Stoner la fissò per un lungo momento, poi scese i tre gradini che portavano sul marciapiede in corallo e cemento.
«Lascia perdere» disse.
«Cosa?»
Girandosi a guardare gli altri due, Stoner disse: «Scordiamoci di tutta quanta l’idea. Io non ho intenzione di portarla avanti.»
Markov era stupefatto. «Ma l’idea è partita da te!»
«Lo so. Però non è buona. Scordiamocela.»
Jo gli arrivò a fianco. «Keith, se ti preoccupi per Jeff e me…»
«Non mi preoccupo di niente» sbottò lui. «Però non intendo falsificare dati. È un piano che solo un ubriaco poteva concepire.»
E, di colpo, girò la schiena e partì verso l’AUS. Jo, ferma ai piedi della scala, lo guardò scomparire nella strada buia.
Markov la raggiunse. «Non ho mai creduto che sarebbe andato fino in fondo» disse dolcemente. «Erano solo chiacchiere per vincere la delusione per l’intransigenza di McDermott.»
Ma Jo disse: «No. Non è questo il vero motivo. E il vero motivo non ce lo vuole dire. Non vuole nemmeno ammetterlo con se stesso.»
Markov le appoggiò una mano sulla spalla. «Cara bambina, so come ti senti.»
«E come puoi saperlo?»
«Lo so cosa significa avere il cuore spezzato.»
Jo scosse la testa. «E io credevo che il mio fosse a prova di bomba.»
«Nessun cuore lo è» disse Markov. «Il meglio che si possa sperare è un buon cemento a presa rapida per rimettere assieme i pezzi.»
Con un sorriso triste, Jo ribatté: «Cemento a presa rapida? E io che ti credevo un romantico.»
Markov le circondò le spalle col braccio. Assieme, s’incamminarono lungo la strada. «Ti accompagno all’hotel.»
Jo si lasciò guidare dal russo. Si girò una sola volta a guardare nella direzione che Stoner aveva preso.
Nel buio della camera da letto, la luce rossa della valigetta fissava Maria come l’occhio imperturbabile d’un demone.
“È vecchio” si disse. “Non posso continuare a erogare il massimo d’energia per troppo tempo, se no gli viene un colpo e muore.”
Stava per abbassare l’intensità del segnale quando, sotto la finestra, udì un rumore smorzato. Guardando fuori, vide Cavendish che saliva le scale e arrivava alla porta, come uno zombie.
Maria guardò l’orologio. Il quadrante luminoso era sfocato, le lancette quasi invisibili. Con uno sbuffo d’impazienza, portò al minimo l’emettitore di segnali. “Mi sta peggiorando la vista” pensò alzandosi. “Dovrò usare lenti più forti.”
Lisciandosi il vestito, andò in soggiorno e aprì a Cavendish. L’inglese restò immobile, come un cane o una mucca, in attesa del permesso d’entrare.
Maria non accese le luci. Non voleva vedere il volto di Cavendish. L’uomo raggiunse una poltrona, crollò a sedere con un sospiro straziante.
«Le scarpe» vide Maria alla luce fioca della strada. «Perché ha in mano le scarpe?»
«Ero in infermeria» rispose lui.
«Perché?»
Lentamente, Cavendish cominciò a raccontarle ciò che gli era successo; le confessò che si era presentato all’ospedale nel tentativo di sfuggire alla giusta punizione.
«Come ha fatto a fuggire?» chiese Maria.
Lui le raccontò il caos provocato da Schmidt.
«Lo sanno tutti che si riempiva di droga» disse Cavendish, in quella sua voce da automa «ma adesso dev’essersi preso un’overdose di qualcosa di molto forte. Era impazzito. Una furia scatenata.»
Una furia scatenata. La frase colpì la mente di Maria. Una furia scatenata. Esistono droghe capaci di trasformare un normalissimo astronomo in una macchina da guerra senza cervello.
Sorrise nel buio. “Adesso so come fermare Stoner” pensò. “E non ci sarà nemmeno bisogno di fare del male a Cavendish”. Per chissà quale motivo, a quell’idea si sentì meglio.
Dio sollevò la fronte dell’Uomo e gli ordinò di contemplare le Stelle.
Ovidio
Il raduno iniziava alle otto, ma i potenti riflettori dello stadio RFK erano già accesi quando le prime persone cominciarono a riempirne l’enorme ovale.
Willie Wilson si asciugò le labbra imperlate di sudore. Sotto il cielo ancora chiaro di Washington, lo stadio si stava affollando.
«Te l’avevo detto che sarebbe stato un successone» disse suo fratello Bobby, sorridente. «Tra mezz’ora dovremo mandare indietro la gente.»
Quando gruppi rock e cantanti e ospiti d’onore ebbero scaldato il pubblico, era ormai sera piena, anche se nessuno riusciva a vedere il cielo nello scintillio totale dei riflettori.
L’entrata di Willie era stata preparata nel modo più spettacolare. Tutte le luci dovevano spegnersi, fatta eccezione per un unico riflettore che si sarebbe puntato su di lui alla sua apparizione sull’erba. Poi, la luce lo avrebbe seguito mentre lui procedeva, magnificamente solo, sino agli scalini della piattaforma dov’erano sistemati i microfoni.
Per quanto fosse abituato ad affrontare la folla, per quanto avesse ripetuto all’infinito il suo messaggio alla gente, Willie avvertiva ancora quella sensazione di vuoto, di panico, che precedeva gli ultimi secondi prima dell’uscita.
Alle sue spalle, Bobby stava dicendo a Charlie Grodon: «Te lo avevo detto che avremmo fatto il tutto esaurito, no?»
«Per questa volta» ammise a malincuore Charlie. «Ma Anaheim? Da quanto so, le prevendite dei biglietti non vanno troppo bene.»
Willie escluse dalla mente quelle voci. Non erano importanti. Nulla importava, se non convincere la folla che il suo messaggio era degno d’attenzione.
Nervoso come un puledro che stesse per essere liberato dalla stalla, Willie ascoltò l’ex cantante convertita alla sua fede che annunciava il suo ingresso. E il sudore gli uscì da ogni poro del corpo, mentre la donna urlava nel microfono: «…L’uomo che tutti aspettate di vedere. Con il messaggio che tutti voi desiderate udire… L’evangelista urbano in persona, Willie Wilson!»
I gruppi rock suonarono un inno, le luci si attenuarono, si spensero, e la folla ruggì.
Poi piombò nel silenzio.
Sotto la luce del riflettore, Willie si fermò a metà d’un passo.
Silenzio. Come se l’intero stadio fosse scomparso. Come se fosse stato scagliato nelle tenebre dello spazio interplanetario.
Confuso, incerto, spaventato, Willie s’immobilizzò. La luce del riflettore lo abbagliava. Non vedeva nulla, sotto quel raggio accecante.
Però udiva sussurri. Voci. Gemiti.
«Guarda!»
«Dio, cosa può essere?»
«Guarda su, in cielo! “Guarda in cielo!”»
Willie cercò di schermarsi gli occhi, ma servì a poco. Adesso sentiva urla, grida strangolate di… Cosa? Paura? Meraviglia? Terrore?
Avanzò di due passi, e il raggio di luce non si mosse. Persino il tecnico delle luci si era bloccato.
Willie alzò gli occhi e lo vide, splendido in cielo. Il messaggio.
Adesso lo stadio era pieno di suoni. La gente bestemmiava, urlava, si muoveva, correva verso le uscite, spinta dalla paura più animalesca, più insensata.
Willie corse alla piattaforma. Anche al buio, il suo passo era sicuro. Sbatté la caviglia sul primo scalino, strinse i denti, salì sulla piattaforma.
La folla, nel buio, era un organismo vivo, pulsante, acefalo. Willie udiva gemiti e urla e l’esplosione della rabbia animale.
Le sue mani si chiusero sul microfono.
«ASCOLTATEMI» gridò, e la sua voce venne amplificata un milione di volte nel gigantesco stadio.
«ASCOLTATEMI! ASCOLTATE LA MIA VOCE! LA PAROLA DI DIO È QUI FRA NOI. INGINOCCHIATEVI!»
Il clamore si quietò, diventò un solo respiro collettivo. Willie incalzò: «INGINOCCHIATEVI! ASCOLTATE LA PAROLA DI DIO. QUESTO È IL SEGNO CHE TUTTI ATTENDAVAMO, NON ABBIATE PAURA, NON C’È NULLA DA TEMERE.»
Esitò, il viso rivolto alle luci in cielo, che pulsavano e si muovevano come una presenza viva. Il raggio del riflettore si spostò all’improvviso, lo circondò di un alone abbagliante.
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