«E se scelgo di non partecipare?»
«Io sono un esperto in campo farmaceutico, dottor Simcoe. Se lei sceglie di non partecipare, o se finge di accettare ma ci dà ragione di dubitare della sua sincerità, le verrà iniettata una dose di mnemonase, che bloccherà tutta la sua memoria a breve termine. Lei dimenticherà del tutto questo incontro. Se proprio non desidera l’immortalità la prego di accettare questa opzione… è indolore e non ha effetti collaterali duraturi. E adesso, dottor Simcoe, ho proprio bisogno della sua risposta. Che cosa sceglie?»
Doreen andò a prendere Lloyd all’aeroporto di Montpelier. «Grazie al cielo sei tornato!» gli disse appena lui emerse dal deposito bagagli. «Che è successo? Perché hai perso il volo precedente?»
Lloyd abbracciò sua moglie e la strinse; Dio, quanto l’amava… e quanto si odiava per essere stato lontano da lei. Ma poi scosse la testa. «Tutta colpa di quella maledetta storia. Mi ero completamente dimenticato che il volo di ritorno era alle quattro.» Sollevò un poco le spalle, e riuscì a sorridere debolmente. «Forse sto invecchiando.»
Theo sedeva nel suo ufficio. Una volta, naturalmente, era stato l’ufficio di Gaston Beranger, ma il suo mandato quinquennale era scaduto da tempo, e in quei giorni il CERN non era abbastanza grande da richiedere un direttore generale. Così Theo, come direttore del CTT, se ne era appropriato. Il vecchio Gaston era ancora nei paraggi; era professore emerito in fisica all’università di Parigi a Orsay. Lui e MarieClaire erano ancora felicemente sposati, e avevano un figlio eccezionale, alle soglie della laurea, e anche una figlia.
Theo si scoprì a fissare la finestra. Era trascorso un mese dal grande blackout… il Cronolampo in cui tutti avevano perso coscienza per un’ora. Ma questa volta si erano comportati come Klaatu; non si era registrato un solo incidente in tutto il mondo.
Theo era ancora vivo, aveva evitato il proprio assassinio. Era destinato a sopravvivere… be’, chi poteva dire per quanto? Qualche decennio, certamente. Un supplemento di vita.
E, si rese conto con un sussulto, senza sapere che cosa fare di tutto quel tempo.
Era autunno; troppo tardi per annusare le rose, in senso letterale. Ma in senso figurato?
Si alzò, fece scivolare la porta interna dell’ufficio, lasciò che quella esterna facesse lo stesso, si diresse verso l’ascensore, scese al piano terra, percorse un corridoio, oltrepassò l’atrio e uscì dall’edificio.
Il cielo era nuvoloso, ma lui inforcò ugualmente gli occhiali da sole.
Quando era un ragazzo, Theo aveva corso da Maratona ad Atene. Finita la corsa, aveva pensato che il suo cuore non avrebbe mai smesso di pompare, e che lui non sarebbe mai riuscito a riprendere fiato. Ricordava nitidamente quel momento… mentre attraversava la linea del traguardo, completando la storica gara.
Naturalmente c’erano altri momenti che ricordava, con altrettanta nitidezza. Il suo primo bacio; il suo primo rapporto sessuale; immagini specifiche — come cartoline nella mente — di quel viaggio a Hong Kong; la laurea all’università; il giorno in cui aveva conosciuto Lloyd; la volta in cui si era rotto un braccio giocando a lacrosse. E il giorno del primo esperimento con l’LHC, il Cronolampo…
Ma…
Ma quei momenti vividi, quei ricordi scolpiti nella memoria, be’, risalivano tutti a due decenni o più nel passato.
Che cosa era successo più di recente? Quali esperienze significative, quali sottili dolori, quali altezze vertiginose?
Theo continuò a camminare; l’aria era fredda, tonificante. Dava a ogni cosa profilo, definizione, forma, una chiarezza che mancava da…
Da quando Theo aveva incominciato a indagare sulla sua morte.
Ventuno anni, ossessionato da un’unica cosa.
Achab aveva forse ricordi vividi? Oh, certo… quello di aver perso la gamba, senza dubbio. Ma dopo… dopo avere iniziato la sua ricerca? 0 era tutto un ricordo indistinto, mese dopo mese, anno dopo anno, ogni cosa, ogni persona archiviata e dimenticata?
Ma no… no. Theo non era Achab; non era incosciente e testardo come lui. Aveva trovato il tempo per fare molte cose, fra il 2009 e oggi, qui, nel 2030.
Eppure…
Eppure non si era mai concesso progetti per il futuro. Oh, aveva continuato a dedicarsi al suo lavoro, ed era stato promosso più volte, ma…
Una volta aveva letto un libro in cui si parlava di un uomo che all’età di diciannove anni aveva saputo di essere a rischio di contrarre il morbo di Huntington, una malattia che lo avrebbe privato delle sue facoltà mentali prima ancora di raggiungere la mezza età. Quell’uomo si era concentrato nel tentativo di diventare famoso prima che l’arco vitale concessogli giungesse a termine. Theo non aveva fatto nulla del genere. Certo, aveva fatto discreti progressi nel campo della fisica, e naturalmente aveva ottenuto il Nobel. Ma anche quel momento — l’atto di ricevere l’onorificenza — era lontano e sfuocato.
Ventuno anni offuscati e confusi. Anche sapendo che il futuro si poteva cambiare, anche promettendo a se stesso che non si sarebbe fatto condizionare la vita dalla ricerca del suo potenziale assassino, due decenni erano già passati, per lo più erano andati perduti… se non addirittura dimenticati, certamente appiattiti, sminuiti, ridotti a nulla.
Nessuna imperfezione fatale? C’era da ridere.
Theo continuò a camminare. Un coro di uccelli cinguettava in sottofondo.
Nessuna imperfezione fatale? Quello, fra tutti, era stato il pensiero più arrogante. Ma certo che l’aveva avuta, certo che aveva avuto un’ hamartia . Ma era l’immagine speculare di quella di Edipo, il quale aveva creduto di poter sfuggire al suo destino. Theo, pur sapendo che il futuro non era immutabile, era stato ugualmente assillato dalla paura di non poterlo ingannare.
E così…
E così non si era sposato, non aveva fatto figli; in ciò poteva considerarsi inferiore allo stesso Achab.
Non aveva nemmeno letto Guerra e pace. O la Bibbia. Per dirla tutta, era — quanto tempo? — forse dieci anni che Theo non leggeva un romanzo.
Non aveva viaggiato, a parte gli spostamenti cui lo avevano portato le sue vecchie ossessioni per la ricerca del suo assassino.
Non aveva seguito corsi di cucina.
Non aveva preso lezioni di bridge.
Non aveva scalato il Monte Bianco, nemmeno in parte.
E adesso, incredibilmente, si ritrovava… be’, se non proprio tutto il tempo del mondo, almeno molto più tempo di prima.
Aveva il libero arbitrio; aveva un futuro da costruire.
Un pensiero che dava alla testa. Che cosa vuoi fare quando sarai grande? Le magliette con i personaggi dei cartoni animati erano scomparse, così come la sua gioventù. Aveva quarantotto anni: per un fisico significava essere vecchio. Troppo vecchio, con tutta probabilità, per raggiungere un altro traguardo importante.
Un futuro da costruire. Ma come definirlo?
Un futuro di momenti luminosi, di ricordi solidi come diamanti, chiaro ed eccitante. Un futuro vissuto, assaporato, formato da attimi così aguzzi e taglienti che qualche volta avrebbero potuto anche ferire e qualche volta scintillare in modo tanto abbagliante da disturbare la vista, ma che qualche volta sarebbero stati anche gioiosi, una felicità assoluta, pura, non contaminata, del genere che non aveva più provato nel corso di questi ultimi ventuno anni.
Ma d’ora in avanti…
D’ora in avanti avrebbe vissuto.
Ma che fare, per prima cosa?
Il nome riemerse dal passato, dal suo inconscio.
Michiko.
Lei era a Tokyo, naturalmente. A Natale gli aveva mandato una e-card, e un’altra in occasione del suo compleanno.
Aveva divorziato da Lloyd… il suo secondo marito. Ma dopo non si era più risposata.
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