Dan Simmons - Ilium

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Ilium: краткое содержание, описание и аннотация

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Attenzione! Thomas Hockenberry è stato un insegnante universitario di storia, con una vita assolutamente normale. Per quale motivo, allora, si trova adesso ad assistere alla Guerra di Troia, al servizio degli dèi dell’antica Grecia? E perché gli stessi dèi sembrano padroneggiare una tecnologia avanzatissima, con la quale cercano di alterare il corso degli eventi e di uccidersi a vicenda? Intanto, in un futuro lontano migliaia di anni, su una Terra dove i pochi abitanti rimasti hanno come sola occupazione il divertimento, solo un uomo ricorda ancora l’antica arte della lettura e la sfrutta cercando di risolvere l’enigma più grande di tutti: chi ha costruito le macchine che governano il pianeta? Dall’autore che ha cambiato la fantascienza, la sua saga più intensa e appassionante, dove il gusto per la ricostruzione storica si mescola con i grandi scenari di un futuro apocalittico e affascinante.
Vincitore del premio Locus per il miglior romanzo di fantascienza in 2004.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 2004.

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«Si permette la nascita di un altro bambino» terminò per lei Savi. «Sì. L’ho notato, nell’ultimo millennio circa. Ma non siete un milione. Siete molto meno.»

«Perché i post dovrebbero mentirci?» chiese Daeman.

Savi inarcò il sopracciglio. «I post. Ah, sì… i post. Hai parlato di recente con un post-umano, Daeman Uhr

Di sicuro Daeman considerò retorica la domanda: non rispose.

«Io ho parlato con i post-umani» disse con calma Savi.

A quell’ammissione, gli altri rimasero in silenzio. Aspettarono. Una simile idea era, almeno per Harman e per Ada, sconvolgente.

«Ma accadde molto tempo fa» soggiunse Savi, a voce così bassa che gli altri si sporsero per sentire meglio. «Molto, moltissimo tempo fa. Prima del fax finale.» I suoi occhi, di un sorprendente azzurro l’attimo prima, ora parevano rannuvolati, perplessi.

Harman scosse la testa. «Io sono quello che udì la storia su di te, l’Ebrea Errante, l’ultima dell’Età Perduta… ma non capisco. Come hai potuto vivere oltre la quinta Ventina?»

Ada batté le palpebre alla villania di Harman, ma Savi parve non badarci. «Prima di tutto» disse «questo periodo di vita di cento anni è un’aggiunta relativamente recente alla razza umana, miei cari. È una cosa che i post hanno escogitato solo dopo il fax finale. Solo dopo aver rovinato ogni cosa — il nostro futuro, il futuro della Terra — in quel disastroso fax finale. Solo secoli dopo il mio novemilacentotredicesimo anno i miei simili umani del dopo rubicon furono faxati nel flusso di neutrini… per non tornare mai più, anche se i post promisero che sarebbero tornati; solo dopo quel… genocidio… i vostri preziosi post-umani hanno ricostruito il nucleo di popolazione dei vostri antenati e hanno tirato fuori quest’idea dei cento anni e un teorico gregge di un milione di persone…»

Si fermò e riprese fiato. Era chiaramente agitata. Inspirò a fondo e indicò le caraffe sul tavolo. «Lì c’è del tè, se vi va. Oppure vino molto forte. Io prendo un po’ di vino.» Se ne versò un bicchiere, con mani che tremavano un poco. Indicò i bicchieri. Daeman scosse la testa. Hannah e Ada presero del tè. Harman accettò un bicchiere di vino rosso.

«Harman» riprese Savi, ora più tranquilla «hai fatto due domande, prima che io divagassi. Primo, perché ti ho notato. Secondo, come sono sopravvissuta così a lungo. La risposta alla prima domanda è che m’interessa ciò che interessa ai voynix e li allarma; e i voynix si interessano al tuo comportamento negli ultimi decenni e ne sono allarmati…»

«Ma perché i voynix dovrebbero interessarsi a me e preoccuparsi di me…» cominciò Harman.

Savi alzò un dito. «Per la tua seconda domanda, posso dire che resto viva per tutti questi secoli dormendo gran parte del tempo e tenendomi nascosta quando non dormo. Quando mi sposto, uso i sonie — come quello su cui avete fatto una bella corsa oggi — o mi faxo in segreto, muovendomi fra le pareti dei nodi correnti, usando le vecchie matrici del campo fax.»

«Non capisco» disse Ada. «Come puoi faxarti segretamente?»

Savi si alzò. I quattro la imitarono. «Avete avuto una giornata faticosa, miei giovani amici, ma c’è molto da fare, se deciderete di seguirmi. Altrimenti il sonie vi riporterà al più vicino padiglione fax, in quello che un tempo era il Sud Africa, credo. A voi la scelta.» Guardò Daeman. «Ognuno di voi deve fare la sua scelta.»

Hannah bevve gli ultimi sorsi di tè e posò la tazza. «E cosa ci mostrerai, se decideremo di seguirti, Savi Uhr

«Molte cose, bambina mia. Ma prima di tutto vi mostrerò come volare e faxarsi in luoghi di cui non avete mai sentito parlare, luoghi che non vi sognate nemmeno.»

I quattro si guardarono. Harman e Ada si scambiarono un cenno d’intesa, decisi a seguire la donna. Hannah disse: «Sì, contami pure».

Per un momento Daeman parve soppesare in silenzio l’alternativa. Poi disse: «Vengo anch’io. Ma prima, ripensandoci bene, voglio un po’ di quel vino forte».

Savi gli riempì il bicchiere.

14

MARTE, ORBITA BASSA

Mahnmut ripristinò i suoi sistemi ed eseguì una breve valutazione dei danni. Niente d’irreparabile né nei componenti organici né in quelli cibernetici. L’esplosione era dovuta a rapida perdita di pressione in tre casse di zavorra di prua, ma le altre dodici erano intatte. Mahnmut controllò gli orologi interni: era rimasto senza conoscenza per meno di trenta secondi prima del ripristino dei sistemi ed era ancora collegato virtualmente al sommergibile sulle solite ampiezze d’onda. Il Dark Lady riportava folli capitomboli, piccoli squarci nello scafo, sovraccarichi nei sistemi di monitoraggio, temperatura esterna sopra il punto d’ebollizione e una ventina d’altri inconvenienti, niente che esigesse intervento immediato. Mahnmut ripristinò i collegamenti video, ma riuscì solo a vedere l’interno rosso incandescente deEa stiva della nave, il portello spalancato e (da quel portello) il roteare delle stelle.

Orphu? chiamò.

Non ebbe risposta sulla banda comune né su uno dei canali a fascio compatto o maser. Neppure disturbi elettrostatici.

La camera d’equilibrio era ancora aperta. Mahnmut prese un blocco di propulsori a reazione per uso individuale e una matassa di corda infrangibile a microfilamenti; si tirò fuori dalla camera d’equilibrio e combatté le forze vettoriali dei capitomboli aggrappandosi ad appigli che conosceva da decenni di lavoro negli abissi marini. Sul suo stesso scafo, controllò che il portello dello scomparto del carico utile del sommergibile fosse completamente aperto, calcolò quanto spazio gli sarebbe servito, prese a caso alcune macchine di Koros, accuratamente imballate, e le scaricò dal suo sottomarino e dalla nave spaziale in disintegrazione, a volteggiare lontano fra globuli di metallo fuso e di plasma ardente. Non sapeva se buttava via le armi di distruzione di massa che Koros aveva progettato di portare su Marte ("Sulla mia nave!" pensò, con lo stesso sdegno che aveva provato allora) o apparecchiature che gli sarebbero servite per sopravvivere sul Pianeta Rosso, ammesso di giungervi. In quel momento se ne fregava. Gli occorreva spazio.

Legata la fune a staffe nello scafo del Dark Lady , Mahnmut accese i jet e si proiettò nel vuoto, attento a non urtare il portello fracassato della stiva della nave.

Una volta fuori e al sicuro, a un centinaio di metri dalla nave, si girò per avere una chiara visuale del danno.

Era peggio di quanto avesse immaginato. Come aveva detto Orphu, l’intera prua della nave era sparita, con la sala comando e tutto ciò che si era trovato nel raggio di dieci metri, troncata di netto, come se non fosse mai esistita. Solo una brillante nube di plasma in dissipazione, intorno alla prua, mostrava dove si erano trovati Koros III e Ri Po.

Il resto della struttura era squarciato e ridotto a pezzi. Mahnmut poteva solo immaginare gli esiti catastrofici, se i motori a fusione, i serbatoi d’idrogeno, il cucchiaio Matloff-Fennelly e altri congegni di propulsione non fossero stati scaricati nello spazio molto prima dell’attacco. Le esplosioni secondarie avrebbero di sicuro vaporizzato Orphu e lui stesso.

Orphu? chiamò di nuovo Mahnmut. Ora usava anche onde radio, ma le antenne a riflessione erano state ridotte in scorie e non c’era più il ripetitore maser. Non ci fu risposta.

Cercando di evitare gli shrapnel volanti, i globuli di metallo incandescente e la nube di plasma in espansione, reggendosi alla fune senza tenderla, in modo che il movimento rotatorio non lo scagliasse intorno alla nave morente, Mahnmut usò i propulsori a reazione per spostarsi sopra lo scafo. La rotazione adesso era così rapida… stelle, Marte, stelle, Marte… che Mahnmut fu costretto a chiudere gli occhi e usare il segnale radar del blocco propulsori per trovare la via intorno allo scafo.

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