«Lei non è dell’assicurazione?» chiese Willie, incrociando le braccia dietro lo schienale.
Il giovane seduto sulla poltrona davanti a lui sorrise. «No, signore, no. Sono del Dipartimento di Giustizia.»
«Giustizia?» Willie lanciò un’occhiata a suo fratello, in piedi davanti al mobile bar, irrequieto, quasi spaventato.
«Sì, signore» disse il giovanotto. Portava un abito grigio di taglio classico e cravatta marrone rossiccio. “Ha l’aria di un avvocato” pensò Willie.
«Perché vuole proprio me?» chiese Willie.
«Vogliamo impedire che succeda una tragedia.»
«Vogliamo? Perché il plurale?»
«Il Dipartimento. Il segretario alla giustizia. La Casa Bianca.»
Willie fischiò piano. «Hai detto niente.»
Il giovanotto annuì.
«E quale sarebbe la tragedia che la preoccupa?» chiese Willie.
«Il panico che lei ha diffuso.»
«Panico? Non so nulla di panico. Io sono un semplice ministro che diffonde la Parola del Signore.»
«Signore, lei sta spaventando la gente. Ciò che è accaduto allo stadio RFK poteva concludersi in una tragedia terribile. È stata evitata solo per un soffio.»
«Perché “lui” ha saputo reagire in fretta!» scattò Bobby, puntando l’indice sul fratello.
«È stata opera del Signore, non mia» ribatté Willie, continuando a sorridere.
«Reverendo Wilson, lei spaventa la gente. Già le cose andavano abbastanza male quando si limitava a predicare di scrutare il cielo. Ma adesso… Con quelle luci in cielo ogni sera…»
«È il messaggio che aspettavamo» disse Willie.
«La gente ha paura! Credono che sia vicina la fine del mondo.»
«Questo non l’ho mai detto.»
«Però la gente è convinta che lo stia dicendo» ribatté il giovanotto. «In tutto il paese.»
«Io sono un semplice ministro del Signore…»
«Lei è diventato una figura nazionale di primo piano, reverendo Wilson. E deve dimostrare una maggiore responsabilità per il potere che ha acquisito.»
«Come sarebbe a dire, responsabilità?» chiese Bobby.
«Deve calmarsi.»
«Cosa?»
«Deve smetterla di spaventare la gente. Deve dire che le luci in cielo non c’entrano niente con Dio o con la fine del mondo.»
«Non posso» ribatté, secco, Willie.
«Dovrà farlo.»
«Se no?» chiese Willie.
Il giovanotto si girò a guardare Bobby. «Se no, il governo federale diventerà molto duro con lei.»
Il sorriso di Willie non si era smorzato. «Mi sono visto col presidente, lo sapete?»
«Sì, signore, lo so. È stato lui a mandarmi qui, reverendo. Mi ha chiesto di rammentarle la tremenda responsabilità che ha tra le mani.»
«Il presidente?»
«Esatto, signore. Ha scelto me, ma poteva scegliere anche qualcun altro.»
Il sorriso di Willie divenne un po’ più teso, un po’ più forzato.
«In altre parole» grugnì Bobby «o stiamo al suo gioco, oppure il governo ci esclude dalla televisione e fa controllare la nostra contabilità da un centinaio di revisori.»
«Cosa significa che dobbiamo stare al gioco?»
«Dov’è il suo prossimo raduno, reverendo Wilson?»
«Ad Anaheim.»
Il giovanotto annuì. «Sì. Ci siamo già messi in contatto con la direzione dello stadio.»
«Che diritto avete…?»
«È molto semplice, reverendo. Un’esplosione di panico a uno dei suoi raduni potrebbe uccidere centinaia di persone. Forse migliaia. Nessuno di noi vuole che questo accada. Giusto?»
Willie annuì lentamente.
Il giovanotto trasse un profondo respiro. «Quindi, ai suoi seguaci deve dire che le luci in cielo sono perfettamente naturali, che a provocarle è l’astronave che si sta avvicinando al nostro pianeta, e che dietro non c’è nessun significato soprannaturale. Deve dissociare le luci in cielo dalla voce di Dio.»
«Ma non è possibile» disse Willie.
«Sì, certo che è possibile. Deve dirlo.»
Willie guardò suo fratello, poi tornò a posare lo sguardo sull’uomo del Dipartimento di Giustizia. «Lei sta interferendo con l’opera di Dio.»
«Lei lavora per Dio, signore. Io lavoro per il segretario alla Giustizia.» Esitò, poi aggiunse: «E tutti noi lavoriamo per il fisco.»
Era già il tramonto prima che Stoner uscisse dall’ufficio. Si fermò all’entrata, scrutò per un attimo, tra le fronde delle palme, il cielo in fiamme. Poi s’incamminò verso lo spaccio.
Un’ora dopo, vestito a nuovo, si trasferì dall’AUS all’hotel, solo per scoprire che Jo non c’era. Imperterrito, passò dal centro computer al Circolo Ufficiali, ma non trovò Jo.
“Dove diavolo può essere?” si chiese. L’orologio dietro il banco del Circolo segnava le sette passate. Gli aveva detto che andava a nuotare; se le fosse successo qualcosa, la voce si sarebbe sparsa per tutta l’isola.
Superò i clienti fissi al banco e andò a sedere allo stesso separé che aveva diviso con Markov. Era depresso.
Non può essersene dimenticata. Ha semplicemente deciso di non venire. Una rabbia fredda lo invase. Probabilmente sarà con McDermott.
Per quanto Cavendish camminasse, per quanto decidesse di allontanarsi, di prendere altre direzioni, i piedi lo riportavano sempre all’ospedale.
Adesso era il tramonto. Appoggiato al tronco di una palma davanti ai campi da tennis prospicienti l’ospedale, vide man mano le finestre illuminarsi.
“Non ho più una mia volontà” gemette fra sé, nel profondo. “Mi controllano, mi costringono a camminare e a parlare come un burattino vivente.”
Si afflosciò sull’albero. Al momento, il dolore non era tremendo, ma nulla poteva farlo scomparire. Solo l’obbedienza ai loro ordini alleggeriva l’agonia.
«Sono proprio in gamba» mormorò sottovoce. «Se dedicassero gli stessi sforzi che dedicano al controllo del cervello al risanamento della loro agricoltura, non avrebbero più bisogno del KGB.»
Il dolore non era tanto forte. “Forse posso mangiare qualcosa. O dormire!” Reclinò la testa e chiuse gli occhi. Sonno. Che lusso incredibile.
Cavendish non vide Schmidt aprire la finestra, sporgersi sul davanzale e saltare a terra, due piani più in basso. Il giovane astronomo era perfettamente vestito. I suoi occhi avevano uno scintillio folle, e nel taschino della camicia c’erano solo due delle capsule che Cavendish gli aveva dato poche ore prima.
Markov si sentiva un po’ come il marinaio che torna da un naufragio. Era distrutto dallo sforzo, coperto di sale e sabbia, bruciato dal sole in viso, fino alla fronte.
Aveva tutti i muscoli indolenziti. Aveva spinto quella maledetta canoa per ore, mentre Jo, seduta a prua, gli sorrideva. Non fosse stato per l’aurora boreale e per le luci degli edifici di Kwajalein, senza dubbio sarebbero finiti al largo nelle tenebre, per poi morire sull’oceano.
Risalì gli scalini del suo piccolo bungalow, traversò il portico in cemento ed entrò. Non erano ancora le nove, ma Markov aveva l’impressione che fossero le quattro del mattino. “Maria sarà sorpresa di vedermi rientrare così presto” pensò.
Sua moglie non era in soggiorno. Lui scrollò le spalle, e si accorse di colpo di essersi scottato anche collo e spalle.
Quando aprì la porta della camera da letto, il suo unico desiderio era buttarsi sul letto.
Maria lo fissò stupefatta, incredula. La valigetta che aveva accanto era piena di strane apparecchiature elettroniche. Su uno schermo minuscolo apparivano sottili linee luminose, simili a quelle di un elettrocardiogramma.
Ma fu l’espressione sul viso di lei a colpire Markov: senso di colpa, rabbia, paura. La bocca della donna era aperta, ma non ne uscivano parole. Gli occhi di lei lo fissavano, e lui riuscì a scrutarle sino in fondo all’anima. Sembrava Lucifero nel momento in cui aveva capito che Dio gli aveva spalancato sotto gli abissi dell’inferno.
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