Colin Wilson - I vampiri dello spazio

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I vampiri dello spazio: краткое содержание, описание и аннотация

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Autore di una vasta Enciclopedia del crimine e studioso del soprannaturale e dell’occulto, Colin Wilson non poteva mancare prima o poi all’appuntame con la fantascienza. Ma se l’inizio è tradizionale, se il primo personaggio a entrare in scena è un’astronave immensa e deserta, una cattedrale volante trovata in orbita nella fascia asteroidale, ben presto la storia prende una piega sinistra, ricca di morbose e agghiaccianti sfumature. Cadaveri che si ridestano, vittime che si gettano affascinate in braccio alla morte, orride sostituzioni di persona, efferati delitti, e una caccia sempre più affannosa alla creatura (ma è soltanto una?) che uccide e distrugge senza pietà per tutta l’Inghilterra. La soluzione sarà insieme spaziale e vampiristica, combinerà felicemente le emozioni classiche della fantascienza con i sudori glaciali della fantasy.

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Aprì gli occhi e vide Armstrong intento a guardare la ragazza, semisdraiata con le ginocchia leggermente staccate, e la gonna sollevata sulle cosce.

Carlsen richiuse gli occhi. Non c’era dubbio: era collegato mentalmente all’eccitazione di Armstrong, ne intuiva i pensieri. Spostò la sua attenzione sulla ragazza e seppe che dormiva. La sua mente afferrò le immagini confuse di un sogno.

Spostò la mente sul Primo Ministro. Era meno esausto di quanto pretendeva di essere. Jamieson possedeva notevoli forze di riserva, e la dura, irragionevole testardaggine di chi ama il potere. Stava guardando Carlsen e Fallada, chiedendosi come poteva convincerli a mantenere il silenzio.

L’apparecchio di comunicazione interna suonò. Jamieson rispose, e nella sua voce si sentì una nota di isterismo. La voce del segretario disse: — Il Ministro dei Lavori Pubblici, signor Jamieson.

Il Primo Ministro rispose: — Non adesso, per l’amor del cielo. — Fece uno sforzo per controllarsi. — Inventate qualche scusa, Morton. Dite che ho un caso di emergenza.

— Va bene, signore.

Jamieson si raddrizzò sulla poltrona, guardò gli altri, si schiarì la voce, e disse: — Non so voi, ma io ho bisogno di un whisky. — Aveva la faccia di chi ha appena finito di star male. Carlsen lo osservava attentamente: sapeva che stava recitando. Per Jamieson, era normale nascondere i suoi pensieri.

— Merriol — disse alla ragazza — portateci del whisky, per favore.

Carlsen sentì anche la delusione di Armstrong quando la ragazza si riscosse e tirò giù la gonna.

Armstrong rise nervosamente. — Non ne ho mai avuto tanto bisogno in vita mia.

Jamieson fece un cenno d’approvazione. — Vi siete comportato in modo ammirevole, caro amico.

Armstrong accettò il complimento con modestia. — Grazie, signor Primo Ministro — disse.

Carlsen incontrò lo sguardo di Fallada. Tutti e due sapevano quello che stava accadendo. La situazione anomala richiedeva reazioni che esulavano dalla normalità quotidiana. Jamieson e Armstrong stavano “normalizzandola”.

La ragazza posò sulla scrivania il vassoio con bottiglia e bicchieri. Jamieson versò il whisky in sei bicchieri, senza vergognarsi del tremolio delle mani. Poi alzò il suo, lo vuotò d’un sorso, e lo rimise sul vassoio respirando forte.

Carlsen prese un bicchiere, e lo portò alle labbra. Qualche goccia gli cadde sui pantaloni. Il whisky aveva un sapore aspro, insolito, gli parve petrolio. Pensò di non avere ancora perso interamente il senso di una realtà diversa e più profonda.

Era come sdoppiato, e la tensione fra i suoi due “io” gli dava il potere di combattere contro il sogno.

Jamieson bevette un secondo bicchiere, più lentamente, questo. Poi disse: — Miei cari signori, abbiamo superato tutti una eccezionale prova del fuoco. Grazie a Dio è finita.

Heseltine disse: — Ma che ne è stato dei vampiri?

Carlsen percepì un sussulto d’allarme in Jamieson. Poi il Primo Ministro disse: — Se ne sono andati. A noi non interessa altro!

Fallada chiese a Carlsen: — Tu sai cos’è successo?

— Credo di sì.

Armstrong disse: — Ormai, che cosa importa? — seguiva l’imbeccata di Jamieson.

Fallada lo ignorò. — Perché sono svaniti tutti? — chiese.

Carlsen cercò di trovare le parole giuste. Riusciva a capire perfettamente ma gli era difficile esprimersi. — Si potrebbe dire che è stato una specie di suicidio. Avevano dimenticato…

Jamieson intervenne. — Dimenticato cosa? — La sua curiosità era più forte della paura di perdere il controllo della situazione.

— Che noi prendiamo energia dalla stessa fonte — concluse Carlsen. — Sarebbe come rubare mele dalla dispensa, quando c’è a disposizione tutto il frutteto.

Fallada insistette: — Ma che cosa ne è stato di loro?

— L’altro alieno ha dato loro tutta l’energia di cui avevano bisogno per tornare nel loro sistema solare — disse Carlsen. — Non ha mentito quando ha detto che non sarebbero stati puniti. La loro legge non conosce punizioni. Ma li ha avvertiti che sarebbero stati giudicati. Voleva che sapessero cosa li aspettava. E mentre l’energia scorreva dentro di loro, cessarono di essere vampiri. Tornarono a essere degli dei… perché è questo che erano in origine. E quindi sono stati in grado di giudicare da soli se era stato giusto diventare vampiri. E da soli hanno emesso la sentenza e si sono condannati all’estinzione.

— Volete dire che avrebbero potuto vivere e tornare sul loro pianeta? — chiese Jamieson.

— Sì. Spettava unicamente a loro decidere.

Jamieson disse: — Dovevamo essere pazzi!

— No, solo totalmente onesti, incapaci di autoingannarsi. Come vampiri, erano esperti in quest’arte, ma messi faccia a faccia con la verità sapevano riconoscerla.

Si rendeva conto che le sue parole stavano mettendo a disagio Jamieson, gli istillavano un dubbio che poteva facilmente tramutarsi in panico. Il Primo Ministro disse: — Secondo la religione cristiana nessun peccato è perdonabile.

— Ma non capite? I vampiri avrebbero potuto dirsi che non erano realmente da biasimare, o che avrebbero controbilanciato il male fatto con future buone azioni. Ma erano diventati troppo consapevoli per abbandonarsi a qualsiasi tipo di illusione. E hanno capito di colpo quello che avevano fatto e quello che dovevano fare.

— E così hanno dovuto morire?

— No, non vi erano costretti. È stata una loro scelta. Una volta avete detto che il corpo di una persona uccisa da un vampiro è paragonabile a un pneumatico con cento fori. Loro erano così. È per questo che sono svaniti.

Heseltine chiese: — E gli altri? Quelli che sono rimasti sulla “Stranger”?

— Anche loro dovranno scegliere.

— E qualcuno di loro sceglierà di continuare a vivere? — chiese Jamieson.

Tenne lo sguardo fisso negli occhi di Carlsen, e Carlsen fu sorpreso da come l’ansia di Jamieson gli si comunicava. Sentì svanire il disgusto, e subentrare la compassione. Disse: — Non posso saperlo, naturalmente. Ma è possibile.

— Non… non avete modo di scoprirlo?

— No.

Jamieson distolse lo sguardo. Carlsen sentì distintamente il suo sollievo. L’orologio del Big Ben cominciò a suonare le ore. Contarono i rintocchi: mezzogiorno. Mentre l’ultima eco svaniva, Jamieson si alzò. Sembrava aver ritrovato nuovo vigore.

— Allora, signori, se mi scusate… credo che abbiamo tutti bisogno di un po’ di tempo per riposare e riprenderci da tutte quelle emozioni — disse. E mentre Carlsen si alzava, aggiunse in fretta: — Ma prima di lasciarci, posso avere la certezza che siamo tutti d’accordo sulla necessità di mantenere il silenzio, almeno per il momento?

Fallada disse, incerto: — Credo di sì.

— Non lo chiedo per me personalmente — disse Jamieson. — O nell’interesse del dottor Armstrong o in quello della signorina Jones. Questa è una faccenda che ci riguarda tutti alla stessa maniera. — Carlsen percepì che Jamieson stava riprendendo fiducia. Jamieson si curvò in avanti, appoggiandosi alla scrivania con la punta delle mani. — Se raccontassimo questa storia, nessuno ci crederebbe — aggiunse Jamieson. — Sono convinto che ci prenderebbero per pazzi, e ci rinchiuderebbero nel più vicino manicomio. E, francamente, sarebbe colpa nostra. Perché mai la gente dovrebbe credere a una storia simile?

— E perché non dovrebbero crederci? — chiese Fallada.

— Ma così sarebbe, mio caro dottore! L’opposizione per prima spargerebbe la voce che siamo diventati matti, o che ci siamo inventato tutto per sordidi motivi personali. Io mi sentirei costretto a dare le dimissioni, e non perché mi vergogni della parte che ho avuto, dato che non ne ho alcuna responsabilità, ma perché nuocerei al mio partito. Anche l’Alto Commissario dovrebbe dimettersi. Perché, signori miei, è ovvio che ci tireremmo addosso fango e scandalo. Ne saremmo tutti danneggiati.

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