Ben Bova - Giove chiama Terra

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Giove chiama Terra: краткое содержание, описание и аннотация

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Da osservazioni raccolte sulla Terra risulta che in orbita attorno a Giove c’è qualcosa da cui cominciano a pervenire dei segnali. Un ufo? La deduzione sembrerebbe inevitabile, dal momento che nessuna astronave terrestre è mai ancora arrivata laggiù. Ma...
Ma queste non sono praticamente le stesse parole con cui abbiamo presentato nello scorso numero
di Zach Hughes?
Il fatto è che Ben Bova e Zach Hughes per una straordinaria coincidenza hanno scritto e pubblicato contemporaneamente due romanzi che partono dalle stesse premesse pur arrivando a conclusioni diversissime. Veda dunque il lettore quali delle due preferisce e tenga conto d’altra parte che il complesso, ricchissimo romanzo di Bova è quasi tre volte più lungo di quello di Hughes e negli USA costa più del doppio, mentre in URANIA costa naturalmente lo stesso. Un’occasione da non perdere.

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«VI AVEVO DETTO DI SCRUTARE IL CIELO, ORA GUARDATELO! GUARDATE L’OPERA DEL NOSTRO SIGNORE DIO ONNIPOTENTE! QUESTO NON È UN MOMENTO DI PAURA. È UN MOMENTO DI TRIONFO! INGINOCCHIATEVI E PREGATE. RENDETE GRAZIA. DIO CI STA PARLANDO CON VOCE DI FUOCO, MA È UNA VOCE D’AMORE. È LA VOCE DELLA VITA ETERNA. GUARDATE TANTA BELLEZZA, IL REGNO E IL POTERE E LA GLORIA DEL NOSTRO SIGNORE E SALVATORE GESÙ CRISTO, DEL DIO PADRE E DEL FIGLIO E DELLO SPIRITO SANTO, NEI SECOLI DEI SECOLI…»

Il mattino dopo, i giornali riferirono che Willie aveva parlato per tre ore di seguito, senza mai interrompersi, senza mai lasciare il cerchio del riflettore. Da sola, la sua voce era bastata a soffocare il panico che avrebbe potuto uccidere migliaia di persone, nella corsa folle verso le uscite dello stadio.

Jo augurò la buonanotte a Markov all’entrata dell’hotel, e si avventurò nell’atrio, dove una guardia insonnolita aveva lasciato ricadere il mento sul petto.

Con una decisione improvvisa tornò fuori. Markov era già piuttosto lontano; inutile chiamarlo. Jo traversò la strada, aggirò gli edifici di cemento e raggiunse la spiaggia.

Non fu sorpresa di incontrare Stoner che passeggiava cupamente sulla sabbia. Al suo arrivo, lui alzò gli occhi, e a sua volta non parve affatto sorpreso.

«Ciao, Keith.»

Stoner quasi le sorrise. «Be’, hai detto che noi due siamo della stessa stoffa. Eccoci qua.»

Jo gli si affiancò. Si misero a camminare sulla spiaggia calma, sotto le grandi palme che sussurravano alla brezza della notte. La ragazza si fermò un attimo a togliersi le scarpe. Stoner fiutò il vento, carico del profumo dei fiori. La risacca mormorava tra le tenebre, instancabile.

Raggiungendolo di corsa, Jo gli chiese: «Qual è il vero motivo che ti ha spinto a rinunciare al nostro piano?»

«Te l’ho già detto, non ho nessuna intenzione di falsificare dati. Mi pareva una buona idea quando ero ubriaco, ma adesso sono sobrio.»

«È questo il motivo?»

«Sì.»

«L’unico motivo?»

Lui si fermò, si girò verso di lei. «Cosa vorresti sentirmi dire? Che non voglio perché non mi va che tu ti offra a Thompson?»

«Sì, Keith, è esattamente questo che vorrei sentirti dire.»

«Farebbe differenza, per te?»

«Io ti amo, Keith.»

Per un attimo, lui non parlò. Poi: «McDermott lo sa?»

«Certo che lo sa. Perché credi che mi abbia costretta a mettermi con lui? Per strapparmi a te. Lo fa sentire molto macho. »

«E perché ti sei messa con lui?»

«Perché tu potessi venire qui con noi, senza finire in carcere.»

«Non mi avrebbero messo in carcere» disse Stoner. Ma la sua voce era più tenera, più dolce.

«McDermott ha detto che ci saresti finito.»

«Ed è per questo che tu vai a letto con lui.»

«Sì. E anche per ottenere dal vecchio quello che voglio» disse lei.

Stoner abbassò le spalle. «Gesù Cristo, Jo, hai ragione tu. Siamo fatti della stessa stoffa.»

«Io l’ho sempre saputo. E adesso l’unica cosa che tu vuoi è tornare nello spazio, giusto?»

Lui riprese a camminare.

«Tutto quello che hai fatto» disse Jo «tutte le montagne che hai smosso… Era solo perché vuoi farti lanciare nello spazio, andare incontro alla nave aliena.»

«Per cui, sono un fanatico irragionevole» mormorò Stoner.

«Sei un essere umano, Keith. A volte mi spaventi, però sei umano. Se solo cercassi di esserlo più spesso…»

«Ti spavento?»

«Questa tua ossessione. Il bisogno di allontanarti da tutto, da tutti…»

Lui la circondò con le braccia. «Non voglio allontanarmi da te, Jo. Te lo giuro.»

Lei si lasciò stringere, si appoggiò al suo corpo forte, saldo. Tutta la rabbia, tutti i dubbi, tutti i timori scomparvero come foglie morte trascinate via da un torrente.

Stoner le alzò il mento, la baciò sulle labbra. Lei chiuse gli occhi, gli si strinse contro.

Le loro labbra si staccarono. «Sei così bella, Jo. Bella in un modo impossibile…»

Quando la ragazza aprì gli occhi per guardare Stoner, vide il cielo. «Keith… Cos’è?»

Lui alzò lo sguardo, s’irrigidì un attimo. La lasciò andare e girò su se stesso, rovesciò la testa all’indietro. A bocca spalancata, fissò il cielo, distese le braccia per non perdere l’equilibrio, continuò a roteare, scrutando il cielo che scintillava.

«Cos’è, Keith?» ripeté Jo, fissando la cortina di luci che solcava il cielo da orizzonte a orizzonte.

Lui rise. «Cos’è? Guarda! È la nostra rivoluzione! È lo scherzo cosmico più gigantesco! Guarda! Ma guarda!»

Il cielo era vivido di colori, rossi cangianti e verdi e gialli pallidi, cortine di luce che sfilavano lassù in alto come per magia, facendo impallidire le stelle, lanciando riflessi nelle acque calme della laguna.

Jo si trovò senza fiato. Era meraviglioso, spaventoso, assolutamente bello.

«L’aurora boreale! Le luci del nord!» Stoner rideva, ballava sulla sabbia come un ragazzino, s’imbeveva di quello spettacolo meraviglioso. «O forse le luci del sud. Chi se ne frega? Se le vediamo qui, così vicino all’equatore, si vedranno da per tutto. Su tutto il pianeta! Certo. Guardale! Non sono stupende?»

Lei lo raggiunse di corsa. «L’aurora boreale? Ma perché…?»

Circondandola con un braccio: «È il nostro visitatore, Jo. Non capisci? Ha interferito con la magnetosfera di Giove, e adesso sta facendo la stessa cosa col campo magnetico terrestre. È la sua risposta, il suo segnale per noi! “Magnifico!”»

31

Il pianeta ruota. La linea di divisione tra notte e giorno si sposta lungo mari e continenti. È quando l’oscurità scende sull’uomo.

Nei grandi viali e negli stretti vicoli di Pechino, milioni di cittadini stupefatti scrutano il cielo, guardano i draghi di fuoco che danzano in alto. All’unisono, corrono verso la Città Proibita, si affollano nell’antica piazza in cerca di una risposta, di una spiegazione, delle parole dei loro capi che sappiano scacciare i draghi e allentare la paura che stringe i loro cuori.

A Teheran, i muezzin salgono sulle balconate dei loro minareti a proclamare la gloria di Allah, l’Onnisciente, il Benevolo. Gli uomini abbassano il viso nella preghiera, lanciando occhiate impaurite al cielo infiammato di luci. Le donne si stringono assieme e piangono. Sanno che la fine del mondo è molto vicina.

A Varsavia e a Cape Town, a Dublino e a Dakar, a Buenos Aires e in Nuova Scozia, il cielo risplende e la gente non capisce e urla e implora dei o scienziati per una parola di salvezza, per una speranza, per qualcosa che allontani la paura che ghiaccia il sangue.

E le luci in cielo danzano, ovunque, nella notte del pianeta Terra.

Nulla è tanto meraviglioso da non poter essere vero.

Michael Faraday 1791–1867

Dal suo arrivo a Kwajalein, Stoner aveva lavorato a una scrivania all’ultimo piano di uno degli edifici più vecchi dell’isola. L’intero piano era un unico ufficio aperto.

Diciassette tra uomini e donne, visto che il loro lavoro non era ritenuto tanto importante da meritare uffici singoli, si dividevano il piano, affettuosamente soprannominato “la palude”. Le scrivanie si affollavano l’una addosso all’altra, come nelle redazioni di certi vecchi giornali. E anche il frastuono era quello di una redazione. Per quanto tutti cercassero di non prendersi a gomitate, i telefoni squillavano, i terminali di computer ticchettavano, le voci rimbalzavano sul soffitto basso e sulle pareti di cemento.

E quando il sole batteva sul tetto di lamiera, nemmeno tutti i condizionatori d’aria dell’isola messi assieme avrebbero potuto rendere sopportabile la palude.

La pioggia tamburellava sul tetto, e Stoner, seduto alla scrivania, guardava il discorso del presidente degli Stati Uniti sullo schermo che normalmente serviva per il computer. Una burrasca tropicale ululava fuori delle finestre, ma lì, nella palude, nessuno le prestava attenzione.

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