In un silenzio mortale, tutte le persone seguivano il discorso del presidente. Con cautela, soppesando le parole, il presidente informò la popolazione sulla nave spaziale, spiegando pazientemente che non rappresentava una minaccia per la razza umana. Assolutamente nessuna minaccia.
Continuava a ripeterlo. È una grande occasione, la rivelazione improvvisa e inaspettata che non siamo soli nell’universo. Non è una minaccia.
Però, il presidente appariva spaventato. E molto, molto stanco.
Stoner ascoltò, guardò, aspettò. Ogni nervo, ogni muscolo del suo corpo si tese, ebbe uno spasmo: avrebbe letteralmente voluto “strappare” all’immagine televisiva del presidente le parole che attendeva di sentire.
E poi, le parole arrivarono: «Stamattina ho dato l’ordine di dare il via a una missione spaziale congiunta tra americani e russi. La missione avrà il compito di raggiungere l’astronave aliena e studiarla da vicino. Andremo incontro al visitatore alieno.»
Stoner lasciò andare il fiato. Gli tremavano le ginocchia. Allora lo faremo, si disse, ancora troppo teso per sorridere o parlare. Lo faremo. Io lo farò.
Quasi non udì il presidente che annunciava: «Di conseguenza, ho deciso di dedicare ogni mio sforzo personale al raggiungimento della collaborazione e comprensione internazionali indispensabili per garantirci di entrare effettivamente in contatto con la nave aliena e di ottenere tutti i possibili vantaggi da questo contatto. Dato che ciò costituirà un’enorme responsabilità per me personalmente, e per i miei assistenti e consiglieri, ho deciso, pur con riluttanza, di non ripresentarmi come candidato alla presidenza.»
Nella stanza caldissima, qualcuno gemette. Stoner quasi non se ne accorse.
«Non accetterò la designazione del mio partito per la rielezione e non presterò la mia opera alla campagna di alcun candidato. Tutte le mie energie debbono essere riversate, e lo saranno, nel coordinare lo sforzo internazionale per scoprire ogni informazione possibile sul visitatore alieno.»
Qualche grido di giubilo si alzò dagli altri che guardavano la televisione.
«Forse adesso ci daranno da mangiare in modo decente» commentò uno degli uomini.
«O mi aggiusteranno la finestra» disse una donna, guardando l’acqua che dal davanzale gocciolava giù per la parete.
La tensione si allentò. Persino Stoner, quando si rimise al lavoro, sorrideva. In quel momento, stava studiando le analisi spettrografiche della nave in avvicinamento.
La pioggia cessò di colpo com’era iniziata. Il pomeriggio si rischiarò, e la palude raggiunse la solita temperatura soffocante. Tutti cominciarono a lasciare la scrivania, a trovare scuse per andare al centro computer, o ai radiotelescopi, o in qualsiasi altro posto più fresco e meno afoso.
«Io ho saltato il pranzo» disse uno dei tecnici, superando la scrivania di Stoner. «Ho diritto a uscire un po’ prima.»
Stoner non gli prestò troppa attenzione. Il tecnico uscì in compagnia di due amici. Comunque, in pratica era andato a giustificarsi da Stoner, quasi adesso lo ritenesse il capo, quello che decide.
Mentre i tre scomparivano sulla scala di metallo, entrò Jo Camerata. Si guardò attorno un attimo, poi raggiunse la scrivania di Stoner e sedette sull’orlo, a gambe incrociate.
«Come fai a lavorare con questo caldo?» chiese. «È insopportabile.»
«Non me n’ero accorto» disse Stoner.
«Non te n’eri accorto? Sei sudato come un cavallo. Hai la camicia inzuppata.»
Lui abbassò gli occhi, staccò dal petto la camicia fradicia.
«Sarà il mio addestramento Zen, La mente che domina la materia.»
Jo batté un dito sulla propria camicetta. «Be’, “questa” materia fa un salto alla spiaggia per una nuotata prima di cena. Vieni?»
Lui le sorrise. «Ho del lavoro da fare, Jo.»
«Può aspettare. E dai, puoi venire domattina presto. È quello che faccio io. Arrivo sempre in ufficio alle sette.»
Stoner le scoccò un’occhiata scettica.
«Ecco…» Jo scoppiò a ridere. «Prima delle otto, okay? Ci credi?»
«Ogni tanto.»
La ragazza si chinò su di lui. «Non so nemmeno tentarti? Conosco certe spiagge “molto” deserte, dove nessuno va mai.»
«Jo, abbiamo solo poche settimane per preparare tutto.»
«Tu lavori troppo. E alle cose sbagliate.»
Stoner sentiva la fragranza del corpo di lei, Appoggiandosi all’indietro sulla poltroncina, lontano da Jo, le propose: «Senti, ho un sacco di cose da fare. Possiamo vederci per cena? Verso le sette?»
«Dovrò andare a nuotare da sola?» Jo fece una smorfia.
«La vita è dura» disse Stoner.
«E tu sei un uomo difficile, Keith Stoner» disse Jo, scendendo dalla scrivania.
Lui, tutto serio, rispose: «Non sto cercando di essere difficile, Jo. Te lo giuro.»
«Oh, lo so! Vorrei solo che mettessi le tue necessità personali un pochino più in alto sulla tua lista di priorità.»
Stoner non ribatté. Jo si guardò attorno, vide che la palude era praticamente deserta, si protese e lo baciò sulle labbra. Prima che lui potesse reagire, lei era già alle scale, sorridente.
Stoner le restituì il sorriso. Poi tornò al lavoro. Il sorriso scomparve quando, quasi solo nella stanza caldissima, ricominciò a studiare le analisi spettrografiche.
Fuori, sulla strada inondata dal sole, se non altro c’era la brezza marina a mitigare il caldo. Jo trasse un profondo respiro; poi, anziché avviarsi alla spiaggia, tornò verso il centro computer.
Incontrò Markov a mezza strada, sbucato dalla direzione opposta.
«Ah, la mia amica dal cuore infranto. Come va stamattina?»
Jo fu costretta a ridere. «Il cuore è sempre spezzato. E tu?»
«Idem.»
Ferma sotto il sole, la ragazza scrutò il centro computer, poi riportò l’attenzione sul russo, Markov le stava sorridendo, gentile, dolce, ansioso.
“Okay, Keith è un fanatico, ma non c’è motivo che lo sia anch’io” pensò Jo. “Ho la mia vita, in fondo.”
«Sai portare la canoa?» chiese a Markov.
Lui socchiuse gli occhi. «Chiedo scusa. A volte la mia comprensione dei vostri eufemismi…»
«Una canoa ricavata da un tronco d’albero» disse Jo. «Ce ne sono parecchie sulla spiaggia, più in su della pista d’atterraggio. Potremmo avventurarci sulla laguna e trovare una bella isoletta tutta per noi.»
Il viso di Markov s’illuminò. «E niente squali?»
«Niente squali.»
«Portami alle canoe» disse Markov, offrendole il braccio. «Remerò tanto in fretta che ti sembrerà di essere in groppa a un delfino!»
Nella palude era rimasto solo Stoner quando entrarono Jeff Thompson e il vicecomandante Tuttle. Tuttle si guardò attorno, perplesso.
«Perché avete spento i condizionatori?» chiese.
«Sono accesi» rispose Stoner.
Tuttle indossava l’uniforme cachi, e la camicia si stava già inzuppando di sudore.
«Bisogna che vi tiriamo fuori di qui» disse il vicecomandante. «Come fate a lavorare in un clima del genere?»
«Senso del dovere.»
«Adesso sapete come riesce a bere tanta birra senza ingrassare» disse Thompson, sfilandosi la camicia dalla cintura dei calzoncini.
Stoner spense lo schermo del computer, si appoggiò all’indietro sulla poltroncina cigolante. Aveva la schiena bagnata.
«Cosa la porta qui?» chiese a Tuttle.
Rispose Thompson: «Hai sentito il discorso del presidente?»
«L’ho seguito tutto sull’attenti.»
Tuttle prese una sedia a rotelle dalla scrivania vicina e si accomodò. “Com’è piccolo” pensò Stoner. “Ho sempre pensato che Jeff fosse piccolo, ma al suo confronto Tuttle sembra un bambino.”
«Il professor McDermott ha ricevuto ordini da Washington appena prima che il discorso venisse trasmesso» disse Tuttle.
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