Dan Simmons - Ilium

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Attenzione! Thomas Hockenberry è stato un insegnante universitario di storia, con una vita assolutamente normale. Per quale motivo, allora, si trova adesso ad assistere alla Guerra di Troia, al servizio degli dèi dell’antica Grecia? E perché gli stessi dèi sembrano padroneggiare una tecnologia avanzatissima, con la quale cercano di alterare il corso degli eventi e di uccidersi a vicenda? Intanto, in un futuro lontano migliaia di anni, su una Terra dove i pochi abitanti rimasti hanno come sola occupazione il divertimento, solo un uomo ricorda ancora l’antica arte della lettura e la sfrutta cercando di risolvere l’enigma più grande di tutti: chi ha costruito le macchine che governano il pianeta? Dall’autore che ha cambiato la fantascienza, la sua saga più intensa e appassionante, dove il gusto per la ricostruzione storica si mescola con i grandi scenari di un futuro apocalittico e affascinante.
Vincitore del premio Locus per il miglior romanzo di fantascienza in 2004.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 2004.

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La creatura smise di tirare su col naso e si ravvivò, alzando l’ampia piega della bocca. «Pensa, ciò non mostra né il bene né il male in Lui, né gentilezza né crudeltà: Lui è potente e sovrano.»

«Chi?» chiese Savi. «Setebo o Prospero? Chi servi, Calibano?»

«Dice che Lui è terribile» ruggì Calibano, alzandosi ora sulle gambe posteriori. «Guarda le sue gesta come prova! Un solo uragano rovinerà la speranza indotta da sei mesi favorevoli. Lui nutre rancore verso di me, lo so.»

«Chi nutre rancore verso di te?» chiese Harman.

Daeman ritenne che era da folli tentare di parlare a quella pazza creatura. «Sparagli!» bisbigliò di nuovo a Savi. «Spara a quel mostro.»

Savi alzò un poco la pistola, ma continuò a non puntarla su Calibano.

«Pensa, Lui, che i post hanno portato fori di tarlo, Setebo ha portato i tarli» disse Calibano. «Prospero ha reso dèi le larve e Setebo ha fatto nella pietra la faccia di Prospero e ha creato zek per sistemarle bene. Mia madre dice che la Quiete ha fatto tutte le creature che Setebo infastidiva solo, ma allora, Lui osserva, chi le ha fatte deboli, quando la debolezza significa debolezza che lui potrebbe infastidire? Avesse inteso altro, mentre c’era, perché non fare occhi cornei, come quelli di Calibano, che nessuna spina potrebbe pungere? Oppure rivestire loro il cranio di piastra ossea contro la neve o la carne di scaglie sovrapposte tra giuntura e giuntura come la corazza di un orco? Sì… rovinargli il divertimento! Lui è il Solo, ora: solo Lui fa tutto.»

«Chi è il solo?» chiese Savi.

Calibano diede l’impressione di rimettersi a piangere. «La mia bestia accecata ama chiunque le metta carne sul muso. A Setebo piace così, lavorare, usare tutte le sue mani.»

«Calibano» disse Savi, sottovoce, lentamente, come se parlasse a un bambino «siamo stanchi e vogliamo andare a casa. Puoi aiutarci ad andare a casa?»

Ora il mostro parve concentrare lo sguardo su qualcosa di diverso dall’odio per altri e per se stesso. «Sì, milady, Calibano conosce la strada e fa gli auguri. Ma tu e Lui stesso conoscete i suoi modi e non dovete contrapporvi a Lui, sicuri del risultato.»

«Dicci come…» cominciò Savi.

«Lui fa lo stesso» disse Calibano, sempre più agitato, accucciato sulle natiche, le lunghe braccia penzoloni, nocche spinose che raschiavano muschio dalla tubatura. «Qui è il divertimento: scopri come o muori! Compiacere Lui e impedirlo? Cosa fa Prospero? Ah, se Lui mi dicesse come! Non Lui!»

«Calibano, se ci porti a casa, possiamo…» cominciò Savi. Aveva alzato un poco la pistola.

«Tutti devono morire» gridò Calibano. Tese le cosce e strusciò le nocche. «Pensa, Lui stesso, Prospero porta qui l’astuto Odisseo, ma Setebo lo costringe a vagabondare. Prospero manda grida notturne a Giove nei cieli, portando su Marte gli uomini vuoti, ma Setebo rimette tutto a posto con l’ira dei falsi dèi. Qui è il divertimento: scopri come o muori!» Saltò fino in punta alla tubatura, la circondò con le gambe, si lasciò penzolare e tirò su dalla melma una lucertola albina. Le avevano cavato gli occhi.

«Savi» disse Harman.

«Non tutti devono morire, no» gridò Calibano, piangendo e digrignando i denti. «Alcuni fuggono lontano, alcuni si tuffano, alcuni scappano sugli alberi; quelli alla sua mercé… ecco, lo compiacciono maggiormente quando… quando… bene, mai tentare due volte la stessa strada!»

«Sparagli, Savi» disse Daeman, non per radio, ma con voce forte e chiara che echeggiò nella grotta.

Savi si morsicò il labbro, ma alzò la pistola.

«Guarda!» gridò Calibano. «Si distende e ama Setebo! Con i denti si trapassa il labbro superiore.» Lasciò la lucertola cieca, che saltò verso la pozza sottostante, ma nel correre all’acqua colpì la roccia di Savi.

«Guarda le sue gesta come prova!» gridò Calibano e spiccò il balzo.

Savi sparò: varie centinaia di dardi di cristallo lo colpirono al petto, gli lacerarono le carni come carta. Calibano ululò, atterrò sulla roccia di Savi, avvolse la vecchia nelle braccia incredibilmente lunghe e con un deciso scatto di mascelle l’azzannò al collo. Savi non ebbe nemmeno il tempo di gridare prima di morire, con il collo quasi staccato dal busto, con il corpo inerte nelle braccia del mostro, con la pistola che le scivolò dalle dita ormai prive di forza, cadde nella palude sottostante e scomparve.

Perdendo sangue lui stesso, Calibano alzò le fauci insanguinate e gli occhi gialli verso le pareti della grotta e ululò di nuovo. Poi, tenendo sottobraccio il cadavere di Savi, si tuffò nell’acqua gorgogliante e sparì sotto lo strato di schiuma fetida.

47

VILLA ARDIS

Il mattino della prima Ventina di Hannah, dopo avere accompagnato la sua giovane amica fino al nodo fax e controllato che due servitori e un voynix la scortassero nel padiglione, Ada cominciò a preoccuparsi sul serio.

Aveva cominciato a preoccuparsi per Harman già il secondo giorno dopo che lui era volato via con Daeman e Savi. Non si aspettava, a dire il vero, che lui venisse in picchiata a prenderla a bordo della nave spaziale come aveva promesso (una fantasia infantile alla quale pensava che neppure lui credesse) ma pensava che i tre sarebbero tornati in sonie nel giro di due o tre giorni. Dopo quattro giorni la preoccupazione si mutò in collera. Dopo una settimana tornò a essere preoccupazione, più profonda, più tormentosa di quanto non avesse mai provato. Ada cominciò ad avere difficoltà a dormire. Dopo due settimane, non sapeva più che cosa pensare.

Il quattordicesimo mattino dalla partenza dei tre, senza avere ricevuto notizie da amici in visita (e ora senza dubbio centinaia e centinaia di persone venivano in visita a villa Ardis) Ada percorse su un calesse tirato da un voynix il breve tratto fino al portale fax e dopo un solo minuto di esitazione (che cosa poteva succederle, in fondo, se si fosse faxata?) uscì a Cratere Parigi e andò nel domi della madre di Daeman.

La madre di Daeman era fuori di sé per l’ansia. Daeman a volte si tratteneva settimane a una festa (era perfino andato per un mese intero a caccia di farfalle, quando gli mancava un anno a compiere la prima Ventina) ma le faceva sempre sapere dove si trovava e quando sarebbe tornato. Nelle ultime due settimane… niente.

«Al suo posto non starei troppo in pensiero» la consolò Ada, dando all’anziana signora qualche colpetto sul braccio. «Il nostro amico Harman veglierà su Daeman; e la donna che abbiamo conosciuto, Savi, veglierà su entrambi.» Quelle parole consolarono la madre di Daeman, ma resero Ada più ansiosa che mai.

Ora, due settimane dopo la visita a Cratere Parigi, sentendo già la mancanza di Hannah, ma sapendola al sicuro nello spedale, Ada si trovò assorta nei pensieri durante il viaggio in calesse sulle colline, diretta verso casa.

Nell’ultimo mese a villa Ardis c’era stata una vera invasione. Due settimane prima Ada era tornata da Cratere Parigi di notte, perciò durante questa corsa di mattina, dall’alto della strada che portava alla villa, vedeva davvero i cambiamenti per la prima volta nelle ultime quattro settimane; lo spettacolo la lasciò senza fiato.

Decine e decine di tende colorate circondavano la vecchia, bianca costruzione sulla collina. All’inizio, solo dieci o venti visitatori, per la maggior parte uomini, erano venuti ad ascoltare Odisseo che parlava nel grande prato declinante dietro la casa; ma le decine erano diventate centinaia e al momento alcune migliaia di visitatori si erano faxati lì. Villa Ardis aveva solo una decina di calessi e di troike che si stavano consumando (come i voynix stranamente pigri) nel trasportare dal nodo fax alla casa il continuo flusso di gente, a tutte le ore del giorno e della notte, cosicché alcuni volontari dei primi giorni di insegnamento di Odisseo facevano i turni al portale fax ed esortavano la costante fila di visitatori a percorrere a piedi l’incredibile distanza di due chilometri fino alla villa. E quelli andavano a piedi. E a piedi tornavano al portale fax e poi si ripresentavano, qualche giorno o addirittura solo qualche ora più tardi, con altri, in maggioranza sempre uomini.

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