«Mi sembra,» disse il vicino, «di averla già vista da qualche parte.»
«Deve sbagliarsi. Non sono mai stato all’Est, prima d’ora.»
«La sua voce…»
Vickers lo colpì con tutte le sue forze, facendo partire il pugno dal basso verso l’alto in un arco rabbioso, torcendosi per aggiungere tutto il suo peso alla forza del colpo.
Centrò l’uomo in piena faccia, e l’urto della carne contro la carne, dell’osso contro l’osso, produsse un suono sferzante: e l’uomo crollò.
Vickers non indugiò neppure un attimo. Girò su se stesso e corse verso il cancello, e nel salire a bordo per poco non scardinò la portiera. Pemette rabbiosamente l’avviamento, schiacciò l’acceleratore, e la macchina si avventò sulla strada, innaffiando di ghiaia gli arbusti con la forza dei pneumatici spaventati.
Si sentiva il braccio intorpidito dalla violenza del corpo, e quando accostò la mano alle luci del cruscotto, vide che aveva le nocche lacerate, e perdeva qualche goccia di sangue.
Aveva qualche minuto di vantaggio: il vicino avrebbe impiegato un po’ per riprendersi e rendersi conto di ciò che era accaduto. Ma appena si fosse rimesso in piedi, appena avesse raggiunto un telefono, avrebbero cominciato tutti a dargli la caccia, nella notte, fra stridori di pneumatici, con i fucili e la corda e le doppiette.
E lui doveva andarsene. Ormai era abbandonato a se stesso.
Eb era morto: aggredito senza preavviso, sicuramente, senza la possibilità di rifugiarsi sull’altra Terra. Eb era stato abbattuto a fucilate o a calci o impiccato. Ed Eb era stato il suo unico contatto.
E adesso c’erano soltanto lui ed Ann.
Ed Ann, grazie a Dio, non sapeva neppure di essere una mutante.
Arrivò sull’autostrada e si lanciò giù per la valle, a tutto gas.
C’era una vecchia strada abbandonata, una quindicina di chilometri più avanti, ricordò Vickers. Poteva nascondersi lì con la macchina, e attendere fino a quando non fosse più stato pericoloso ritornare indietro. Ma probabilmente tornare indietro sarebbe stato pericoloso comunque.
Forse sarebbe stato meglio buttarsi tra le colline e nascondersi fino a quando gli altri avrebbero rinunciato a dargli la caccia.
No, si disse. Era pericoloso anche quello.
E lui non aveva tempo da perdere.
Doveva arrivare a Crawford, e doveva fermarlo. E doveva farlo da solo.
La strada abbandonata era là, a mezza costa su di una ripida collina. Svoltò, guidando la macchina tra sobbalzi e scossoni per una trentina di metri, poi scese e ritornò a piedi fino alla strada.
Nascosto in mezzo agli alberi, vide delle automobili passare stridendo, ma non poteva sapere se stavano dando la caccia a lui.
Poi un vecchio camion traballante salì lentamente la collina, ruggendo per lo sforzo.
Vickers l’osservò, mentre un’idea si affermava nella sua mente.
Quando il veicolo arrivò alla sua altezza, si accorse che dietro era chiuso solo da un’alta sponda.
Si lanciò fuori, sulla corsia, e l’inseguì, lo raggiunge e spiccò un balzo. Si aggrappò con le dita alla parte superiore della sponda, si issò, si inerpicò tra le casse ammucchiate.
E si rannicchiò, guardando la strada che fuggiva dietro di lui.
Un animale braccato, pensò: braccato da uomini che un tempo erano stati suoi amici.
Dopo una quindicina di chilometri, qualcuno fermò il camion.
Una voce chiese:
«Ha visto qualcuno, sulla strada, più indietro? Magari a piedi?»
«No, diavolo,» disse il camionista. «Non ho visto un’anima.»
«Stiamo cercando un mutante. Pensiamo che debba avere abbandonato la macchina.»
«Credevo che li avessimo liquidati tutti,» disse il camionista.
«Non tutti. Forse si è buttato tra le colline. Se è così, lo prenderemo.»
«La fermeranno ancora,» disse un’altra voce. «Abbiamo telefonato qui intorno. Hanno messo dei blocchi stradali.»
«Terrò gli occhi aperti,» disse il camionista.
«È armato?»
«No.»
«Be’, comunque stia attento.»
Quando il camion si rimise in moto, Vickers scorse due uomini fermi sulla strada. Il chiaro di luna faceva scintillare i loro fucili.
Cominciò a muoversi cautamente, spostando alcune casse, per farsi un nascondiglio.
Ma non era necessario.
Il camion venne fermato ad altri tre blocchi stradali, ma nessuno fece più che far passare il raggio di una torcia elettrica dentro al veicolo. Sembrava che non fossero molto impegnati: convinti che non avrebbero scovato tanto facilmente un mutante, forse pensavano che quello era già svanito, come ne erano svaniti tanti altri, una volta messi sull’avviso.
Ma Vickers non poteva permettersi di prendere quella via verso la salvezza. Aveva una missione da compiere su questa Terra.
Sapeva quel che avrebbe trovato al negozio, ma ci andò lo stesso, perché era l’unico posto dove poteva tentare di stabilire un contatto. Ma l’enorme vetrina era sfondata e la casa era stata sfasciata e distrutta completamente, come se fosse stata investita da un ciclone.
La folla inferocita aveva fatto ciò che doveva.
Si fermò davanti alla vetrina sfondata e guardò i rottami della casa e ricordò il giorno che lui e Ann si erano fermati, mentre andavano alla stazione degli autobus. La casa, ricordò, aveva avuto una banderuola segnavento a forma d’anatra in volo, e una meridiana in giardino, e un’auto ferma sul vialetto, ma l’auto era sparita. L’avevano trascinata in mezzo alla strada, probabilmente, e l’avevano fracassata come era stata fracassata la sua in quella cittadina dell’Illinois.
Voltò le spalle alla vetrina e s’incamminò lentamente lungo la strada. Era stato assurdo venire lì, si disse, ma c’era stata una possibilità, sebbene vaga, come erano tutte le sue possibilità.
Girò l’angolo e in una piazza polverosa, dall’altra parte della strada, si era radunata una folla numerosa, per ascoltare qualcuno che era salito su una panchina e stava parlando.
Oziosamente, Vickers attraversò la strada e si fermò di fronte alla folla.
L’uomo in piedi sulla panchina si era tolto la giacca, rimboccandosi le maniche e allentando la cravatta. Parlava in tono discorsivo, sebbene le sue parole giungessero fino a Vickers, dall’altra parte del giardino pubblico.
«Quando verranno le bombe,» chiese l’uomo, «che cosa accadrà? Ci dicono di non aver paura. Ci dicono, continuate a fare il vostro lavoro e non abbiate paura. Vi hanno detto di restare e di non preoccuparvi, ma loro cosa faranno, quando arriveranno le bombe? Vi aiuteranno, allora?»
Fece una pausa, e la folla era tesa, tesa in un silenzio terribile. Quasi si sentivano i muscoli aggrovigliati che serravano le mascelle e la mano che stringeva il cuore fino a raggelare tutto il corpo. E si captava la paura…
«Non vi aiuteranno,» disse l’oratore, lentamente, con fermezza. «Non vi aiuteranno, perché niente potrà aiutarvi. Sarete morti, amici miei. Morti a decine di migliaia. Morti nel sole divampato sopra la città. Morti e ridotti in nulla. Morti, e atomi irrequieti.
«Voi morirete…»
Da lontano giunse l’ululato delle sirene, e a quel suono la folla si agitò inquieta, quasi rabbiosa.
«Voi morirete,» disse l’oratore, «mentre non c’è bisogno di morire, perché c’è un altro mondo che vi attende.
«La chiave dell’altro mondo è la miseria. La miseria è il biglietto che vi servirà per compiere il viaggio. Basta che lasciate il vostro lavoro, che rinunciate a tutto ciò che avete… e gettiate via tutto ciò che avete. Potrete andare solo a mani vuote…»
Le sirene erano più vicine e la folla mormorava, si agitava, come un grosso animale che cominciasse a destarsi. Il suono della sua voce corse attraverso la piazza come l’improvviso fruscio di foglie nel vento che precede un uragano.
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