Dan Simmons - Ilium

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Ilium: краткое содержание, описание и аннотация

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Attenzione! Thomas Hockenberry è stato un insegnante universitario di storia, con una vita assolutamente normale. Per quale motivo, allora, si trova adesso ad assistere alla Guerra di Troia, al servizio degli dèi dell’antica Grecia? E perché gli stessi dèi sembrano padroneggiare una tecnologia avanzatissima, con la quale cercano di alterare il corso degli eventi e di uccidersi a vicenda? Intanto, in un futuro lontano migliaia di anni, su una Terra dove i pochi abitanti rimasti hanno come sola occupazione il divertimento, solo un uomo ricorda ancora l’antica arte della lettura e la sfrutta cercando di risolvere l’enigma più grande di tutti: chi ha costruito le macchine che governano il pianeta? Dall’autore che ha cambiato la fantascienza, la sua saga più intensa e appassionante, dove il gusto per la ricostruzione storica si mescola con i grandi scenari di un futuro apocalittico e affascinante.
Vincitore del premio Locus per il miglior romanzo di fantascienza in 2004.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 2004.

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«Risparmiamela per dopo» disse Mahnmut, scordandosi di rendere impercettibili i suoni. Cambiò frequenza. Adesso mi devo concentrare. Pensava di essere capace di varie operazioni in contemporanea, come ogni altro moravec, ma la lezione di storia di Orphu interferiva con la sua concentrazione in tempo reale.

«Cos’è che hai appena detto?» chiese Ettore. L’eroe troiano non era di buonumore. Mahnmut ricordò che la madre e la sorellastra di Ettore erano state appena uccise nel bombardamento aereo, anche se non era sicuro che Ettore ne fosse già informato. Forse era semplicemente di cattivo umore.

«Una breve preghiera ai miei dèi» rispose il moravec.

Odisseo si era piegato su un ginocchio e tastava le braccia, il tronco, la testa e il guscio protettivo di Mahnmut. «Ingegnoso» disse. «Il dio che ti ha fabbricato, chiunque sia, ha fatto un buon lavoro.»

«Grazie» disse Mahnmut.

Credo che tu sia entrato in una pièce di Samuel Beckett , trasmise Orphu.

«Chiudi il becco» disse Mahnmut. «Maledizione, ho dimenticato ancora di cambiare frequenza.»

«Prega di nuovo» disse Odisseo, rialzandosi. «Mi è piaciuto quando ha detto di chiamarsi Nessuno. Devo segnarmelo.»

«Piè veloce Achille» chiese Mahnmut in greco «posso sapere quali sono ora le tue intenzioni?»

«Andiamo a sfidare gli dèi perché scendano a combattere in singoiar tenzone» rispose Achille. «O il loro esercito di immortali contro il nostro esercito di uomini. A loro la scelta.»

Mahnmut guardò le poche migliaia di greci, molti dei quali sporchi di sangue, che avevano seguito Achille fuori del campo. Girò la testa e vide un migliaio scarso di troiani scendere dal costone per unirsi a Ettore. «È questo, il vostro esercito?» chiese.

«Gli altri si uniranno a noi» dichiarò Achille. «Piccola macchina, se vedi Hockenberry figlio di Duane, digli di venire da me al centro del campo.»

Achille, Ettore e i condottieri achei si allontanarono a grandi passi. Il moravec fu costretto a schivarli in fretta per non essere calpestato e finire sotto gli scudi.

«UN MOMENTO!» gridò, amplificando la propria voce più di quanto non intendesse.

Achille, Ettore, Odisseo, Diomede, Nestore e gli altri si girarono. Gli uomini fra il moravec e gli eroi fecero spazio.

«Fra trenta secondi accadrà una cosa» disse Mahnmut.

«Che cosa?» domandò Ettore.

"Non so che cosa" pensò Mahnmut. "Non so neppure se qui ne sentiremo gli effetti. Anzi, non so nemmeno se l’innesco funzionerà, laggiù sul fondo del lago."

Stai trasmettendo, sai , disse Orphu.

Scusa , replicò Mahnmut. Poi disse ad alta voce, in greco: «Aspettate e guardate. Ancora diciotto secondi». I greci non usavano minuti e secondi, è ovvio, ma Mahnmut pensava d’avere fatto la giusta conversione delle unità di misura.

Anche se il Congegno riduce a pezzetti Marte , trasmise Orphu, non credo che questa Terra sia nel tempo o nell’universo di Marte. Ma tanto i cosiddetti dèi hanno collegato questo posto, dovunque si trovi, a Olympus Mons, mediante un migliaio di tunnel quantici.

«Nove secondi» disse Mahnmut.

Come sarebbe percepita l’esplosione di Marte in pieno giorno in questo punto dell’Asia Minore? trasmise Orphu. Potrei fare una rapida simulazione.

«Quattro secondi» disse Mahnmut.

Oppure potrei aspettare per vedere. Ovviamente, sarai tu a vedere per me.

«Un secondo» disse Mahnmut.

57

OLIMPO

Non mi sono accorto che Ares o Efesto si siano telequantati, mentre mi trascinavano fuori della Grande Sala, ma ovviamente l’hanno fatto. La stanza dove mi hanno gettato, la mia cella, si trova al piano superiore di un edificio incredibilmente alto sul fianco est dell’Olimpo. La porta è stata sigillata e non ci sono finestre vere e proprie, ma un’altra porta dà su un balcone sospeso una trentina di metri sopra il nulla, a parte i pendii dell’Olimpo proprio dove scendono a picco. A nord c’è l’oceano, bronzo brunito nella luce del pomeriggio, e molto lontano, a est, ci sono tre vulcani. Capisco che sono vulcani di Marte.

"Marte" penso. "Per tutti questi anni. Madre misericordiosa… Marte."

Nudo, rabbrividisco nell’aria fredda. Vedo la pelle d’oca spuntarmi sulle braccia e sulle cosce e me l’immagino sulle natiche. Ho le piante dei piedi ghiacciate per il contatto col gelido marmo. Ho male al cuoio capelluto perché mi hanno tirato per i capelli e all’orgoglio perché mi hanno preso e spogliato con la massima facilità.

"Chi credevo di essere?" mi dico. "Ho guardato dèi e supereroi per tanto di quel tempo da dimenticare che nella vita precedente ero solo un comune mortale. Anche meno, ora."

I giocattoli mi hanno dato alla testa, penso: la bardatura di levitazione e il giubbotto protettivo e il braccialetto per morfizzarmi e il medaglione TQ e il microfono/storditore e le lenti a ingrandimento e l’Elmo di Ade. Tutta quella splendida merda che pare uscita dai cataloghi di gadget elettronici. Per qualche giorno mi ha permesso di giocare al supereroe.

Non più. Papà mi ha portato via i giocattoli. E papà è furioso.

Mi ricordo della bomba di Mahnmut e, per abitudine, alzo il polso per controllare l’ora. Merda. Non ho più neanche il cronometro. Ma non dovrebbe mancare più di qualche minuto alla teorica esplosione del Congegno del robot. Mi sporgo dal balcone: questo lato dell’edificio non guarda sul lago della caldera, perciò non credo che vedrò il lampo. L’onda d’urto sbatterà giù dalla cima dell’Olimpo l’intero edificio o si limiterà a incendiarlo? Mi torna un nuovo ricordo, immagini viste in TV, uomini e donne che, ormai condannati, saltano giù dalle torri in fiamme di New York; chiudo gli occhi e mi premo le tempie, nel vano tentativo di liberarmi di queste visioni non richieste. Riesco solo a renderle più vivide. "Diavolo" penso "se gli dèi mi avessero lasciato vivere ancora per qualche settimana, se io stesso non avessi accelerato la mia fine evitando di trastullarmi con quei giocattoli e con il destino di tante persone, forse avrei ricordato tutti i particolari della mia vita precedente. Forse avrei ricordato perfino come sono morto."

Alle mie spalle la porta si apre con uno schianto e Zeus, da solo, entra a grandi passi. Mi giro per affrontarlo e torno nella stanza spoglia.

Volete una ricetta per perdere tutta la stima per voi stessi? Provate a stare, nudi e scalzi, davanti al dio di tutti gli dèi, vestito con alti stivali, schinieri d’oro e corazza da battaglia. A parte questa ovvia disparità, c’è la faccenda dell’altezza. Cioè, sono alto un metro e settanta (non "basso", ma di "altezza media", solevo ricordare alla gente, compresa mia moglie Susan) e Zeus oggi tocca di sicuro i quattro metri e mezzo. La porta della stanza pare fatta per campioni di pallacanestro che tengano in piedi sulle spalle un altro atleta come loro, ma Zeus si è dovuto chinare per varcarla. Ora la chiude con un colpo secco. Nell’enorme mano ha ancora il mio medaglione TQ.

«Scoliaste Hockenberry» dice «sai quale guaio hai causato?»

Cerco di assumere un’aria di sfida, ma mi rassegno a fare solo in modo che le gambe non mi tremino in maniera incontrollabile. Sento il pene e lo scroto contrarsi per il freddo e per la paura, ridursi alle dimensioni di una carotina e due piselli.

Come se l’avesse notato, Zeus mi squadra in lungo e in largo. «Dio mio, voi umani vecchio stile eravate davvero brutti» romba. «Sei così magro da mostrare le costole eppure hai ugualmente la pancetta.»

Ricordo che Susan mi diceva sempre che avevo le natiche come due biglie, ma lo diceva con affetto.

«Come mai conosci la mia lingua?» chiedo con voce tremante.

«SILENZIO!» tuona il padre degli dèi.

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