Dan Simmons - Ilium

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Ilium: краткое содержание, описание и аннотация

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Attenzione! Thomas Hockenberry è stato un insegnante universitario di storia, con una vita assolutamente normale. Per quale motivo, allora, si trova adesso ad assistere alla Guerra di Troia, al servizio degli dèi dell’antica Grecia? E perché gli stessi dèi sembrano padroneggiare una tecnologia avanzatissima, con la quale cercano di alterare il corso degli eventi e di uccidersi a vicenda? Intanto, in un futuro lontano migliaia di anni, su una Terra dove i pochi abitanti rimasti hanno come sola occupazione il divertimento, solo un uomo ricorda ancora l’antica arte della lettura e la sfrutta cercando di risolvere l’enigma più grande di tutti: chi ha costruito le macchine che governano il pianeta? Dall’autore che ha cambiato la fantascienza, la sua saga più intensa e appassionante, dove il gusto per la ricostruzione storica si mescola con i grandi scenari di un futuro apocalittico e affascinante.
Vincitore del premio Locus per il miglior romanzo di fantascienza in 2004.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 2004.

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Mi fa bruscamente segno di uscire sul balcone e mi segue fuori. È così grosso da lasciare a malapena posto anche per me. Mi rifugio in un angolo e cerco di non guardare giù. Adesso a questo infuriato dio degli dèi non resta che alzarmi con una sola mano e gettarmi al di là della balaustra per vendicarsi. Sbatterei le braccia e urlerei per cinque minuti, prima di toccare il suolo.

«Hai ferito mia figlia» ringhia Zeus.

"Quale?" penso disperatamente. Sono colpevole d’avere cospirato per uccidere Afrodite e anche Atena; ma sospetto che sia Atena, quella a cui si riferisce. Ha sempre avuto un debole per Atena. Non ha importanza, sospetto. Cospirare per nuocere a un dio (e tanto più per abbatterli tutti) è di sicuro reato passibile di pena capitale. Scruto di nuovo oltre la balaustra. Vedo l’ascensore di cristallo scendere a zigzag fin nella nebbia a livello del mare: il mio vecchio dormitorio da scoliaste, ormai raso al suolo dalle fiamme, non sarebbe stato distinguibile in ogni caso, con la vista non potenziata. Buon Dio, siamo davvero in alto!

«Sai cosa accadrà oggi, Hockenberry?» chiede Zeus, ma è una domanda retorica, immagino. Abbassa le braccia e posa le dita, ciascuna lunga la metà del mio avambraccio, sulla balaustra di pietra.

«No» rispondo.

Si gira a guardarmi dall’alto in basso. «Per te sarà frustrante, dopo tanti anni da scoliaste a conoscenza di tutto» romba. «Sapendo sempre ciò che accadrà dopo, anche quando gli dèi lo ignorano. Ti sarai sentito il Fato in persona.»

«Mi sentivo uno stronzo» dico.

Zeus annuisce. Poi indica i cocchi che si alzano dalla vetta dell’Olimpo, uno dopo l’altro. Centinaia. «Oggi pomeriggio» dice Zeus «distruggeremo la razza umana. Non solo quegli sciocchi in posa a Troia, ma tutti gli esseri umani, dappertutto.»

Come si può commentare un’ammissione del genere? «Sembra un filino eccessivo» riesco a dire alla fine. Sarei più soddisfatto della mia spacconata se la voce non continuasse a tremarmi come quella di un ragazzino nervoso.

Zeus guarda i cocchi che si alzano e la folla di dèi e dee dalla corazza d’oro in attesa di montare sui velivoli. «Poseidone e Ares e altri mi hanno tormentato per secoli perché eliminassi la razza umana come quel virus che è» dice Zeus, rombando più fra sé che verso di me, penso. «Tutti abbiamo preoccupazioni… Quest’epoca dell’Uomo eroe che vedi a Ilio impensierirebbe qualsiasi razza di dèi, troppo accoppiamento fra la razza umana e la nostra… ti sarai reso conto della quantità di DNA nanomodificato che abbiamo trasmesso a scherzi di natura come Eracle e Achille mediante la nostra libidine scopereccia con i mortali. Alla lettera.»

«Perché ne parli con me?» chiedo.

Zeus adesso mi guarda davvero dall’alto in basso. Si stringe nelle spalle, quelle enormi spalle due metri e mezzo sopra la mia testa. «Perché fra qualche secondo sarai morto e perciò posso parlare liberamente. Sull’Olimpo, scoliaste Hockenberry, non ci sono amici eterni né alleati degni di fiducia né compagni leali. Solo interessi permanenti. Il mio interesse è rimanere signore degli dèi e sovrano dell’universo.»

«Un bel lavoro a tempo pieno» commento, sarcastico.

«Proprio così» dice Zeus. «Proprio così. Chiedi a Setebo o a Prospero o alla Quiete, se hai dubbi. Ora, Hockenberry, hai un’ultima domanda, prima della dipartita?»

«A dire il vero ne ho una» rispondo. Mi accorgo con sorpresa che la voce mi si è rinfrancata, che le ginocchia non mi tremano più. «Voglio sapere chi siete in realtà voi dèi. Da dove venite? So che non siete i veri dèi greci.»

«Ah, no?» dice Zeus. Il suo sorriso, uno scintillio di denti bianchi e aguzzi fra la barba grigio argento, non è paterno.

«Chi siete davvero?» chiedo di nuovo.

Zeus onnipotente sospira. «Purtroppo al momento non abbiamo tempo per tutta la storia. Addio, scoliaste Hockenberry.» Toglie le mani dalla balaustra e si gira verso di me.

Risulta che ha ragione lui: non abbiamo tempo per tutta la storia né per niente altro. All’improvviso l’alto edificio vibra, si riempie di crepe, geme. L’aria stessa sopra la vetta dell’Olimpo pare ispessirsi e incresparsi. Cocchi d’oro traballano in volo e giungono fin quassù le grida e gli strilli di dèi e dee ancora a terra.

Zeus barcolla all’indietro contro la balaustra, lascia cadere sul pavimento di marmo il medaglione TQ e protende l’enorme mano per sostenersi contro l’edificio: l’alta torre è scossa dalle fondamenta, vibra avanti e indietro in un arco di dieci gradi.

Alza gli occhi.

All’improvviso il cielo è pieno di striature. Sento bang sonici, mentre linee su linee di fuoco squarciano il cielo marziano. Sopra Olimpo, sopra la nostra testa, parecchie gigantesche sfere rotanti nere come lo spazio e rosse come il magma si aprono contro l’azzurro del cielo. Sono simili a buchi praticati nel cielo stesso e nel ruotare si abbassano.

Ancora più in basso, molto più in basso, vedo altri di quei cerchi frastagliati, ciascuno col raggio di un campo di calcio come minimo, ruotare alla base di Olimpo. Altri compaiono sopra l’oceano a nord, alcuni tagliano il mare stesso.

Formiche escono a migliaia dai cerchi che toccano terra e allora mi rendo conto che le formiche sono uomini. Esseri umani?

Il cielo ora è pieno non solo di cocchi dorati, ma di macchine nere dai contorni taglienti, alcune più grosse dei cocchi, alcune più piccole, tutte con l’aspetto inumano e micidiale dei mezzi militari. Altre striature di fuoco riempiono l’atmosfera superiore, cadono a dirotto verso l’Olimpo, come missili ICBM.

Zeus alza i pugni verso il cielo e sbraita alle piccole figure divine molto più in basso. «ALZATE L’EGIDA!» ruggisce. «ATTIVATE L’EGIDA!»

Mi piacerebbe stare qui a scoprire di che diavolo parla e che cosa avverrà dopo, ma ho altre priorità. Mi lancio a capofitto fra il possente arco delle gambe di Zeus, scivolo con la pancia sul pavimento di marmo scosso dalle vibrazioni, con una mano afferro il medaglione TQ e con l’altra ruoto il quadrante.

58

ANELLO EQUATORIALE

All’inizio non riuscivano a togliere Hannah dalla vasca. Il pesante pezzo di tubo non intaccava la plastica trasparente. Daeman sparò tre colpi di pistola, ma i dardi scalfirono appena la superficie della cisterna e rimbalzarono da tutte le parti, rompendo oggetti fragili, lacerando servitori già disattivati e sfiorando lui e Harman. Alla fine questi trovò un modo per arrampicarsi sulla vasca e usarono il tubo come leva per sollevare e strappare il complicato coperchio. Poi Harman abbassò il visore della termotuta, si mise la maschera osmotica e saltò nel liquido in prosciugamento per tirare fuori Hannah. Senza la principale sorgente di corrente elettrica, con le luci spente e col bagliore della vasca che si riduceva a zero, lavorarono alla luce della torcia elettrica.

Distesero sul pavimento bagnato dello spedale la loro giovane amica, nuda, bagnata, glabra, con la pelle che pareva nuova di zecca e l’aria vulnerabile di un pulcino. La buona notizia era che Hannah respirava, ansiti brevi e rapidi, ma senza dubbio con le proprie forze. La cattiva notizia era che non riuscivano a svegliarla.

«Vivrà?» chiese Daeman. Gli altri ventiquattro uomini e donne nelle vasche erano chiaramente morti o moribondi e non c’era modo di tirarli fuori in tempo.

«Come faccio a saperlo?» ansimò Harman.

Daeman si guardò intorno. «Senza l’energia per il riscaldamento, qui la temperatura scende in fretta. Fra qualche minuto sarà sotto zero, come nella città. Dobbiamo trovare qualcosa con cui coprirla.» Impugnando sempre la pistola, ma incurante dell’eventuale presenza di Calibano, girò nello spedale sempre più buio. C’erano ossa umane, quarti di carne in decomposizione, servitori immobili, pezzi di becher e di tubi, ma nemmeno uno straccio di coperta. Daeman strappò un pezzo di plastica trasparente dal rivestimento che avevano già sfruttato per sigillare l’ingresso semipermeabile e tornò da Harman…

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