L’oratore levò di nuovo la mano, e vi fu immediatamente silenzio.
«Amici,» disse, «perché non mi ascoltate? L’altro mondo vi attende. Prima vi vanno i poveri. I poveri e i disperati, coloro di cui questo mondo non sa più cosa farsi. L’unico modo per andarvi è l’assoluta miseria: a mani vuote, senza nulla.
«Nell’altro mondo non vi sono bombe. Si ricomincia daccapo. Un intero mondo nuovo, quasi esattamente identico a questo, con alberi ed erba e suolo fertile e selvaggina sulle colline, e fiumi ricchi di pesci. Il posto che avete sempre sognato. E c’è la pace.»
Adesso le sirene erano più numerose, e si stavano avvicinando.
Vickers scese dal marciapiedi e attraversò correndo la strada.
Una macchina della polizia girò l’angolo, stridendo, slittando e raddrizzandosi, con i pneumatici che fischiavano sull’asfalto e la sirena che ululava come in preda alla sofferenza.
«Scusi?»
Arrivato quasi al marciapiede, Vickers inciampò e cadde lungo disteso. Istintivamente, si sollevò sulle mani e sulle ginocchia, lanciò uno sguardo verso la macchina della polizia che gli stava piombando addosso e capì che non ce l’avrebbe fatta, prima che riuscisse a rialzarsi sarebbe stato travolto.
Una mano uscita dal nulla l’abbrancò per un braccio, tirò, e Vickers si sentì catapultato fuori dalla strada, attraverso il marciapiedi.
Un’altra macchina della polizia girò l’angolo, slittando, con i pneumatici appiattiti che stridevano, ed era come se la prima fosse ritornata per fare una seconda entrata in scena.
La folla si disperdeva, correndo disperatamente.
La mano gli diede uno strattone al braccio, lo rimise in piedi, e Vickers vide per la prima volta l’uomo, un uomo dal maglione lacero, con una vecchia cicatrice irregolare di coltello che gli sfregiava la guancia.
«Presto,» disse l’uomo, mentre la cicatrice fremeva ad ogni parola, e i denti balenavano nel volto ombreggiato dai baffi.
Spinse Vickers in uno stretto vicolo tra due edifici, e Vickers si lanciò a corsa, curvando le spalle, tra i muri di mattoni che sorgevano ai due lati.
Sentì l’ansimare dell’uomo che lo seguiva correndo.
«A destra,» disse l’uomo. «Una porta.»
Vickers afferrò la maniglia e la porta si spalancò su di un corridoio buio.
L’uomo entrò insieme a lui e chiuse la porta, e rimasero fermi nel buio, ansanti per la corsa, e gli ansiti battevano come un cuore irregolare nella tenebra soffocante.
«C’è mancato poco,» disse l’uomo. «I poliziotti diventano sempre più rapidi. Basta cominciare un comizio e…»
Non finì la frase. A tentoni, toccò il braccio di Vickers.
«Mi segua,» disse. «Stia attento ai gradini.»
Vickers lo seguì, brancolando, giù per la scala scricchiolante, mentre l’odore di muffa d’una cantina si faceva più forte ad ogni gradino.
In fondo alla scala, l’uomo scostò una coperta appesa come una tenda, ed entrarono in una stanza fiocamente illuminata. In un angolo stava un vecchio pianoforte scalcinato, in un angolo un mucchio di casse: al centro c’era un tavolo, intorno al quale sedevano quattro uomini e due donne.
Uno degli uomini disse:
«Abbiamo sentito le sirene.»
Lo sfregiato annuì.
«Charley stava andando proprio bene. La gente stava per mettersi a gridare.»
«Chi è il tuo amico, George?» chiese un altro.
«Scappava,» disse George. «Per poco non è stato investito da un’auto della polizia.»
Guardarono tutti Vickers, con interesse.
«Come si chiama, amico?» chiese George.
Vickers glielo disse.
«È a posto?» chiese qualcuno.
«Era là,» disse George. «E scappava.»
«Ma è rischioso…»
«Lui è un tipo a posto,» disse George, ma Vickers notò che lo diceva con troppa veemenza, con troppa ostinazione, come se adesso si rendesse conto di aver commesso un errore conducendo lì uno sconosciuto.
«Beva qualcosa,» disse uno degli uomini. E spinse sulla tavola una bottiglia, verso Vickers.
Vickers sedette e prese la bottiglia.
Una delle donne, la più bella delle due, gli disse:
«Mi chiamo Sally.»
Vickers disse: «Lieto di conoscerla, Sally.»
Si guardò intorno. Nessuno degli altri sembrava disposto a preentarsi.
Alzò la bottiglia e bevve. Era roba scadente, e lo fece tossire un po’.
«È un attivista?» chiese Sally.
«Prego?»
«Attivista o purista?»
«È un attivista,» disse George. «Era là in mezzo a tutti gli altri.»
Vickers notò che George sudava leggermente per la paura di avere sbagliato.
«Sicuro come l’inferno che non ne ha l’aria,» disse uno degli uomini.
«Sono un attivista», disse Vickers, perché si rendeva conto che a quelli andava bene così.
«È come me,» disse Sally. «È un attivista per principio, ma un purista per predilezione. Non è esatto?» chiese a Vickers.
«Sì,» disse lui. «Credo sia proprio così.»
Bevve un altro sorso.
«Qual è il suo periodo?» chiese Sally.
«Il mio periodo,» disse Vickers. «Oh, sì, il mio periodo.»
E ricordò il viso pallido e intenso della signora Leslie, mentre gli chiedeva quale periodo storico, secondo lui, poteva essere più emozionante.
«Carlo secondo,» disse.
«Ci ha messo un po’ a rispondere,» disse uno degli uomini, insospettito.
«Ho pasticciato un po’ con diversi periodi,» spiegò Vickers. «Per provare, ecco. Mi è occorso un po’ di tempo per trovare quello che mi andava bene.»
«Ma poi ha scelto Carlo secondo,» disse Sally.
«Precisamente.»
«Il mio,» disse Sally, «è il periodo azteco.»
«Ma il periodo azteco…»
«Lo so,» fece lei. «Non è giusto, vero? Si sa così poco degli aztechi. Ma in questo modo me la cavo meglio, e invento un po’. È molto più divertente.»
George disse:
«È tutta una stupidaggine. Magari andava benissimo pasticciare con i diari e fingere di essere qualcun altro quando non c’era nient’altro da fare. Ma adesso abbiamo da fare, eccome.»
«George ha ragione,» convenne l’altra donna.
«Siete voi attivisti a sbagliare,» sostenne Sally. «La cosa fondamentale, nel Finzionismo, è la capacità di distaccarsi dal tempo e dallo spazio presente, e proiettarsi in un’altra epoca.»
«Stai a sentire,» disse George. «Io…»
«Oh, sono d’accordo che dobbiamo lavorare per questo altro mondo,» disse Sally. «È l’occasione che abbiamo sempre sognato. Ma questo non significa che dobbiamo rinunciare…»
«Piantatela,» disse uno degli uomini, un individuo grande e grosso seduto a capotavola. «Piantatela con queste discussioni. Non è il posto adatto.»
Sally disse a Vickers:
«Stasera abbiamo una riunione. Le piacerebbe venirci anche lei?»
Vickers esitò. Nella luce fioca, vide che tutti lo stavano fissando.
«Sicuro,» disse. «Sicuro. Sarà un piacere.»
Prese la bottiglia e bevve un altro sorso, e poi la passò a George.
«Per un po’, non ci sarà nessuno in giro,» disse George. «Bisogna aspettare che i poliziotti si calmino.»
Bevve un sorso e fece passare la bottiglia.
Un altro mondo dietro l’angolo, e tutti i sogni si concentravano su di esso, pensò Vickers, guardandosi intorno. Un altro mondo dietro l’angolo, e c’era già chi credeva con forza maggiore, e c’erano già coloro che provavano nostalgia per i vecchi sogni. Puristi e attivisti, e ciascuno di loro pensava, sinceramente e onestamente, di essere dalla parte della ragione. E lui era in mezzo a loro, e lo avevano salvato, e desiderava conoscerli meglio, anche se l’intuizione che lo aveva spinto a contare su di loro era già stata dimostrata.
Sarebbe andato alla loro riunione, pensò. Era davvero qualcosa che non pensava di perdere.
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