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Daniel Galouye: Universo senza luce

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Anche pubblicato come “Percezione infinita”, tradutto da Antonietta Mazarino. Dopo una guerra nucleare che ha devastato e reso inabitabile la superficie del pianeta, l’umanità è costretta a vivere in caverne sotterranee dove non arriva nessuna luce: sono generazioni ormai che nessuno l’ha più vista, tanto che su di essa si è formata una vera religione, una leggenda. Solo l’eccezionale sviluppo del senso dell’udito e del tatto permette ai pochi superstiti di sopravvivere ai gravi pericoli che minacciano la loro precaria esistenza e i pochi beni loro rimasti: pipistrelli giganti e altri mostri delle tenebre, i Veggenti, esseri misteriosi dotati di poteri sovrumani, e soprattutto la mancanza d’acqua, l’esaurimento dei pozzi. Iared, uno dei superstiti, non si lascerà tuttavia intimorire e, sfidando i mostri notturni, i demoni della Radioattività, le credenze della comunità e le accuse di blasfemia, si addentrerà nelle regioni ignote che si trovano al di là della Barriera, alla ricerca del mitico e remoto Mondo Originario. Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1962.

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— Tranne che nel complesso undici — corresse Caseman. — Là, le cose non erano andate così lisce.

— Infatti — convenne Thorndyke. — Cominciamo dall’inizio, però. Da quanto mi è stato riferito, Fenton, tu sei un miscredente… non hai mai accettato l’idea che la luce fosse Dio. È probabile che ormai tu ti sia fatta un’idea piuttosto precisa su quello che è in realtà la luce, anche se sei dannatamente ostinato nel continuare a tenere gli occhi chiusi. Ad ogni modo, riprendiamo da dove eravamo rimasti.

«La luce è un fenomeno naturale come, diciamo ad esempio, lo scroscio di una cascata. Nella sua forma primaria, arriva in abbondanza da quello che ti sembrerà Idrogeno in persona quando lo vedrai. Ma abbiamo anche dei sistemi per produrla in maniera artificiale, come certo saprai, a questo punto. E ognuno dei complessi di sopravvivenza aveva i propri sistemi di produzione della luce, che funzionarono sinché i superstiti furono in grado di tornare in superficie

Caseman, protendendosi sul letto, lo interruppe: — Tranne i vostri. Dopo alcune generazioni, voi avete perso la capacità tecnica di effettuare eventuali riparazioni dei sistemi. E quell’eventualità si verificò sul serio.

— Vi fu un piccolo guasto — riprese Thorndyke. — E… be’, le luci andarono via. Contemporaneamente, la maggior parte dei condotti d’acqua surriscaldata che portavano alla vostra sala principale, s’interruppero bruscamente. La tua gente dovette spingersi nelle profondità del complesso, occupando altre sale, che erano state predisposte soltanto parzialmente per ricevere eventuali eccedenze di popolazione.

Vagamente, Jared cominciava a costruirsi uno schema d’insieme di quello che stavano tentando di fargli credere. Ma era così assurdo, inconcepibile — anche quel poco che riusciva a capire — che la logica si ribellava violentemente e non voleva saperne di accettarlo. Per esempio, chi poteva comprendere un infinito strapieno di gente ostile? Eppure, né la voce di Thorndyke né quella di Caseman avevano avuto un’aria minacciosa. Anzi, era innegabile che le parole, per quanto per la maggior parte non avessero nessun significato, lo blandivano con la loro dolcezza.

Ma no! Quella era proprio la reazione che stavano tentando di ottenere da lui! Stavano adoperando l’inganno per guadagnarsi la sua confidenza. Ciononostante, Jared era fermamente deciso a non abbandonare — contro qualsiasi tentativo da parte dei mostri — il suo proposito di liberarsi, di ritrovare Della e di scappare insieme a lei dalla Radiazione.

Aprì gli occhi, ma lasciò che si soffermassero soltanto brevemente sullo schema visivo di Thorndyke. A un lato di quella impressione centrale, riusciva a vedere la finestra con le tendine tirate all’indietro. Aldilà, si innalzava l’enorme parete di roccia e terra con la sua abbagliante apertura buia: l’imboccatura della galleria.

Poi si irrigidì mentre le sensazioni luminose raggiungevano una chiarezza ancora maggiore. In lontananza si intravedevano decine di figure in movimento, figure che — ne era certissimo — erano Sopravvissuti o mostri umanoidi, ma che non erano più grandi del suo dito mignolo! E vide anche, adesso, che l’imboccatura del corridoio che conduceva al suo mondo era piccola quanto l’unghia del suo dito!

Caseman doveva aver ricevuto un’impressione visiva del suo volto distorto dallo sgomento. — Che c’è che non va in lui, Thorndyke?

Ma l’altro scoppiò a ridere. — Sta vivendo la sua prima esperienza con la percezione oculare. Non aver timore, Fenton. Ti abituerai a vedere molto piccoli gli oggetti lontani. Non sono forse più forti le voci a te vicine di quelle lontane?

— Vede abbastanza bene, per essere un principiante — asserì Caseman.

— Direi che è persino molti passi più avanti degli altri, su questo punto. Probabilmente è già stato all’esterno altre volte prima d’ora. E così, Fenton?

Ma Jared non rispose. Con gli occhi chiusi, si lamentava del fatto che le brutture dell’infinito erano ancora più orribili di quanto avesse sospettato. Doveva assolutamente ritornare nei suoi mondi!

— Parlavamo del complesso di Sopravvivenza numero undici… — la voce di Thorndyke interruppe i suoi pensieri preoccupati. — Quando la tua gente abbandonò la sala principale, lasciò dietro di sé tutta la conoscenza e la ragione. Noi l’abbiamo scoperto quando aprimmo i sigilli ed effettuammo il nostro primo viaggio nei corridoi. Per inciso, dirò che siamo membri di una spedizione proveniente dal complesso di Sopravvivenza sette, usciti dalle nostre caverne quasi una generazione fa. Come stavo narrandoti, abbiamo incontrato un Sopravvissuto solitario che si aggirava per una delle vostre gallerie. Quando riuscii finalmente a immobilizzarlo con mezzo nelson, cominciammo a capire come stavano effettivamente le cose.

— Era un Sopravvissuto del Livello Superiore — specificò Caseman. — Ci sono volute settimane intere per fargli entrare un po’ di logica nel cervello. E, nello stesso tempo, ci siamo resi conto che portare tutto il resto di voi alla luce del sole, all’esterno, non sarebbe stato tanto facile come entrare nel vostro mondo e dire: «Eccoci qui, questa è la luce; andiamo fuori.»

— Esatto — confermò Thorndyke. — Fintanto che stavamo studiando la situazione, dovevamo procedere con cautela, catturando un Sopravvissuto alla volta, mentre cercavamo di stendere un piano completo delle gallerie e delle caverne. Non potevamo fare un’irruzione in forze finché non avessimo conosciuto a fondo tutte le nicchie e i pertugi in cui vi sareste potuti nascondere, quando vi avessimo cacciati dalle vostre sale.

Una parte del racconto cominciava ad acquistare qualche significato per Jared, che si costrinse a rimanere fermo e a continuare ad ascoltare.

Thorndyke si alzò e fece una breve risata. — Avevamo progettato di rieducare qualche Sopravvissuto, e poi di rimandarlo dentro, senza luce, a portare gentilmente, con calma, la notizia agli altri.

— Ma non avrebbe funzionato — spiegò Caseman. — Dopo che uno di voi ha recuperato l’abitudine di adoperare gli occhi, scopre di non essere più in grado di addentrarsi nell’oscurità senza luce. La maggior parte dei Sopravvissuti, anzi, ha paura anche di tornare indietro.

Thorndyke si fregò le mani. — Questo dovrebbe bastare per il momento, Fenton. Pensaci sopra. Ho idea che la prossima volta che verremo, avrai molte domande da farci, e per aiutarci a risponderti, porteremo con noi alcune persone che tu conosci bene e di cui ti fidi.

Jared riaprì gli occhi giusto in tempo per vederli uscire dalla baracca. E notò, con profonda costernazione, che avevano avuto ragione, almeno per quanto riguardava la prospettiva. Più si allontanavano dalla baracca e più rimpicciolivano.

Lottò disperatamente per liberarsi dalle corde che lo legavano, ma senza nessun risultato. Poi, fermandosi a riposare un po’, voltò la testa verso il muro opposto. Subito un’ondata enorme di luce intensa gli penetrò negli occhi e lui gridò per lo sgomento. Un bordo di quell’immenso disco che Thorndyke aveva negato fosse Idrogeno urlava furiosamente contro di lui da un angolo della finestra! Si stava forse avvicinando alla baracca, tentando di arrivare a lui?

Freneticamente, concentrò le forze rimastegli in un tentativo estremo di liberarsi. I legami si ruppero e volarono via, proprio mentre Jared sentiva intensificarsi sulla schiena il flusso di calore di quel… sole, così l’aveva chiamato Thorndyke.

Si diresse verso la porta e tirò inutilmente quella solida cortina finché non gli si ruppero le unghie. Dopo un attimo d’esitazione, prese la rincorsa sul pavimento e si lanciò attraverso la finestra.

Atterrò sui piedi, e si accorse subito che il sole non era vicino quanto aveva temuto. Ma c’erano in compenso altre complicazioni. Le impressioni che gli entravano negli occhi gli dicevano che la sua baracca era solo una di una lunga fila. Tuttavia, ogni baracca era un po’ più minuscola di quella immediatamente precedente; fino ad arrivare all’ultima che era di poco più grande della sua mano!

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