Robert Heinlein - Fanteria dello spazio

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Fanteria dello spazio: краткое содержание, описание и аннотация

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Dalle prime invasioni di H. G. Wells, il tema della guerra contro i «mostri» di mondi lontani è stato spesso trattato dagli scrittori di fantascienza. Ma crediamo che questo romanzo sia senza precedenti e meriti di essere segnalato particolarmente ai lettori. Si tratta a nostro parere di una delle opere più riuscite e originali nella vastissima produzione di Robert Heinlein. La storia è raccontata in prima persona e in un linguaggio secco e pittoresco da un soldato dell’esercito terrestre, un ragazzo che scappa di casa per arruolarsi nella fanteria dello spazio (regina, a quanto pare, anche delle battaglie cosmiche), partecipa alle operazioni belliche nella Galassia, e «fa carriera» fino a meritarsi i galloni da ufficiale… Ma ciò che costituisce il mordente del libro e lo straordinario verismo, la «fedeltà» quasi cinematografica delle esperienze militari del protagonista. I sergenti cattivi, le marce le esercitazioni a fuoco, la terribile disciplina, la solidarietà fra commilitoni sono cose che molti lettori conosceranno per averle provate di persona. Ma qui anche la «tuta potenziata» l’arma tuttofare della fanteria spaziale, anche i lanci dall’astronave, i rastrellamenti a «saltamontone», le offensive contro i «pelleossa» e i «ragni» dei pianeti nemici sono descritti con una bravura da grande documentarista. Ed è l’apparenza realistica di queste avventure di guerra a renderle più persuasive e soprattutto più drammatiche e avvincenti.
Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1960.

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Hendrick sbagliò di nuovo.

Ci allenavamo con i bastoni e con il filo di ferro (quante cose si possono improvvisare con un pezzo di filo di ferro!) e imparavamo quello che si può fare con armi modernissime, e come farlo, e come tenere in ordine e in efficienza il materiale: armi nucleari simulate, razzi della fanteria e ogni tipo di gas, veleni, bombe incendiarie e dirompenti. Ma apprendemmo anche un mucchio di altre cose sulle armi antiquate. Baionette su fucili a salve, e fucili che non erano a salve ma quasi identici ai fucili dei fanti del Ventesimo secolo, molto simili ai nostri fucili da caccia, solo che noi sparavamo unicamente pallottole potenti, proiettili di piombo incamiciati in lega indirizzati a bersagli situati a distanza moderata e a obiettivi a sorpresa, in brevi scorribande volte a catturare i nemici. Il tutto doveva prepararci all’uso delle armi che andavano puntate con precisione e soprattutto a tenerci pronti, all’erta, per qualsiasi evenienza. Serviva, infatti. Sono sicurissimo che serviva.

Usavamo quei fucili nelle esercitazioni sul campo, in sostituzione di armi da tiro più letali e crudeli. Tutto quello che adoperavamo era simulato, non avrebbe potuto essere altrimenti. Le granate e le bombe da esercitazione, usate contro materiali o persone, esplodevano emettendo una gran quantità di fumo nero. Un altro tipo di granata emanava un gas che faceva starnutire e piangere, il che equivaleva a essere morti o paralizzati: cosa sufficientemente fastidiosa da spingerci ad assumere le più efficaci precauzioni antigas. Senza contare l’iradiddio che ci pioveva addosso se per caso restavamo colpiti.

E dormivamo sempre meno. Oltre la metà delle esercitazioni venivano svolte di notte, con radar, visualizzatore, radioriceventi eccetera.

I fucili erano caricati a salve, tranne uno a caso ogni cinquecento, che aveva proiettili veri. Pericoloso? Sì e no. Anche il fatto di vivere, in sé è pericoloso, e un proiettile di piombo probabilmente non basta a uccidere, a meno che non ti prenda proprio alla testa o al cuore, e non sempre anche in questo caso. Quell’unico fucile su cinquecento veramente pericoloso serviva comunque a motivarci a stare coperti: sapevamo che i fucili erano in dotazione anche agli istruttori, che erano tiratori scelti e facevano del loro meglio per colpirci… con la conseguenza che possiamo immaginare, se l’arma carica capitava proprio in mano loro. È vero che ci garantivano di non mirare mai alla testa, ma una disgrazia può sempre capitare.

Questo amichevole impegno non era molto rassicurante. Quella cinquecentesima pallottola trasformava esercizi noiosi in una specie di roulette russa su larga scala. Quando avete appena sentito fischiare una pallottola vicino all’orecchio senza nemmeno avere sentito il rumore de! fucile, vi assicuro che non vi annoiate più.

Ma poi ci abituammo, e subito ci arrivò dall’alto la voce che, se non fossimo stati più pronti a scattare, l’incidenza dei fucili veri sarebbe salita a uno su cento, e se non fosse bastato, a uno su cinquanta. Non so se quel cambiamento venne apportato sul serio, non c’è modo di saperlo, posso però testimoniare che ritrovammo subito l’antica lena, anche perché un ragazzo dell’altra compagnia si era beccato una pallottola vera nel fondo della schiena, il che gli procurò una brutta ferita e una grande quantità di commenti salaci e infuse agli altri un rinnovato ardore nel tenersi al coperto. Ci prendemmo gioco di quel ragazzo per il posto in cui era stato colpito… ma tutti noi sapevamo che a essere ferita avrebbe potuto essere la sua testa, o le nostre.

Gli istruttori che non prendevano parte al conflitto a fuoco, non stavano al riparo. Indossavano una camicia bianca e se ne andavano in giro con i loro stupidi bastoni di comando, in apparenza assolutamente certi che nessuna recluta avrebbe sparato intenzionalmente a un istruttore, il che, da parte di alcuni, era evidentemente un eccesso di presunzione. In realtà, le probabilità che un colpo sparato con propositi omicidi fosse mortale erano una su cinquecento, e il fattore sicurezza veniva aumentato dal fatto che difficilmente una recluta avrebbe centrato il bersaglio scelto. Un fucile non è un’arma facile da usare, visto che non si può orientare con precisione il proiettile verso il bersaglio sparando in fretta. Ho saputo che nei tempi in cui le guerre venivano combattute solo a colpi di fucile, la media dei morti era di uno su diverse migliaia di colpi sparati. Sembra impossibile, eppure la storia militare conferma che è vero: pare che la maggior parte delle fucilate venisse tirata a casaccio, tanto per costringere il nemico a tenere giù la testa e impedirgli di prendere la mira.

In ogni modo, nessuno dei nostri istruttori rimase ferito o ucciso, e nemmeno altri, tranne quell’unico fante, soffrirono danni per colpa dei fucili carichi. Le morti furono provocate da altre armi o cose, alcune delle quali potevano rivelarsi assai pericolose se non avevi fatto tutto secondo le regole. Un ragazzo riuscì, per esempio, a rompersi l’osso del collo mettendosi al riparo troppo precipitosamente quando gli spararono per la prima volta, ma nessun proiettile lo colpì.

Comunque, per una reazione a catena, questa storia dei fucili carichi contribuì a spezzare il mio morale. Il colpo più pesante lo ricevetti quando mi furono tolti i galloni di capopattuglia, non per colpa mia ma per qualcosa che la pattuglia aveva fatto mentre io non ero presente. Lo feci notare a Bronski che mi rispose imponendomi di tacere. Allora feci rapporto a Zim. Il sergente mi disse in tono gelido che ero responsabile di tutto quello che i miei uomini facevano, e mi rifilò sei ore di punizione per avergli parlato senza l’autorizzazione di Bronski. Poi ricevetti una lettera che mi lasciò sconvolto: mia madre si era finalmente decisa a scrivermi. Inoltre, mi slogai una spalla nel primo addestramento con la tuta potenziata (nelle divise da esercitazione erano stati inseriti meccanismi che permettevano all’istruttore di provocare incidenti a piacere, e attraverso un controllo radio mi fecero cadere causandomi un infortunio alla spalla). L’incidente mi fruttò un periodo di servizio ridotto, con troppo tempo per pensare ai casi miei, proprio in un momento in cui avevo le ragioni più valide, a mio parere, per autocommiserarmi.

A causa del servizio ridotto, un giorno venni destinato all’ufficio del comandante di battaglione. Dapprima mi mostrai zelante, perché volevo fare buona impressione, poi scoprii che il capitano Frankel non pretendeva un atteggiamento zelante: voleva soltanto che me ne stessi immobile, zitto, senza disturbarlo. Non osavo addormentarmi, e quindi ebbi modo di autocommiserarmi più che mai.

Poi, poco dopo colazione, mi sentivo ben sveglio: il sergente Zim era entrato nell’ufficio seguito da tre uomini. Zim era lindo e impeccabile come sempre, ma con un’espressione da chi gli è morto il gatto , e in più un’ammaccatura sopra l’occhio destro, che aveva tutta l’aria di volersi espandere in un bernoccolo, anche se una cosa del genere in lui sembrava impossibile. Degli altri tre, quello di mezzo era Ted Hendrick. Era tutto sporco… ma si sa, la compagnia era appena tornata da un’esercitazione sul campo. Non le puliscono, quelle praterie, e in più, durante l’esercitazione, non si fa altro che strisciare ventre a terra. Però Hendrick aveva anche un labbro spaccato, sangue sul mento e sulla camicia, in più aveva perso il berretto. E sembrava fuori di sé.

Gli uomini ai suoi fianchi erano due reclute. I due erano armati di fucile, Hendrick no. Uno dei due era della mia pattuglia, un certo Leivy. Aveva l’aria eccitata e soddisfatta, e mi guardò strizzando l’occhio appena fu certo che nessuno badava a lui.

Il capitano Frankel parve sorpreso. — Che cosa succede, sergente?

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