Nell’S-Spazio. Se sopravviverò, un mistero sarà spiegato, pensò Peron. Restituì la stretta di Wilmer.
— Ho bisogno di aiuto — disse Wilmer. Aveva ripreso a parlare sul circuito aperto. — Dobbiamo tirar fuori Peron da questa tuta non appena la pressione ce lo consentirà. E lui sarà privo di sensi. Elissa, vuoi organizzare il modo più veloce per farlo?
Peron provò l’impulso irrazionale, quasi sopraffacente, di scoppiare a ridere. Wilmer, diceva una voce dentro di lui, mio strano e glabro amico, come sei cambiato! Eri un vecchio verme tardy giù su Pentecoste, e adesso ti sei trasformato in una farfalla tutta autorità dalle ali dorate. Oppure, ancora meglio, in una pianta , una forma rara ed esotica che fiorisce soltanto fuori del pianeta? D’un tratto quella domanda era importante, ma lui sapeva di non essere in grado di fornire una risposta.
Aveva perso il controllo. Sapeva che erano arrivati alla cupola e che erano pronti a entrarci, ma non riusciva più a vedere il portello della camera di equilibrio. O le stelle; o anche il terreno sul quale si trovava. Pezzetto dopo pezzetto la scena davanti a lui si stava spegnendo. Era come un grande jig-saw puzzle, dove ogni pezzo era nero. Poteva soltanto vedere Wilmer che gli reggeva ancora il braccio.
Ecco, dunque. È a questo che assomiglia la morte. Non troppo male, davvero. Niente affatto male.
L’ultimo frammento del puzzle venne messo in posizione. Wilmer scomparve e tutto il mondo divenne nero.
Risvegliarsi fu un’agonia.
Cominciò come un basso mormorio di voci che parlavano una lingua che gli era familiare, ma con un’intensità e una intonazione talmente alterate da essere a malapena comprensibili. Era come la voce di una macchina. Si sforzò di comprendere. — … un po’ più di asfanol… anche soltanto per pochi minuti… fino a quando non sapremo cosa fare con gli altri (altri?)… il battito del cuore è forte e costante, adesso…
Poi un’affermazione chiara a bassa voce, irata e irritata: — Maledetto fastidio. Non possiamo far niente fino a quando non avremo una dichiarazione sulla linea di condotta da seguire. Perché quel pazzo ha fatto quello che ha fatto… impiegheremo un mese…
Respirava. L’aria gli entrava calda nei polmoni bruciando i delicati alveoli ad ogni lento respiro. Sentì che gli bruciava attraverso la barriera sangue e aria, poi fiammeggianti fiumi di ossigeno si riversarono attraverso le arterie e i capillari fino ad arrivare ad ogni estremità del suo corpo. Era un dolore implacabile. C’era la sofferenza dei tessuti che si risvegliavano e della circolazione che veniva ripristinata, accompagnati da spasimi muscolari che non era in grado di controllare.
Peron mosse la lingua. Quando questa toccò i denti, la sentì asciutta e gonfia, provò grande per la sua bocca. Ma quando si leccò le labbra, provò la sensazione d’un tessuto impregnato di glicerina, con uno strano sapore che gli butterava l’intero della bocca. Grugnì per il disgusto, ma dalla sua bocca non volle uscire nessun suono.
— È sveglio — disse un’altra voce. — Preparati, Peron Turca. Riesci ad aprire gli occhi?
Peron cercò di farlo. Le ciglia gli sembrarono saldate con la colla, ma con uno sforzo continuo riuscì un po’ alla volta a liberarle.
Sbirciò verso l’alto, attraverso i due occhi ridotti a fessure, e scoprì che stava guardando un pallido soffitto grigio il quale s’incurvava senza nessuna giunzione incontrando pareti dello stesso colore. Da qualche parte sulla destra c’era un fruscio costante e un rumore pulsante.
Girò la testa da quella parte: i muscoli del collo crepitarono riluttanti, si tesero e obbedirono agli ordini mentali. Giaceva accanto a una grande massa di attrezzature mediche, monitor, pompe, dispositivi per iniezioni automatiche endovena, e unità telemetriche. Numerosi tubi e cavi gli correvano lungo il braccio destro denudato. Altri gli correvano su fin dentro le narici e giù nella parte inferiore del corpo. Era nudo.
Sollevò la testa. C’era qualcosa di sottilmente sbagliato quando fece quel movimento, ma non dava l’impressione di essere un problema interno. Pareva piuttosto che le leggi della meccanica fossero state cambiate, in modo che, malgrado fosse chiaro che non si trovava in caduta libera, neppure si muoveva in una qualunque forma di gravità normale.
E c’era qualcosa di sbagliato nei suoi occhi. Sbagliato in modo terribile. Poteva vedere, ma ogni cosa era offuscata e indistinta, con gli orli scarsamente definiti e tutti i colori attenuati, ridotti a sfumature pastello.
Peron girò la testa a sinistra. Accanto al tavolo sul quale giaceva sedeva una donna. Era di mezza età. Aveva la fronte corrugata e lo guardava con ovvia disapprovazione. La sua faccia aveva una pelle liscia da bambino, e portava una cuffia azzurra che le aderiva al cranio.
— Va bene — disse. Non pareva stesse parlando a lui. — Pare che ci sia il controllo motorio. Ordine: iniettiamogli tre centimetri cubi di historex nella coscia.
Era la voce che aveva udito per prima, e ancora una volta aveva un suono rauco e stranamente meccanico. Non vide né sentì nulla, ma dopo pochi istanti avvertì un nuovo, fugace dolore alla coscia. Poi il dolore in tutti i suoi muscoli cominciò a diminuire. La donna scrutò la sua espressione e annuì.
— Eccellente. Ordine: controlla i monitor, e se sono soddisfacenti rimuovi i cateteri. Con delicatezza.
Peron abbassò lo sguardo sui cateteri che gli entravano nella parte inferiore del corpo, e si assicurò di mantenere lo sguardo fisso su di essi. Ancora una volta non vide né sentì niente, ma un attimo dopo erano scomparsi. Un altro attimo, e anche il tubo che gli entrava nelle narici non c’era più. Tirò un lungo, tremante sospiro. Il fuoco nei polmoni era ancora là.
La donna pareva ancora infastidita. — Ti senti strano e a disagio, lo so. A tutta prima l’S-Spazio fa sempre quell’effetto, a tutti. Ma non dura. Ringrazia il cielo che sei vivo, quando dovresti essere morto.
Vivo! Vivo. Peron ebbe un’improvvisa ondata di ricordi, che lo riportò agli ultimi momenti di disperazione su Whirlygig. Lì era stato moribondo, rassegnato all’inevitabile, del tutto certo della propria morte, mentre qui era vivo! Tutto il dolore venne spezzato via in un attimo, sopraffatto dalla consapevolezza della vita. Voleva parlare, lanciare un grande urlo di gioia davanti al semplice fatto della sua esistenza; ma ancora una volta non una sola parola gli volle uscire di bocca.
— Non provarci — disse la donna. — Non ancora. Dovrai imparare come si fa a parlare, e ci vuole un po’ di tempo. E non sfregarti gli occhi, funzionano normalmente, ma qui le cose sono diverse. Ora, ci sono delle cose che vanno fatte prima che tu sia pronto a parlare. Quel pazzo di Wilmer ha senz’altro creato un problema per tutti noi, ma immagino che adesso dovremo tenercelo. Adesso non possiamo ucciderti. Ordine: portagli una bevanda. L’acqua andrà bene ma controlla l’equilibrio degli ioni e dello zucchero nel sangue, e se ha bisogno di qualcosa fai le aggiunte necessarie.
La donna tese la mano e d’un tratto reggeva una fiaschetta piena d’un liquido giallo paglierino.
— Voglio che tu cerchi di prendermi questo di mano. Puoi farlo? Poi bevilo tutto e cerca di parlarmi.
Peron sollevò il braccio, e ancora una volta provò la sensazione che le leggi della fisica fossero state cambiate. Prese con decisione il controllo della propria mano per farla muovere nella direzione da lui voluta. Prese con cautela la fiaschetta, l’accostò alla bocca e bevette. Fu come un balsamo, che gli lenì la gola e per la prima volta si rese conto di avere una sete disperata. Bevette tutto.
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