perché hai lasciato il combattimento, se non per pregare gli dèi?»
«Sei tu a dover pregare» ha replicato Ettore, seduto sul divano, con l’elmo a fianco. Era davvero sporco, faccia insudiciata da strati di polvere e di sangue mutato dal sudore in un fango rossiccio, e sedeva come solo un guerriero davvero esausto può sedere, braccia sulle ginocchia, testa china, voce stanca. «Va’ nel tempio di Atena, raduna le più nobili fra le nobilissime donne di Ilio e prendi la veste più bella che riesci a trovare nel palazzo di Priamo. Allargala sulle ginocchia della statua d’oro di Atena e prometti di sacrificare nel suo tempio dodici giovenche di un anno. Può darsi che si muova a compassione della città e delle mogli dei troiani e dei teneri figli e così voglia tenere alla larga dalla sacra Ilio il Titide Diomede che provoca, da gagliardo, il terrore e la fuga.»
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