«Cosa c’è?» disse Ada, mentre mangiavano, seduti nell’ombra del giardino. «Laggiù è accaduto qualcosa.»
Harman aprì bocca per rispondere, esitò, attese che un servitore si allontanasse a mezz’aria. «Vi siete mai chiesti» disse poi «se quel servitore è lo stesso che avete appena visto da un’altra parte? Sono tutti uguali.»
«Che assurdità» commentò Daeman. Fra un morso e l’altro a una coscia di pollo, si leccava le dita e sorseggiava il vino freddo.
«Forse» disse Harman.
«Cos’hai visto laggiù nel buio?» chiese Hannah. «I graffi sulla roccia?»
«Erano numeri» rispose Harman.
Daeman rise. «No, non lo erano. Conosco i numeri. Tutti noi li conosciamo. Quelli non erano numeri.»
«Non assomigliavano ai segni sui libri» disse Ada. «Le parole.»
«No» intervenne Harman. «Penso che fosse il tipo di scrittura manuale della gente. Le parole erano scritte con lettere arrotondate e legate, in parte erose dal vento — sospetto che siano state scritte durante l’ultimo Burning Man — ma sono riuscito lo stesso a leggerle.»
«Parole!» Daeman rise. «Un attimo fa hai detto che erano numeri.»
«Cosa dicevano?» domandò Hannah.
Harman si guardò intorno di nuovo. «Otto-otto-quattro-nove» rispose a bassa voce.
Ada scosse la testa. «Pare un codice di nodo fax, ma è troppo alto. Non ho mai sentito un codice che iniziasse con due otto.»
«Non ce ne sono» confermò Daeman.
Harman si strinse nelle spalle. «Può darsi. Ma appena avremo finito, andrò a fare una prova qui al nodo fax centrale.»
Ada guardò l’orizzonte lontano. Sopra di loro erano visibili gli anelli, due strisce lattee che si incrociavano nel cielo azzurro chiaro. «Per questo hai tenuto le quattro termotute, anziché deporle nel bidone dei rifiuti come ci avevano detto i servitori?»
«Non mi ero accorto che l’avevi notato» disse Harman. Sogghignò e bevve un po’ di vino. «Ho cercato di non farmi vedere. Non sono tanto bravo a fare le cose di nascosto. Comunque i servitori si erano già faxati via.»
Come evocato, un servitore si avvicinò a riempire i bicchieri. La piccola macchina sferica si teneva Ebrata nel vuoto al di là del muretto, duecentocinquanta metri sopra il terreno giallo rossastro, mentre con le delicate braccia manipolatrici versava vino nei loro bicchieri.
Se Harman non avesse insistito perché indossassero la termotuta sotto gli abiti normali prima di faxarsi, forse sarebbero morti.
«Buon Dio» esclamò Daeman. «Dove siamo? Cosa succede?»
Non c’era il solito padiglione dei nodi fax. Il codice 8849 li aveva portati direttamente nel buio e nel caos. Sotto i piedi c’era ghiaccio. A ogni passo nel buio assoluto, i quattro sbattevano contro oggetti spigolosi. Perfino il portale fax era scomparso alle loro spalle.
«Ada!» chiamò Harman. «La luce!» I cappucci permettevano di vedere anche di notte, ma in quel momento nessuno di loro li aveva in testa e comunque pareva che in quel buio assoluto non ci fosse la minima traccia luminosa da amplificare.
«Sto cercando di accenderla… ecco!» La piccola torcia elettrica che Ada si era fatta prestare da Tobi riversò nella notte un sottile raggio luminoso che mostrò una porta spalancata e incrostata di ghiaccio, ghiaccioli lunghi un metro, onde di ghiaccio sotto i piedi. Ada mosse il raggio luminoso e tre facce coperte di termotuta colorata la fissarono, chiaramente sorprese.
«Non c’è padiglione» disse ad alta voce Harman.
«Ogni nodo fax ha un padiglione» ribatté Daeman. «Non può esistere un portale senza un padiglione. Giusto?»
«Nei vecchi tempi era diverso» disse Harman. «C’erano migliaia di nodi fax privati.»
«Ma di cosa parla, costui?» gridò Daeman. «Andiamo via di qui!»
Ada aveva girato il raggio luminoso nell’ambiente dove si erano faxati. Non c’era portale. Si trovavano in una piccola stanza con pareti, scaffalature e banconi, tutti coperti di ghiaccio. A differenza dei normali padiglioni, al centro della stanza non c’era il piedistallo con la piastra dei codici dei nodi fax. Ciò significava che non c’era via d’uscita. Nessuna possibilità di tornare indietro. Milioni di scaglie di ghiaccio danzavano nel raggio della torcia. Al di là delle pareti, il vento ululava.
«Daeman, ciò che hai detto poco fa sembra vero, adesso» disse Harman.
«Eh? Cos’ho detto poco fa?»
«Che siamo in trappola. Come topi.»
Daeman roteò gli occhi. Il raggio della torcia si spostò sulle pareti incrostate di ghiaccio. Il vento ululò più forte.
«Pare il vento della Valle Secca» disse Hannah. «Ma là non c’erano edifici. Giusto?»
«Non credo» disse Harman. «Ma sospetto che ci troviamo ancora in Antartide.»
«Dove?» chiese Daeman, battendo i denti. «Cos’è an… antartiche?»
«Quel luogo gelido dov’eravamo stamattina» spiegò Ada. Varcò il vano della porta, lasciando gli altri nel buio per un momento. I tre si affrettarono a raggiungerla e si accalcarono dietro di lei come paperotti dietro mamma papera. «Qui c’è un corridoio» disse Ada. «Attenti a dove mettete i piedi. Sul pavimento c’è un palmo di ghiaccio e neve.»
Il corridoio ghiacciato conduceva a una cucina ghiacciata, la cucina ghiacciata si apriva su un soggiorno ghiacciato con divani rovesciati cosparsi di neve. Ada passò il raggio luminoso su una parete con una finestra dalla tripla incrostazione di ghiaccio.
«Credo di sapere dove siamo» mormorò Harman.
«Lascia perdere dove siamo» disse Hannah. «Come ne usciamo?»
«Un momento» fece Ada e abbassò sul pavimento il raggio luminoso, in modo che tutti furono illuminati dalla luce riflessa. «Voglio sapere dove ci troviamo, secondo te.»
«Si dice che la donna che cerco, l’Ebrea Errante, avesse una casa, un domi, sul monte Erebus, un vulcano dell’Antartide.»
«Nella Valle Secca?» chiese Daeman. Continuava a girare la testa e guardare il buio alle loro spalle. «Dio, sono congelato!»
Hannah si mosse sul ghiaccio, verso di lui, con tale velocità che Daeman arretrò barcollando e rischiò di scivolare. «Sciocco, prova a tirarti su il cappuccio della termotuta. Anche noi. Se no, rischiamo il congelamento. Inoltre perdiamo un mucchio di calore corporeo dal cuoio capelluto.» Diede l’esempio e si tirò sulla testa il cappuccio.
Tutti si affrettarono a imitarla.
«Così va meglio» disse Harman. «Ora un poco ci vedo. E sento anche meglio, gli auricolari della tuta soffocano l’ululato del vento.»
«Prima dicevi che quella donna ha una casa in un vulcano. Vicino alla Valle Secca? Tanto vicino che possiamo raggiungere il padiglione fax nella valle?»
Harman allargò le braccia in un gesto d’impotenza. «Non lo so. Mi ero chiesto se aveva fatto così la comparsa al Burning Man, limitandosi ad andarci a piedi, ma non conosco la geografia. I due posti potrebbero distare più di mille chilometri.»
Daeman guardò la buia finestra incrostata di ghiaccio e i vetri infrangibili scossi dal vento. «Là fuori non ci vado» disse in tono deciso. «Per nessuna ragione al mondo.»
«Una volta tanto sono d’accordo con Daeman» ammise Hannah.
«Non ci capisco niente» disse Ada. «Hai detto che quella donna visse molto tempo fa, vite intere, secoli e secoli. Come potrebbe…»
«Non lo so» la interruppe Harman. Prese da Ada la torcia e si avviò nel corridoio successivo. Fu bloccato da quelle che parevano sbarre bianche. Mentre gli altri guardavano, tornò nel soggiorno dove la neve si era accumulata, prese il più pesante pezzo di mobilio che riuscì a staccare dal ghiaccio (un pesante tavolo, le cui gambe si spezzarono quando lui lo liberò dal ghiaccio) e tornò indietro a rompere i ghiaccioli, uno dopo l’altro, facendosi strada nel corridoio pieno di neve.
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