Van der Berg tirò dentro di sé un gran sospiro di sollievo. Che stupido non averci pensato; si sentiva come un condannato a morte graziato mentre sta salendo sul patibolo. La Universe sarebbe arrivata di lì a quattro giorni, forse anche meno; la Bill Tee non offriva di certo grandi comodità, ma era comunque preferibile a qualsiasi altra cosa immaginabile.
«Dobbiamo trovare un clima più mite e una bella superficie piana e stabile. Vicino alla Galaxy, anche, sebbene non credo che questo sia indispensabile. Abbiamo carburante a sufficienza per percorrere cinquecento chilometri… Non possiamo correre il rischio di attraversare l’oceano.»
Per un attimo van der Berg pensò al Monte Zeus: ci sarebbero state tante cose da fare. Ma l’attività sismica, che diventava sempre più pericolosa man mano che Io entrava in congiunzione con Lucifero, rendeva sconsigliabile quella scelta. Si chiese se i suoi apparecchi funzionassero ancora. Avrebbe controllato non appena risolto il problema immediato.
«Meglio seguire la costa fino all’equatore, che è comunque il luogo più adatto per l’atterraggio della navetta. Dalla mappa radar mi è parso di vedere una zona pianeggiante poco lontano dalla costa a circa sessanta gradi ovest.»
«Sì, è l’altopiano Masada.» (Inoltre, disse van der Berg dentro di sé, avremo forse l’occasione di fare qualche altra esplorazione. Mai trascurare anche le minime opportunità…)
«Va bene, allora. L’altopiano Masada. Ciao, Venezia. Ciao, nonno…»
* * *
Quando il rombo sommesso dei retrorazzi tacque, Chris Floyd disattivò il circuito d’accensione, slacciò la cintura di sicurezza e si stirò per quanto lo permetteva l’angusto abitacolo della Bill Tee.
«Mica male come panorama., per essere su Europa» disse allegramente. «Abbiamo quattro giorni per vedere se le razioni d’emergenza sono davvero così cattive come dicono. Dunque… di che cosa vogliamo parlare?»
Perché non ho studiato psicologia? disse van der Berg dentro di sé. In tal caso potrei capire meglio fino a che punto è matto. Eppure si direbbe perfettamente sano di mente — in tutto, salvo che per quel particolare.
Sebbene con un sesto di g praticamente ogni sorta di posizione fosse molto comoda, Floyd aveva abbassato lo schienale della sua poltroncina e ora se ne stava sdraiato con le dita intrecciate sotto la nuca. All’improvviso van der Berg si rese conto che era la classica posizione che assumeva il soggetto ai tempi in cui andava di moda l’analisi freudiana, ancora adesso non del tutto caduta in disuso.
Che Floyd si mettesse a parlare gli andava benissimo: in parte per pura e semplice curiosità, ma soprattutto perché, se Floyd avesse affrontato apertamente il problema, la sua salute mentale ne avrebbe tratto giovamento — o così sperava. Però van der Berg non era molto ottimista a questo proposito: chissà quali nevrosi profondamente sepolte dovevano aver messo in moto un’allucinazione tanto potente.
Van der Berg fu quindi molto sconcertato quando si accorse che Floyd era perfettamente d’accordo con lui; non solo, ma che aveva anche fatto la sua diagnosi.
«La mia classificazione psicologica è A. 1 Plus,» disse «il che significa che mi hanno anche consentito di dare un’occhiata al mio fascicolo… cosa che permettono solo al dieci per cento circa dei soggetti. Quindi io sono perplesso quanto lei». Però il nonno l’ho visto, e lui mi ha parlato. Non credo ai fantasmi, come tutti: però questo vuoi dire che è morto, immagino. Mi spiace di non averlo conosciuto meglio: l’avrei tanto desiderato. Se non altro adesso, però, ho qualcos’altro da ricordare.»
Van der Berg lo interruppe: «Mi racconti esattamente che cosa ha detto.»
Chris ebbe un lieve sorriso e rispose: «Non sono uno di quelli che hanno la memoria fotografica, ed ero così stupefatto che non ricordo le parole precise.» S’interruppe e cercò di concentrarsi.
«Strano. Ora che ci penso, non credo nemmeno che abbiamo comunicato con parole.»
Di male in peggio, si disse van der Berg. Prima i fantasmi, e ora la telepatia. Però si limitò a dire:
«Allora mi spieghi qual è stato il senso generale della vostra, ehm, conversazione. Tenga presente che io non ho sentito nulla».
«Va bene. Lui ha detto: «Volevo vederti, e ora sono molto contento. Sono sicuro che tutto andrà a finir bene, e che la Universe verrà a riprendervi».»
Tipica comunicazione da trapassato… pensò van der Berg, generica e poco significativa. I cosiddetti spiriti non dicono mai nulla di utile o di imprevisto — non fanno altro che riflettere le paure e le speranze dell’ascoltatore. Informazioni prive di valore che salgono dal subconscio…
«Vada avanti.»
«Allora io gli ho chiesto dov’erano finiti tutti quanti… perché la città era deserta. Lui si è messo a ridere e mi ha dato una risposta che ancora non capisco, del tipo: «Lo so che non avete cattive intenzioni, ma quando vi abbiamo avvistato abbiamo avuto appena il tempo di avvertire tutti. I…» — e qui ha usato una parola che non potrei pronunciare nemmeno se me la ricordassi — «sono tutti entrati in acqua: sanno muoversi in fretta quando è necessario! Usciranno soltanto quando ve ne sarete andati, e il vento avrà spazzato via il veleno.» Che cosa avrà voluto dire? Lo scarico dei razzi è costituito solo da vapore acqueo, che è presente in abbondanza nell’atmosfera di Europa.»
Bene, pensò van der Berg, non c’è nessuna legge per cui un’allucinazione, come i sogni, debba avere un senso logico. Forse quel veleno nasconde chissà quale paura profondamente sepolta che Chris, malgrado la sua eccellente classificazione psicologica, è incapace di affrontare. Comunque sia, non credo che la cosa mi riguardi. Veleno, proprio! Il propellente della Bill Tee è costituito da acqua purissima, distillata su Ganimede e quindi mandata in orbita…
Ma, un momento… A che temperatura usciva quest’acqua dagli ugelli? Mi pare di aver letto da qualche parte…
«Chris» disse esitando van der Berg. «L’acqua passa nel reattore e quindi esce dagli ugelli in forma di vapore?»
«Certo, e che altro? Oh, quando si scalda davvero molto, allora un dieci o quindici per cento della massa di reazione si scinde in idrogeno e ossigeno.»
Ossigeno! Van der Berg ebbe un brivido improvviso anche se l’abitacolo era a una temperatura ideale. Era molto improbabile che Floyd capisse le implicazioni di quanto aveva appena detto; si trattava di cose al di fuori delle sue competenze specifiche.
«Lo sa, Chris, che per i primi organismi terrestri, e certamente per gli esseri che vivono nell’atmosfera di Europa, l’ossigeno è un veleno mortale?»
«Sta scherzando?»
«Assolutamente no. L’ossigeno è velenoso anche per noi, ad alta pressione.»
«Non lo sapevo. Non ce l’hanno detto al corso di addestramento.»
«Suo… suo nonno aveva ragione. Quando siamo scesi, è stato come se avessimo gassato la città con l’iprite. Be’, non proprio: il vento avrà disperso l’ossigeno molto in fretta.»
«Allora lei mi crede.»
«Non ho detto questo.»
«Già. Solo un pazzo potrebbe credermi!»
La battuta riscaldò l’atmosfera, ed entrambi si fecero una bella risata.
«Non mi ha detto com’era vestito.»
«Aveva una vestaglia di quelle che usavano una volta. L’ho visto così da ragazzo. Un indumento molto comodo.»
«Altri particolari?»
«Adesso che ci penso, mi è parso molto più giovane di quando l’ho visto per l’ultima volta. Aveva anche più capelli. Io non credo che fosse… come dire?… reale. Forse un’immagine generata da computer, o un ologramma sintetico.»
«Il monolito!»
«Già… questo ho pensato. Si ricorda di quella volta che Dave Bowman apparve a mio nonno? Adesso tocca a lui fare il fantasma. Ma perché? Non mi ha detto nulla di particolare. Mi ha salutato soltanto…»
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