Ben Bova - Giove chiama Terra

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Giove chiama Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che in orbita attorno a Giove c’è qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile, dal momento che nessuna astronave terrestre è mai ancora arrivata laggiù. Ma...
Ma queste non sono praticamente le stesse parole con cui abbiamo presentato nello scorso numero
di Zach Hughes?
Il fatto è che Ben Bova e Zach Hughes per una straordinaria coincidenza hanno scritto e pubblicato contemporaneamente due romanzi che partono dalle stesse premesse pur arrivando a conclusioni diversissime. Veda dunque il lettore quali delle due preferisce e tenga conto d’altra parte che il complesso, ricchissimo romanzo di Bova è quasi tre volte più lungo di quello di Hughes e negli USA costa più del doppio, mentre in URANIA costa naturalmente lo stesso. Un’occasione da non perdere.

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«Stoner? L’americano?»

«Sì…» Con un respiro tremante, Cavendish continuò: «Non fosse per lui, saremmo tutti a casa, McDermott voleva chiudere il progetto e lasciarci ripartire, ma Stoner ha insistito per continuare.»

«Vuole attribuirsi tutti i meriti, vero?» chiese Schmidt, assumendo la solita espressione imbronciata.

«Sì.» Era più un gemito che non una parola.

Schmidt si accorse finalmente della sofferenza del vecchio. «Cosa c’è? Non si sente bene?»

«Emicranie» sussurrò rocamente Cavendish. «Io… soffro di emicranie.»

«Devo chiamare un dottore?»

«No. No, adesso passa.» Cavendish frugò nelle tasche dei calzoni, tirò fuori un flaconcino di plastica. «Mi hanno dato degli anestetici. Sono ottimi.»

Schmidt si era rizzato su un gomito. «A me non danno niente per il dolore» disse. «Niente di più forte dell’aspirina.»

Tenendo il flacone davanti agli occhi del giovane, Cavendish ripeté: «Queste capsule sono ottime. Non contengono narcotici. Non danno assuefazione.»

«Sul serio?»

«Sì» mentì l’inglese.

«Di notte è peggio» disse Schmidt, «Soffro di più.»

«Forse non ci sarebbe niente di male se ti dessi qualcuna di queste…»

Schmidt annuì. Cavendish svitò il coperchio, fece cadere quattro capsule nel palmo tremante.

«Sicuro che non servono a lei?» chiese Schmidt.

«Posso… farmene dare altre…»

Schmidt prese le capsule gialle ovali, le tenne nella mano, le guardò.

Il corpo di Cavendish era in fiamme. «Provane una» sussurrò. «Vedrai che… il dolore… sparirà.»

Schmidt esitò solo un attimo, poi afferrò la tazza d’acqua che aveva sul comodino e inghiottì la capsula. Bevve, deglutì.

Pochi secondi dopo, era riverso sul letto, a occhi sbarrati.

Cavendish, tremante come se un flusso di corrente elettrica stesse passando nei suoi centri cerebrali, si avvicinò al letto e sussurrò all’orecchio di Schmidt: «È tutta colpa di Stoner. Se ti alzi da questo letto e trovi Stoner, potrai tornare a casa, essere felice. Stoner vuole farti del male. Stoner vuole ucciderti. Devi fermarlo prima che ti uccida.»

Mentre le parole uscivano dalle sue labbra, Cavendish strabuzzò gli occhi. Era come se stesse parlando qualcun altro che usava, a mo’ di trasmettitore, la bocca di Cavendish: una macchina completamente sottratta al suo controllo.

Terrificato da ciò che stava accadendo, si scostò con un balzo dal letto. Un’occhiata alla finestra lo informò che era pomeriggio avanzato. Cavendish uscì dalla stanza di Schmidt, allontanandosi il più in fretta possibile dall’ospedale. Non si accorse che, sulla laguna tranquilla, una canoa con due persone a bordo si era capovolta.

32

L’ultimo Congresso Ufologico ha offerto i soliti vecchi luoghi comuni a un pubblico che da tempo conosce i pro e i contro dell’ufologia.

Tutte le relazioni presentate sembravano tese allo scopo di far accettare gli UFO alla comunità scientifica. Eppure, nonostante gli sforzi di persone come Alan Holt, astrofisico della NASA, non sembra che la comunità scientifica sia disposta ad accettare nulla.

Harry Lebelson “Omni”, aprile 1980

Erano già bagnati fradici dalla prima volta che la canoa si era capovolta. Markov remava furiosamente, percuotendo l’acqua con colpi frenetici e irregolari. Jo, seduta a prua, cercava di non ridere.

«Attento» disse «stiamo infilando un altro canale tra le isole…»

Prima che lei avesse finito la frase, la canoa fu afferrata dalla corrente e cominciò a inclinarsi. Markov, disperato, vide il buttafuori rovesciarsi sopra le loro teste, e tutti e due finirono di nuovo nell’acqua tiepida.

L’acqua gli arrivava alla vita. Il russo cominciò a frugarsi nelle tasche. Perdere qualcosa lì significava perderlo per sempre. Poi gli venne in mente l’orologio. Gocciolava e il vetro era appannato, ma la lancetta dei secondi camminava.

«Forza, aiutami a raddrizzarla» disse Jo.

Con un sospiro teatrale, Markov afferrò il buttafuori e rovesciò la canoa su se stessa. Era piena d’acqua. Ridendo di cuore, Jo gli fece segno di inclinarla quel tanto da far uscire l’acqua.

«Credevo» disse Markov, grugnendo per lo sforzo «che queste imbarcazioni non potessero rovesciarsi. Se no a cosa serve il buttafuori?»

Jo continuò a ridere. Il russo l’aiutò a risalire sulla canoa, senza perdere l’occasione di palparle il sedere. Un sedere notevole: sodo, ma morbido.

Jo gli tese una mano. «Dai, torna su.»

Markov valutò la distanza che li separava dalla spiaggia più vicina. «No, grazie. Io cammino. È più sicuro.»

«Cammini?»

«Insomma, sguazzo nell’acqua. Ti spingerò a un porto tranquillo.»

«Credevo che avessi paura degli squali.»

Lui scrutò l’acqua limpidissima. «Se arrivasse uno squalo, sono sicuro che correrei talmente forte da lasciarmelo indietro.»

Si portò dietro la canoa e cominciò a spingerla. L’imbarcazione gli sembrava un giocattolo troppo grosso.

Jo si aggrappò alle frisate e gli regalò un’occhiata radiosa. «Mio eroe! Proprio come Humphrey Bogart nella Regina d’Africa. »

«Chi?» chiese Markov, avanzando nell’acqua alta fino alle cosce.

«Non sai chi è Humphrey Bogart?» ribatté lei, incredula.

«Non era il vicepresidente degli Stati Uniti?»

Quando raggiunsero la spiaggia, il cielo si oscurò, scese un altro acquazzone. Jo balzò a terra e lo aiutò a mettere in salvo la canoa sulla sabbia. Poi corsero sotto gli alberi e crollarono a terra: bagnati, divertiti, senza fiato.

«Non credo di essere fatto per la vita all’aperto» commentò Markov.

«E perché?»

«Sono un uomo civile. Il che significa che il mio habitat è in città, non la natura selvaggia.»

«Mosca?»

Lui annuì. «Sì. In questo momento, Mosca mi apparirebbe meravigliosa. Ovviamente, se anche tu fossi lì con me, mia dolcissima.»

«Com’è Mosca?» chiese Jo. «Non ci sono mai stata.»

«È una città.» Markov scrollò le spalle. «Non bella come Parigi, non grande come New York. Non affollata come Tokyo. Il sole la illumina per ben due minuti ogni anno. Tutti corrono fuori a osservare il fenomeno. Poi tornano le nubi, e nevica per il resto dell’anno.»

Lei rise. «Tu ami la tua città, vero?»

Markov aveva gli occhi fissi sulla pioggia che batteva la laguna. «Suppongo di sì. Ci sono nato. Immagino che ci morirò. Mio padre è morto a cinquanta chilometri a ovest di Mosca, nel quarantadue, per respingere i nazisti. Suo padre era morto nella guerra civile seguita alla rivoluzione.»

Jo si chinò su di lui, gli sfiorò la guancia con la mano. «Però tu vivrai una vita lunga e pacifica, eh?»

Markov arrossì. «Ho tutte le intenzioni di farlo» disse, cercando di ricomporsi.

Aspettarono che il temporale lasciasse l’isola, spostandosi a ovest. Il sole uscì da dietro le nubi, caldo e abbagliante. Nel giro di pochi minuti, la spiaggia era asciutta.

Markov scrutò a occhi socchiusi il cielo. «Se stendessimo i vestiti sulla sabbia, asciugherebbero prima.»

«E noi potremmo fare un altro bagno a fior di pelle» scherzò Jo.

«Per un pomeriggio, penso di essere stato in acqua abbastanza» disse Markov.

Jo rifletté qualche momento. «Forse è meglio che ci lasciamo asciugare dal sole, senza spogliarci.»

«Una grande prova di coraggio» annuì Markov.

Jo gli sorrise. «Spero solo che riusciamo a tornare a Kwaj prima del buio.»

A Washington era mezzanotte.

Nonostante la tensione, Willie Wilson sorrise, si appoggiò all’indietro sul divano. L’appartamento dell’hotel era ben arredato. La direzione gli aveva dato il migliore: piano più alto, prezzi più alti.

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