«Sì.»
«Sì? Daneel era stato progettato imitando uno spaziale in tutti i particolari. Perché non dovrebbe uno spaziale imitare Daneel?»
«Per quale motivo?»
«Per venire qui a condurre un'investigazione con maggiore iniziativa e capacità di quelle di un robot. E poi, assumendo il ruolo di Daneel, avresti potuto tranquillamente tenermi sotto controllo lasciandomi la falsa consapevolezza che ero io il padrone. Dopo tutto lavori attraverso di me, e io devo essere considerato malleabile.»
«Questo non è vero, collega Elijah.»
«Provalo» disse Baley, spostandosi lentamente a un'estremità del tavolo e sollevando un eliminatore di rifiuti. «Puoi farlo abbastanza facilmente, se sei davvero un robot. Fa' vedere il metallo sotto la pelle.»
«Ti assicuro…» incominciò Daneel.
«Mostra il metallo» disse vivace Baley. «È un ordine! O non provi l'impulso di obbedire agli ordini?»
Daneel si sbottonò la camicia. La liscia pelle bronzea del suo petto era coperta di una leggera peluria. Le dita di Daneel esercitarono una ferma pressione proprio sotto il capezzolo destro e pelle e carne si divisero incruentemente per tutta la lunghezza del petto, rivelando sotto lo scintillio del metallo.
E, mentre accadeva questo, le dita di Baley cessarono la loro inerzia per azionare di colpo un interruttore. Quasi immediatamente entrò un robot.
«Non ti muovere, Daneel» gridò Baley. «È un ordine! Congelati!»
Daneel rimase immobile, come se la vita, o la sua imitazione robotica, lo avesse abbandonato.
Baley gridò al robot: «Puoi far venire altri due della servitù senza andartene? Se puoi, fallo».
«Sì, padrone» rispose il robot.
Chiamati con l'interradio, entrarono altri due robot. I tre si allinearono fianco a fianco.
«Ragazzi!» gridò Baley. «La vedete questa creatura che pensavate fosse un padrone?»
Sei occhi rossastri si appuntarono solennemente su Daneel. Dissero all'unisono: «La vediamo, padrone».
«Allora vedete anche» proseguì Baley «che questo cosiddetto padrone, visto che dentro ha del metallo, è un robot come voi. È stato solo progettato simile a un uomo.»
«Sì, padrone.»
«Non siete costretti a obbedire a ogni ordine che vi dà. Lo capite questo?»
«Sì, padrone.».
«Invece io» continuò «sono un uomo.»
Per un istante i robot esitarono. Baley si chiese se, avendo mostrato loro che una cosa può sembrare un uomo ed essere un robot, avrebbero accettato come uomo qualunque cosa in apparenza umana.
Ma poi un robot disse: «Tu sei un uomo, padrone» e Baley ricominciò a respirare.
«Molto bene, Daneel» disse. «Ora puoi rilassarti.»
Daneel assunse una posizione più naturale e disse, sempre calmo: «Comprendo che tu abbia espresso dubbi sulla mia identità, allora, solamente per esibire la mia natura a questi altri».
«E così è stato» disse Baley, guardando altrove. Pensò: quella cosa è una macchina, non un uomo. Non c'è nulla di male nell'imbrogliare una macchina.
Eppure non riusciva a reprimere completamente una sensazione di vergogna. Anche stando lì col petto aperto, Daneel gli sembrava ancora qualcosa di umano, qualcosa capace di subire un tradimento.
«Chiuditi il petto, Daneel,» ordinò «e ascoltami. Fisicamente non ti puoi misurare con tre robot. Lo vedi da solo, no?»
«È chiaro, collega Elijah.»
«Bravo!… Ora, ragazzi,» e si girò di nuovo verso gli altri robot «non dite a nessuno, neanche a un padrone, che questa creatura è un robot. In nessun momento, senza ulteriori istruzioni mie e mie soltanto.»
«Ti ringrazio» intervenne sommesso Daneel.
«Comunque,» proseguì Baley «a questo robot simile a un uomo non è permesso interferire in alcun modo con le mie azioni. Se tenta una tale interferenza, glielo impedirete con la forza, badando di non danneggiarlo, a meno che non sia assolutamente necessario. Non permettetegli di entrare in contatto con altri esseri umani se non con me, né con altri robot, se non con voi, sia vedendo che visionando. E non lasciatelo mai solo. Le vostre attuali mansioni sono sospese fino a nuovo ordine. È tutto chiaro?»
«Sì, padrone» risposero in coro.
Baley tornò a voltarsi verso Daneel. «Ora non c'è nulla che tu possa fare, quindi non cercare di fermarmi.»
Le braccia di Daneel gli pendevano inerti lungo i fianchi. «Non posso permettere che tu riceva danno per la mia inazione, collega Elijah. Eppure in queste circostanze solo l'inazione è possibile. Una logica inattaccabile. Non farò nulla. Ho fiducia che rimarrai incolume e in buona salute.»
Ci siamo, pensò Baley. La logica era la logica e i robot non avevano altro. La logica aveva detto a Daneel che aveva le mani completamente legate. La ragione avrebbe potuto dirgli che raramente si possono predire tutti i fattori e che l'opposizione avrebbe potuto essere un errore.
Nulla di tutto questo. Un robot è soltanto logico, non ragionevole.
Di nuovo Baley sentì una punta di vergogna e non poté evitare un tentativo di consolazione. «Senti, Daneel,» disse «anche se camminassi in mezzo a pericoli di ogni sorta, il che non è ,» si affrettò ad aggiungere dopo una rapida occhiata agli altri robot «sarebbe solo il mio lavoro. È quello per cui sono pagato. Il mio lavoro è prevenire che tutta l'umanità riceva danno, come il tuo è prevenire che lo ricevano gli individui. Capisci?»
«No, collega Elijah.»
«Questo è perché non sei fatto per capire queste cose. Se tu fossi un uomo, capiresti, credimi sulla parola.»
Daneel chinò il capo in segno d'acquiescenza e rimase in piedi immobile, mentre Baley andava lentamente alla porta. I tre robot si divisero per farlo passare, continuando a tenere gli occhi fotoelettrici puntati su Daneel.
Baley camminava verso una specie di libertà, e il cuore gli batteva mentre pregustava il fatto; poi perse un battito: dall'altra parte della porta stava arrivando un robot.
Forse qualcosa era andato storto?
«Che c'è, ragazzo?» scattò.
«È stato consegnato un messaggio per lei, padrone, dall'ufficio del Facente Funzioni del capo della Sicurezza Attlebish.»
Baley prese in mano la capsula personale e questa si aprì immediatamente. Ne uscì srotolandosi una striscia di carta finemente scritta. (Non era meravigliato. Solaria aveva in archivio le sue impronte digitali e la capsula era predisposta ad aprirsi al tocco di particolari circonvoluzioni.)
Lesse il messaggio, con la faccia che rispecchiava la soddisfazione. Era il permesso ufficiale di combinare interviste “visive”, previo assenso degli intervistati, che nondimeno erano invitati a dare la massima cooperazione agli “agenti Baley e Olivaw”.
Attlebish aveva capitolato, fino al limite di mettere il nome di Baley per primo. Era un eccellente auspicio per cominciare, finalmente, un'investigazione condotta come avrebbe dovuto esserlo.
Baley era ancora su un veicolo aereo, come in quel viaggio da New York a Washington. Questa volta però c'era una differenza: il veicolo non era ermeticamente chiuso. I finestrini erano stati lasciati trasparenti.
Era un giorno chiaro e luminoso e da dove Baley sedeva i finestrini apparivano come tanti riquadri blu. Spietatamente senza particolari. Cercò di non aggomitolarsi. Seppellì il capo tra le ginocchia solo quando non poté più assolutamente farne a meno.
La sfida era stato lui a sceglierla. Quasi lo pretendevano il suo stato di trionfo, l'insolito senso di libertà per aver battuto prima Attlebish e poi Daneel e l'aver sostenuto la dignità della Terra contro gli spaziali.
Aveva incominciato attraversando uno spazio.aperto fino a un aereo in attesa, con la testa leggera che gli girava in modo quasi piacevole, e aveva ordinato di non schermare le finestre in una specie di maniacale sicurezza di sé.
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