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Arthur Clarke: 2061 Odissea tre

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Arthur Clarke 2061 Odissea tre

2061 Odissea tre: краткое содержание, описание и аннотация

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«Tutti questi mondi sono vostri, tranne Europa. Non mettete piede su Europa». E’ questo l’inquietante messaggio giunto sulla Terra per mano di misteriose creature subito dopo l’ignizione di Giove. Per diversi decenni l’uomo tenta di scoprire senza successo i segreti celati all’interno del satellite galileiano, finché un giorno la lussuosa astronave da crociera Galaxy viene dirottata in circostanze poco chiare sulla sua superficie. In suo aiuto accorre la Universe, che ha raccolto la sua disperata richiesta di soccorso: e le verità che verranno a galla saranno inquietanti e sconvolgenti. «2061: Odissea tre» è il terzo capitolo della saga più affascinante della letteratura fantascientifica: ancora una volta Arthur Clarke ci colpisce con un romanzo di realistica fantasia, incentrato sul confronto fra l’Uomo e l’Ignoto. Quest’opera sarebbe dovuta nascere in seguito alle nuove scoperte della missione Galileo, dedicata allo studio dei principali satelliti di Giove. Purtroppo la tragedia del Challanger ritardò di molti anni l’inizio di tale missione, pertanto l’autore decise di non aspettare oltre. Parte delle vicende narrate traggono invece spunto da un articolo di Melvin Ross del Lawrence Livemore National Laboratory e pubblicato sulla rivista Nature nel 1987: in esso si ipotizza la presenza di nuclei di diamante all’interno dei pianeti «giganti» del sistema solare. Così come 2010 non è esattamente il seguito di 2001, anche questo libro non è propriamente il seguito di 2010: è lo stesso autore a definire le tre opere come «variazioni sul tema». Si noti ad esempio come l’epilogo di 2010 sia più o meno in contrasto con lo svolgimento dei fatti in 2061. Forse all’inizio 2061 non vi appassionerà come i precedenti due episodi, ma vi posso assicurare che nei capitoli finali le vicende acquistano un fascino irresistibile: molti sono i misteri che vengono svelati, in particolare si comprendono, almeno parzialmente, la natura e le funzioni del monolito.

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Il dottor van der Berg, che aveva messo in movimento — tutta la storia e che se l’era cavata molto bene da un punto di vista sia professionale sia finanziario —, si chiedeva ora come muoversi di fronte alle nuove opportunità che gli si offrivano. Aveva ricevuto molte offerte interessanti da parte di università e organizzazioni scientifiche terrestri, ma gli era impossibile approfittarne. Era vissuto troppo a lungo su Ganimede con un sesto della gravità terrestre, e aveva ormai oltrepassato il punto clinico di non ritorno.

Rimaneva la Luna; e anche la Stazione Pasteur, come gli fece presente Heywood Floyd.

«Stiamo cercando di creare un’università nello spazio,» gli disse «in modo che chi non può più sopportare un g di gravità possa continuare a rimanere in contatto con la Terra. Avremo aule, sale da conferenza, laboratori… alcuni solo simulati a mezzo computer, ma per il resto così reali da non riuscire a cogliere la differenza. E lei potrebbe far videocompere sulla Terra e spendere così il suo malguadagnato denaro.»

E così Floyd si trovò non solo ad aver recuperato un nipote, ma anche ad averne adottato uno nuovo — di qualche anno più vecchio, è vero; ma era unito a Chris e a van der Berg da esperienze eccezionali che solo loro tre avevano in comune. C’era soprattutto il mistero dell’apparizione nella città deserta di Europa, ai piedi del monolito.

Chris non aveva dubbi. «Io ti ho visto e ti ho sentito così come ti vedo e ti sento adesso» disse al nonno. «Con la differenza che le tue labbra non si muovevano, e la cosa strana era che ciò non mi sembrava affatto strano, ma del tutto naturale. È stata un’esperienza… Be’, serena, tranquillizzante. Con un’atmosfera un po’’ triste, forse… o, meglio, malinconica, rassegnata.»

«Ci è subito venuta in mente l’apparizione di Bowman a bordo della Discovery» aggiunse van der Berg.

«Gli ho fatto mandare un messaggio radio prima di atterrare su Europa. Sarà stato ingenuo, ma non mi è venuto in mente nulla di meglio. Sono sicuro che c’era, sotto qualche forma.»

«E non c’è stata risposta di alcun genere?»

Heywood Floyd esitò. All’improvviso gli era tornata alla mente la notte in cui il monolito gli era apparso, in dimensioni ridotte, nella sua cabina.

Non era accaduto nulla, eppure da quel momento aveva avuto la certezza che Chris era sano e salvo e che l’avrebbe rivisto di lì a poco.

«No» disse piano. «Non c’è stata risposta.»

Dopo tutto, forse era stato solo un sogno.

PARTE VIII

IL REGNO DELLO ZOLFO

58. FUOCO E GHIACCIO

Prima che, nella seconda metà del XX secolo, si aprisse l’èra dell’esplorazione planetaria, pochi scienziati sarebbero stati disposti a credere che vi sarebbe potuta essere la vita su un mondo così lontano dal Sole. Eppure per mezzo miliardo di anni i mari di Europa erano stati prolifici quanto quelli della Terra.

Prima dell’ignizione di Giove, una crosta di ghiaccio aveva protetto quegli oceani dal vuoto dello spazio. In molti punti quel ghiaccio era spesso molti chilometri, ma era più sottile là dove si era spezzato e ricongiunto di nuovo. Vi era stata una breve battaglia tra due elementi implacabilmente ostili che su nessun altro pianeta del sistema solare venivano direttamente a contatto. La guerra tra il mare e lo spazio finiva sempre con uno stallo: l’acqua esposta al vuoto bolliva e congelava simultaneamente, riparando così l’armatura di ghiaccio.

Senza l’influsso del vicino Giove, i mari di Europa si sarebbero completamente solidificati già da lungo tempo. Ma la gravità di Giove torceva continuamente il nucleo di quel piccolo mondo; le forze che sconvolgevano Io erano presenti anche su Europa, seppure con minore violenza. Questo tiro alla fune tra pianeta e satellite provocava continui terremoti e frane sottomarini che percorrevano a grande velocità le pianure abissali.

Qua e là in queste pianure vi erano innumerevoli oasi, ciascuna delle quali circondava per poche centinaia di metri una cornucopia di sali minerali che fuoriuscivano dal sottosuolo. Attraverso un intrico di condotti e di camini sotterranei, queste sostanze chimiche si depositavano in forme bizzarre — castelli in rovina o cattedrali gotiche da cui liquidi neri e caldi uscivano pulsando a ritmo lento, come spinti dal battito di un cuore gigantesco. E, proprio come sangue, anch’essi erano portatori di vita.

Quei fluidi bollenti ricacciavano il gelo che veniva dall’esterno e formavano isole tiepide sul fondo marino. Inoltre essi portavano dalle viscere di Europa le sostanze chimiche necessarie alla vita. Qui, in un ambiente che altrove era terribilmente ostile, vi erano energia e cibo in abbondanza. L’esistenza di simili punti geotermici era stata scoperta negli oceani terrestri nello stesso decennio in cui l’umanità vide per la prima volta i satelliti galileiani.

Nelle immediate vicinanze di questi sfiatatoi caldi vivevano miriadi di delicati organismi simili a ragni che erano l’equivalente delle piante terrestri, anche se, a differenza di queste, erano in grado di spostarsi. Tra di essi strisciavano molluschi e vermi bizzarri, alcuni che si nutrivano delle «piante», altri che si alimentavano direttamente dei sali minerali disciolti nell’acqua. A maggiore distanza dalla sorgente di calore — il fuoco sottomarino attorno al quale tutti questi esseri si scaldavano — vi erano organismi più grandi e robusti non dissimili da granchi o ragni terrestri.

Un esercito di biologi avrebbe potuto dedicare la vita allo studio di un’unica oasi. A differenza dei mari terrestri del Paleozoico, gli oceani nascosti di Europa non costituivano un ambiente stabile: e così l’evoluzione si era mossa in fretta producendo una moltitudine di forme fantastiche. Inoltre, tutti quegli organismi erano sotto una continua minaccia di morte; presto o tardi, infatti, ogni sorgente di vita si sarebbe inaridita e le forze che le davano vigore si sarebbero spostate altrove. Gli abissi erano tutti cosparsi da innumerevoli testimonianze di queste tragedie — cimiteri che racchiudevano scheletri e incrostazioni di sali minerali, dove interi capitoli erano stati cancellati dal libro della vita.

Vi erano gusci simili a trombe più grandi di un uomo. Vi erano conchiglie di molte forme — bivalvi e anche trivalvi. E vi erano conchiglie dal disegno a spirale del diametro di molti metri che erano molto simili alle belle ammoniti che disparvero misteriosamente dagli oceani della Terra alla fine del Cretaceo.

In molti luoghi i fuochi bruciavano nell’abisso e fiumi di lava incandescente scorrevano per decine di chilometri lungo le valli sottomarine. A quelle profondità la pressione era tale per cui l’acqua a contatto con il magma incandescente non diventava vapore, e i due liquidi coesistevano in una tregua inquieta. Laggiù, su un altro mondo e con attori alieni, si era svolta una storia in qualche modo simile a quella dell’Egitto molto tempo prima dell’arrivo dell’uomo. Come il Nilo aveva portato la vita a una stretta fascia di deserto, allo stesso modo questi fiumi caldi avevano vivificato le profondità di Europa. Lungo le loro rive, in strisce raramente più larghe di un chilometro, una specie dopo l’altra si era evoluta e si era estinta. E certe avevano lasciato testimonianze del loro passaggio: sassi disposti l’uno sull’altro o trincee scavate nel fondo del mare a formare uno strano disegno.

Lungo quelle strisce fertili, circondate dai deserti degli abissi, culture e civiltà erano sorte e decadute. E ciascuna non aveva mai conosciuto altra parte di quel mondo, poiché ogni isola di calore era separata dall’altra come pianeti nello spazio. Gli esseri che si riscaldavano al calore del fiume di lava, e che si nutrivano dei caldi fluidi sotterranei, non erano in grado di attraversare gli ostili deserti che circondavano le loro isole solitarie. E se mai queste culture avevano dato origine a storici e a filosofi, ciascuna di esse era convinta di essere sola in tutto l’universo.

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