Carlsen si rivolse a Fallada. — Mi scuso per aver parlato in una lingua straniera — disse. — Nella nostra forma naturale noi comunichiamo solo col pensiero, ma possiamo ancora servirci dell’antica lingua dei Nioth-Korghai.
Fallada disse: — Non capisco… Sei…
Carlsen capì la domanda inespressa.
— Sono un abitante di Karthis, un pianeta del sole che voi chiamate Rigel. Sto servendomi del corpo del vostro amico Carlsen, il quale è pienamente conscio di quello che sta succedendo. Si può dire che l’ho preso in prestito.
Guardò Armstrong, che stava puntellandosi per mettersi seduto. Poi guardò Jamieson. — Andiamo — disse. — È ora di partire.
Fallada ed Heseltine osservarono esterrefatti una nuova forma, leggera, trasparente, color porpora, staccarsi dal corpo di Carlsen.
Aveva più consistenza di quella dell’altro alieno: sembrava un insieme di punti luminosi.
Carlsen provò una sensazione improvvisa di debolezza, come se avesse perso sangue in abbondanza.
La luce color porpora aleggiava al centro della stanza, con una intensità dolorosa per gli occhi. Poi, mentre Carlsen guardava, sagome ondeggianti si staccarono dai corpi di Armstrong e di Jamieson, appena visibili, nel riflesso luminoso del loro catturatore. Armstrong si afflosciò su un fianco; la bocca aperta. Jamieson cadde pesantemente sulla poltrona dietro la scrivania, fissando la ragazza con espressione perplessa, come se la sua presenza lì gli fosse incomprensibile.
Guardando le luminose forme purpuree, visibili come onde di calore, Carlsen provò un’emozione più profonda di qualsiasi mai provata. Una specie di rispetto misto a una infinita pietà. Per la prima volta comprese chiaramente il tormento e la disperazione che avevano spinto quelle creature a compiere incursioni fra le galassie in cerca di energia vitale. Ora poteva sentire tutta la solitudine degli esseri tormentati dal terrore della totale estinzione. Davanti a questa realtà, la sua vita gli parve improvvisamente un cumulo di volgari banalità. Gli parve che ogni momento della sua vita, fin dalla nascita, fosse stato vissuto in una specie di insipido sogno a occhi aperti. Questa percezione gli diede il coraggio che nasce dalla collera. Si alzò e avanzando verso la luce più forte gridò: — Non ucciderli. Lasciali liberi.
Mentre gridava queste parole, gli parve assurdo come cercare di comunicare con una montagna. Ma un attimo dopo udì chiaramente una voce che diceva: — Lo sai che cosa chiedi? — Ma le parole non erano state dette: lui aveva captato un messaggio mentale.
Disse: — Che cos’hanno fatto di male? Volevano soltanto vivere. Perché punirli?
Fece un altro passo avanti verso il profilo luminoso. E di colpo ebbe di nuovo la capacità di leggere nella mente di chi gli stava attorno.
Questa volta la voce parlò attraverso la sua bocca. — Non si tratta di punizione — disse. — Ma siccome è importante che venga fatta giustizia, voi sarete i giudici.
Servendosi del corpo di Carlsen, l’alieno si chinò a prendere la ragazza fra le braccia, e la depose sulla sedia della scrivania. Lei aprì gli occhi, e guardò Carlsen, sorpresa e allarmata.
Lui si chinò su Armstrong, e lo toccò sulle spalle. La forza risanatrice che emanava dalle sue dita fecero saldare l’osso spezzato. Poi Carlsen si avvicinò a Jamieson, che si ritrasse. Ma Carlsen arrivò a toccargli lo zigomo gonfio e tumefatto, e il gonfiore e la tumefazione scomparvero.
L’alieno tornò alla poltrona di Carlsen e guardò a uno a uno i presenti. — Siete pronti a pronunciare il verdetto contro le creature che volevano distruggervi?
Per qualche minuto, nessuno parlò. Carlsen poteva leggere i pensieri e i sentimenti di tutti. In Armstrong e in Jamieson, rimorso e paura stavano trasformandosi in odio, in un desiderio istintivo di unirsi ai cacciatori.
La ragazza era sbalordita e perplessa. Solo Fallada ed Heseltine stavano cercando di essere imparziali. Fallada chiese: — Come possiamo giudicarli?
— Ascoltate e poi deciderete — disse la voce. — Da più di due secoli, io sono sulla Terra. Aspettavo il ritorno degli Ubbo-Sathla. E per più di un millennio la nostra gente li ha cercati ovunque fra le galassie. Il nostro compito era molto più difficile di quello di cercare un singolo granello di sabbia in tutti i deserti del mondo.
Le parole erano meno importanti delle immagini che le accompagnavano. L’alieno stava proiettando i suoi pensieri nelle loro menti, e gli uomini potevano finalmente afferrare qualcosa dell’immensità dello spazio e dell’infinità dei suoi mondi.
— Fu solo poco più di duemila anni fa che una delle nostre spedizioni scoprì i resti del pianeta B. 76, nel sistema di Vega. Quel mondo era esploso. Sapevamo che su B. 76 era esistita una razza di esseri altamente evoluta, gli Yeracsin che a voi sarebbero sembrati palloni fatti di luce. Quelle creature erano pigre, ma innocue e pacifiche. Cercammo quindi di scoprire quale catastrofe avesse distrutto il loro mondo. Come prima ipotesi pensammo che si fosse trattato di una catastrofe naturale. Ma poi, esaminando i frammenti, scoprimmo tracce di un’esplosione atomica. Fu allora che cominciammo a sospettare che il pianeta fosse stato distrutto per nascondere qualche crimine spaventoso, così come gli esseri umani talvolta danno fuoco a una casa per nascondere un delitto. Ulteriori indagini ci portarono alla conclusione che sul pianeta era stato commesso un genocidio. — I suoi occhi fissarono freddamente le forme luminose stagliate contro la parete. A Carlsen sembrò che stessero sbiadendo. — Allora cominciò la caccia. Compimmo una ricerca minuziosa in tutti i sistemi planetari locali per trovare una traccia che servisse a identificare i criminali. Scoprimmo la prova che cercavamo nel vostro sistema solare, dove un altro pianeta era stato ridotto in frammenti.
Fallada chiese, sorpreso. — Gli asteroidi?
— Nella nostra lingua lo chiamavamo Yllednis, il pianeta azzurro. L’ultima volta che avevamo visitato il vostro sistema solare, Yllednis ospitava la più grande e più antica civiltà di creature simili a noi: molluschi intelligenti. E anche Marte, a quel tempo, era abitato: da una razza di giganti umanoidi che stavano imparando allora a costruire città. Marte, però, era diventato un deserto privo d’acqua, e Yllednis era esploso in migliaia di frammenti rocciosi. Eppure la Terra, con la sua sviluppata civiltà mediterranea era rimasta indenne. C’era solo una spiegazione: i criminali se ne servivano come base. Fu allora che cominciammo a sospettare che i criminali fossero i perduti. Avevamo chiamato così un gruppo di scienziati che cinquantamila anni prima erano scomparsi durante il viaggio di ritorno alla nostra galassia. Dapprima ci sembrò impossibile, perché i Nioth-Korghai sono mortali, come gli uomini. Ma dopo aver studiato le vostre memorie razziali, non ci furono più dubbi. Quei criminali erano creature come noi, individui della razza Nioth, ma nei quali l’impulso di protezione verso le razze più deboli si era pervertito in una specie di sadismo…
Carlsen sentiva l’ondata di collera che emanava dalle tre forme ondeggiati sullo sfondo della parete.
La voce dell’alieno riprese. — La vostra demonologia è ricca di accenni agli Ubbo-Sathla, i vampiri dello spazio. E siccome loro avevano risparmiato il vostro pianeta, era ovvio che volessero ritornarci, un giorno o l’altro. Noi continuammo comunque la caccia attraverso le galassie, nella speranza di prevenire altri crimini. Ma la vostra galassia da sola ha più di cento milioni di stelle, e così i nostri sforzi non ebbero risultato… fino a oggi.
La voce tacque. Di nuovo Carlsen sentì le ondate di collera e di frustrazione che emanavano dagli alieni. Il silenzio si prolungò. Infine la voce disse. — E allora? Qualcuno ritiene ancora che debbano essere lasciati liberi?
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