— Il rifornimento dell’aria funziona, ma ha perso due serbatoi. — Era stato Lum a parlare, con voce stranamente distorta, alle sue spalle. La radio della tuta si era presa una botta, ma funzionava ancora, a modo suo.
— Non c’è problema, può spartire i nostri.
— I comandi del motore sembrano a posto.
— I contenitori di cibo sono andati distrutti.
— Possiamo supplire.
— Oh, oh. Il sistema termico è fuori uso. E la maggior parte dell’isolante è strappato via dalla parte inferiore del tronco.
— Questo è un problema assai peggiore.
La distorsione della radio era talmente forte che Peron trovava difficile identificare i singoli interlocutori. Attivò il «privacy mode». Mentre loro esaminavano lo stato del suo equipaggiamento, la sua mente li precedette fulminea.
Valuta le scelte.
Pensa!
Quattordici ore per tornare all’equatore… diciamo che si possa ridurle a dieci ore, alla massima velocità. Qualche minuto nella catapulta di lancio, poi altre sei o sette ore fino al rendez-vous con la nave. Nessuna speranza. Anche col sistema d’isolamento perfettamente funzionante, a quelle temperature la sua tuta l’avrebbe protetto soltanto per tre o quattro ore. Sarebbe morto d’ipotermia molto prima di aver raggiunto l’equatore.
Mettersi una nuova tuta? Non ce n’era nessuna. Avevano con sé parti di ricambio per piccoli componenti delle tute, ma non una tuta intera.
Pensa. Infagottarlo dentro qualcosa che lo tenesse caldo a lungo? Bene, ma con che cosa? Non c’era niente.
Portarlo dentro la cupola, sostituire l’atmosfera andata perduta utilizzando quella disponibile nei serbatoi, e alzare la temperatura? Forse. Potevano introdurre l’aria là dentro in meno di un’ora. Ma non sarebbero stati in grado di generare calore abbastanza in fretta. Avrebbe potuto respirare, ma sarebbe morto assiderato lo stesso.
Mandare un segnale per l’atterraggio d’emergenza di una piccola nave sul polo di Whirlygig? Era probabile che fosse la speranza migliore, ma pur sempre troppo lenta. Diciamo tre o quattro ore per i preparativi, poi altre tre per arrivare fin lì. A quel punto lui, Peron, sarebbe stato un cadavere ghiacciato.
Altre idee? Non riuscì a trovarne nessuna. La sua metà andò avanti, scrivendo il proprio necrologio: Peron di Turcanta, vent’anni, che sopravvisse alle dune del deserto di Talimantor, alle foreste notturne di Villasylvia, al labirinto di Hendrack, alle caverne acquatiche dello Charant, ai ghiacciai di Capandor, alle profondità abissali della Fossa di Lackro… che ce l’aveva fatta, per poi morire congelato su Whirlygig. Il suo nome sarebbe stato aggiunto a quell’elenco di cui il governo non parlava mai, gli sfortunati che morivano nelle prove finali dei giochi del Planetfest che si svolgevano fuori del pianeta. Peron si risintonizzò la tuta sulla ricezione generale.
— Siamo tutti d’accordo, allora — stava dicendo una voce chiara. — Niente di tutto ciò che abbiamo pensato potrebbe permetterci di farcela in tempo?
La distorsione della radio danneggiata cambiava il timbro della voce. Peron si riebbe dai propri cupi pensieri e scoprì, con sua viva sorpresa, che l’interlocutore era Wilmer.
— Pare che sia così. — Era ovvio che era stato Lum a parlare. — Abbiamo chiamato la nave e manderanno qualcosa non appena potranno, ma è probabile che ci vogliano otto ore. Sy ha fatto una valutazione approssimativa della perdita di calore sulla base delle condizioni della tuta, e calcola che ci rimangano un paio d’ore per far qualcosa, tre al massimo.
— Dannazione.
Proprio quello che ho pensato io, si disse Peron con calma. Ma cosa sta succedendo a Wilmer? Dopo esserci venuto dietro con un mistero cordiale e non-contendente per tutti i giochi, tutt’a un tratto è diventato la figura dominante del gruppo. Gli altri stanno facendo riferimento a lui, lasciando che sia lui a controllarli.
Peron ebbe un’intuizione improvvisa. Era soltanto lo shock… Lo shock li aveva sopraffatti tutti; ma in qualche modo Wilmer, e lui stesso, Peron, la fonte di tutte le preoccupazioni e quello che era condannato a morire, riuscivano a restare distaccati dall’emozione. Intravide la faccia inorridita di Elissa attraverso la visiera della sua tuta, e le rivolse un sorriso d’incoraggiamento. Kallen aveva le lacrime agli occhi, e perfino Sy aveva preso quell’espressione di tranquilla fiducia in sé.
— Nessun’altra idea? — proseguì Wilmer. — Bene. Datemi una mano. Peron, voglio parlarti. In quanto a voi, voglio un’atmosfera dentro alla cupola non appena riuscirete a crearla. Non preoccupatevi della temperatura, so che sarà bassa, ma questo è risolvibile.
Aveva aperto la borsa verde che aveva portato con sé giù su Whirlygig e stava esaminando lo schieramento di ampolle, siringhe e strumenti elettronici che si trovavano schierati in file ordinate all’interno di essa. Dopo una lunga occhiata sorpresa Sy si avviò verso la cupola, ma gli altri rimasero immobili fino a quando Lum non tuonò: — Mettiamoci all’opera. — Nell’allontanarsi, si girò verso Wilmer, le grandi mani serrate nei guanti della tuta. — Questo non è il momento di parlare, ma sarà meglio che tu sappia quello che stai facendo. Se così non fosse, ti scuoierò vivo personalmente quando torneremo alla nave.
Wilmer non si dette briga di rispondere. Dietro alla visiera la sua faccia era aggrottata per la concentrazione.
— Circuito privato. Tu ed io dobbiamo parlare per un paio di minuti — disse a Peron, e aspettò fino a quando la frequenza personale della tuta non venne confermata. — Bene. Come valuti le tue possibilità?
— Zero.
— Molto bene. Partiamo senza nessuna illusione. Presumo che tu sia pronto a correre un rischio?
A Peron venne voglia di ridere. — Vuoi dire un rischio che mi offra meno possibilità di sopravvivenza di quelle che ho adesso?
— Una risposta equa. So esattamente quello che cercherò di fare, ma non ci ho mai provato in circostanze che assomigliassero a queste neppure alla lontana. Ho le droghe che mi servono, e l’ambiente della cupola non sarà molto diverso da quello del laboratorio. D’accordo?
— Non ho la più pallida idea di quello di cui stai parlando.
— E io non ho il tempo di spiegartelo. Ma non ha importanza. Per prima cosa ti farò un’iniezione. Dovrà attraversare direttamente la tua tuta, ma credo che l’ago ce la farà, e il sistema autosigillante si prenderà cura del forellino. Dopo ti porteremo dentro. Credo che la giuntura della spalla sia il punto migliore.
Prima che Peron avesse il tempo di obbiettare, Wilmer era venuto al suo fianco, e sentì l’acuta puntura di un ago nel trapezio sinistro.
— Adesso avremo meno di un minuti prima che tu cominci a sentirti stordito. — Wilmer aveva buttato via l’ipodermica e ne stava tirando fuori un’altra dalla borsa. — Ascolta bene. Voglio che tu rompa tutti i sigilli della tuta in modo che possiamo togliertela facilmente quando sarai privo di sensi. Non parlare e cerca di continuare a respirare il più lentamente possibile. Quando sentirai che stai per perdere i sensi, non cercare di lottare. Lascia che accada. Va bene?
L’area gelida al centro del suo stomaco si stava diffondendo rapidamente fino a inglobare tutto il suo tronco. Allo stesso tempo Peron provava la sensazione che l’orizzonte di Whirlygig si stesse allontanando rapidamente da lui, diventando sempre più remoto. Annuì a Wilmer e maneggiò il comando che trasferiva tutti i sigilli della tuta all’accesso dell’esterno. Sentiva il proprio respiro aspro e rapido, e lottò per inspirare ed espirare lentamente e con regolarità.
— Bravo. Mi spiace di non avere il tempo di spiegarti, ma non ho mai sentito che una situazione del genere si sia mai presentata prima d’oggi. Probabilmente mi linceranno quando scopriranno quello che sto cercando di fare. Ma tu sei fortunato: io stesso mi sono trovato in guai seri su Whirlygig una volta, più di trecento anni or sono. E ricordo quello che ho provato. — Wilmer gli strinse la mano. — Buona fortuna, Peron. Se ti risveglierai, ti troverai nell’S-Spazio.
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