Dan Simmons - Ilium

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Attenzione! Thomas Hockenberry è stato un insegnante universitario di storia, con una vita assolutamente normale. Per quale motivo, allora, si trova adesso ad assistere alla Guerra di Troia, al servizio degli dèi dell’antica Grecia? E perché gli stessi dèi sembrano padroneggiare una tecnologia avanzatissima, con la quale cercano di alterare il corso degli eventi e di uccidersi a vicenda? Intanto, in un futuro lontano migliaia di anni, su una Terra dove i pochi abitanti rimasti hanno come sola occupazione il divertimento, solo un uomo ricorda ancora l’antica arte della lettura e la sfrutta cercando di risolvere l’enigma più grande di tutti: chi ha costruito le macchine che governano il pianeta? Dall’autore che ha cambiato la fantascienza, la sua saga più intensa e appassionante, dove il gusto per la ricostruzione storica si mescola con i grandi scenari di un futuro apocalittico e affascinante.
Vincitore del premio Locus per il miglior romanzo di fantascienza in 2004.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 2004.

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Ora, mentre la troika si fermava nell’affollato vialetto circolare davanti a villa Ardis, Ada capì che la sua isolata tenuta era diventata semplicemente parte di una città in espansione. Le decine di tende, montate dai voynix ma ora curate da uomini e donne, comprendevano cucine, padiglioni da pranzo, gabinetti (Odisseo aveva mostrato agli uomini come preparare una latrina) e tende per dormire. La madre di Ada era venuta in visita una volta, durante quella follia; sconvolta dalle decine di persone che giravano per villa Ardis come se fosse un pubblico mercato, si era immediatamente faxata nel suo domi a Ulanbat e non era più tornata.

Ada accettò una bevanda fredda da uno dei volontari permanenti, un giovanotto di nome Reman, che si faceva crescere la barba come molti altri discepoli di Odisseo, e tornò nel prato dove Odisseo parlava e rispondeva alle domande quattro o cinque volte al giorno, davanti a una folla sempre più numerosa. Ada aveva quasi intenzione di interrompere le inutili conferenze dell’arrogante barbaro per chiedergli, davanti a tutti, perché mai lui, Odisseo, non si era preoccupato di dire addio alla ragazza che lo adorava.

La notte precedente, durante la festa per la prima Ventina di Hannah (i festeggiamenti si tenevano sempre la vigilia del compleanno, giorno in cui il festeggiato si sarebbe faxato nello spedale) Odisseo aveva fatto appena una comparsa a cena. Ada sapeva che Hannah ci era rimasta male. La ragazza era ancora convinta d’essere innamorata di Odisseo, anche se lui pareva indifferente ai sentimenti di lei. Al ritorno dal viaggio, Hannah era stata l’ombra di Odisseo, ma lui pareva non averlo notato. Quando aveva rifiutato l’ospitalità di Ada e aveva preferito accamparsi nella foresta, Hannah aveva tentato di accompagnarlo, ma Odisseo aveva insistito perché lei dormisse nella grande casa. Nel corso di ogni giornata, mentre Odisseo correva, si allenava e in seguito faceva la lotta con i discepoli maschi, Hannah era sempre nelle vicinanze, correva, si arrampicava sulle funi del percorso a ostacoli, si offriva per gli incontri di lotta. Odisseo rifiutava sempre di misurarsi con la bella ragazza.

Alla festa per la prima Ventina, ognuno degli ospiti, in tutto una decina, seduti intorno al tavolo preparato sotto la grande quercia, aveva fatto il discorso tradizionale (congratulazioni a Hannah per la prima visita allo spedale, auguri di lunga vita felice e in buona salute) ma Odisseo, quando fu il suo turno, si limitò a dire: «Non andarci». Più tardi, in camera di Ada, Hannah aveva pianto; aveva addirittura preso in considerazione l’idea di non andarci davvero, di nascondersi in qualche modo ai servitori che in quel momento le ricamavano la lunga veste da cerimonia per la Ventina; ma ovviamente non poteva non andarci. Tutti ci andavano. Ada ci era andata. Harman ci era andato quattro volte. Perfino Daeman era andato allo spedale due volte, una per la sua prima Ventina e l’altra dopo l’incidente con l’allosauro. Tutti ci andavano.

Così quel mattino, quando Hannah era scesa dalla sua camera indossando la prescritta veste di cotone adorna solo del piccolo, tradizionale ricamo riproducente il caduceo — due serpenti guaritori azzurri intrecciati intorno a un bastone — Odisseo non era lì a salutare la sua giovane amica.

Ada era furibonda, mentre viaggiavano su una troika di villa Ardis verso il padiglione fax. Hannah aveva pianto un poco, girando il viso per non farsi vedere dall’amica. Era sempre stata la ragazza più dura che Ada avesse mai conosciuto, l’artista e l’atleta, la temeraria e la scultrice, ma quel mattino pareva una bimba smarrita.

«Forse mi presterà maggiore attenzione quando sarò tornata dallo spedale» aveva detto Hannah. «Forse domani gli sembrerò più donna.»

«Forse» aveva detto Ada, ma pensava che tutti gli uomini parevano maiali egoisti, interessati e insensibili in cerca solo dell’occasione per agire ancora di più da maiali egoisti, interessati e insensibili.

Hannah aveva un’aria così fragile, mentre i due servitori si libravano fuori del padiglione fax, tenendola ciascuno per un braccio, e la conducevano al portale. Era una bellissima giornata, cielo sereno, lieve brezza da ovest, ma non sarebbe cambiato niente se fosse piovuto, per quanto riguardava l’umore di Ada. La ragazza non riusciva a spiegarsi la sensazione d’un imminente, tragico destino: aveva visto decine di amiche partire per lo spedale al compimento della Ventina e ci era andata lei stessa (aveva solo un nebuloso ricordo di galleggiare in un liquido tiepido); ma aveva pianto anche lei, quando Hannah aveva alzato il braccio e agitato la mano in segno di saluto, in quel secondo prima che il portale fax la trasferisse via, fuori vista. Il viaggio di ritorno a villa Ardis, da sola, non aveva fatto altro che intensificare la sua ira verso Odisseo, verso Harman e verso gli uomini in generale.

Così Ada si sentiva tutt’altro che un’amorevole discepola, mentre risaliva la collina dietro villa Ardis per ascoltare la conferenza che Odisseo teneva per i fedeli e i curiosi.

Il tarchiato uomo barbuto, vestito con tunica e sandali, con la spada al fianco, sedeva contro l’albero morto che egli stesso aveva tagliato; intorno a lui e sparsi per il pendio che saliva verso la villa c’erano diverse centinaia di persone, uomini e donne, seduti o in piedi. Molti uomini portavano ora una tunica simile a quella di Odisseo, stretta in vita dallo stesso tipo di larga cintura di cuoio. Parecchi si lasciavano crescere la barba, che Ada non ricordava fosse mai stata di moda in vita sua.

In quel momento Odisseo rispondeva alle domande. Ada sapeva che di solito teneva un discorso di una novantina di minuti, un’ora dopo il sorgere del sole, e poi passeggiava da solo per ore; nell’ora prima del pranzo rispondeva alle domande, parlava di nuovo senza interruzioni nel pomeriggio e s’intratteneva a discorrere nelle lunghe ore di crepuscolo dopo il tramonto. Adesso c’era la riunione prima di pranzo.

«Maestro, perché dobbiamo scoprire chi è nostro padre? Non ha mai avuto importanza, prima.» Uno degli ultimi arrivati, un giovanotto, aveva alzato la mano e posto la domanda.

Quando Odisseo parlava, aveva notato Ada nel corso dell’ultimo mese, di solito teneva le mani protese, dritte, puntando le dita, tozze e forti, come per far apprezzare l’importanza del proprio punto di vista. Aveva braccia e gambe abbronzate, robuste. Per la prima volta Ada notò che una parte degli uomini con la barba, fra gli spettatori, cominciava ad abbronzarsi e a irrobustirsi. Odisseo aveva montato un percorso a ostacoli, funi e pali e pozze di fango, nella foresta sulla collina ed esigeva che chi lo ascoltava più di due volte si esercitasse almeno un’ora al giorno a percorrerlo. Molti uomini (e alcuni discepoli donne) avevano riso all’idea, la prima volta che lo avevano provato, ma adesso ogni giorno passavano ore a completarlo o a correre. Ada non sapeva che cosa pensare.

«Se non conosci tuo padre» rispose Odisseo, con voce bassa, calma, ferma, che pareva giungere sempre tanto lontano quant’era necessario «come puoi conoscere te stesso? Io sono Odisseo, figlio di Laerte. Mio padre è un sovrano, ma anche un uomo della terra. Quando lo vidi per l’ultima volta, il vecchio era in ginocchio a piantare un albero dove un esemplare gigantesco era caduto, tagliato da lui stesso, alla fine, perché colpito da un fulmine. Se non conosco mio padre e suo padre prima di lui e ciò che valgono quegli uomini, ciò per cui sono vissuti e per cui erano disposti a morire, come posso conoscere me stesso?»

«Parlaci ancora di areté » disse un uomo in prima fila. Ada riconobbe in lui Petyr, uno dei primi visitatori. Petyr non era più un ragazzo (secondo Ada, era già nella quarta Ventina) ma aveva una barba ormai folta quasi come quella di Odisseo. Ada era sicura che non avesse più lasciato villa Ardis, dopo avere sentito parlare Odisseo, il secondo o terzo giorno, quando i visitatori si contavano sulle dita di due mani.

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