Colin Wilson - I vampiri dello spazio

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I vampiri dello spazio: краткое содержание, описание и аннотация

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Autore di una vasta Enciclopedia del crimine e studioso del soprannaturale e dell’occulto, Colin Wilson non poteva mancare prima o poi all’appuntame con la fantascienza. Ma se l’inizio è tradizionale, se il primo personaggio a entrare in scena è un’astronave immensa e deserta, una cattedrale volante trovata in orbita nella fascia asteroidale, ben presto la storia prende una piega sinistra, ricca di morbose e agghiaccianti sfumature. Cadaveri che si ridestano, vittime che si gettano affascinate in braccio alla morte, orride sostituzioni di persona, efferati delitti, e una caccia sempre più affannosa alla creatura (ma è soltanto una?) che uccide e distrugge senza pietà per tutta l’Inghilterra. La soluzione sarà insieme spaziale e vampiristica, combinerà felicemente le emozioni classiche della fantascienza con i sudori glaciali della fantasy.

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Il vento fece svolazzare le tende della finestra. Jamieson si sistemò meglio sulla poltrona, fissando i tre uomini. La sua faccia sembrava di pietra. Nella stanza stagnava un silenzio innaturale. Il rumore del traffico sembrava lontano. Carlsen raccolse tutte le sue energie per non cedere alla sonnolenza, mentre Heseltine e Fallada erano già sul punto di addormentarsi. L’atmosfera non era di panico, ma di languore quasi sessuale. Il tempo sembrava aver perso importanza. Nella mente di Carlsen passarono ricordi lontani, favole dell’infanzia: i campi di papaveri di “Il mago di Oz”, la casetta di pandizucchero di “Hansel e Gretel”… Si sentiva completamente rilassato, con la sensazione che tutto andava bene. Quando cercò di dirsi che era in pericolo, non gliene venne alcun senso d’allarme. Una specie di magica nebbia dorata gli offuscava la mente confondendogli i perir sieri.

Si udì il suono di un campanello, e Carlsen si rese conto di essersi addormentato. Jamieson disse: — Questo dev’essere il nostro amico.

Uscì. Quando tornò dopo qualche minuto, Carlsen raccolse energia sufficiente per girarsi a guardare. Con Jamieson c’era Armstrong. Aveva la faccia cerea e camminava lentamente, con movimenti goffi. Jamieson lo accompagnò a una poltrona. Armstrong guardò Carlsen, poi Fallada ed Heseltine, senza dimostrare interesse. Aveva il respiro pesante e gli occhi arrossati.

Jamieson gli disse: — Guardatemi! — Armstrong alzò faticosamente la testa.

Jamieson l’afferrò per i capelli, facendogli fare una smorfia, poi gli spinse indietro la testa e lo guardò negli occhi.

Armstrong tossì. Per qualche secondo nessuno dei due si mosse. Poi la faccia di Armstrong cambiò. La pelle floscia sembrò riprendere tono, la linea della bocca si indurì, lo sguardo diventò vivo e penetrante.

Si scosse di dosso la mano di Jamieson.

— Va meglio, grazie — disse. — Mi hanno dato tre dosi di quella maledetta roba. — Guardò Carlsen con collera fredda. E Carlsen sentì l’urto della sua volontà come se fosse stato uno schiaffo.

— Se deve essere ucciso, lo farò io — disse Armstrong.

La ragazza disse: — L’ha già promesso a me.

— Sarà lui a scegliere — disse Jamieson. E si rivolse a Carlsen. — Che cosa preferite — gli chiese — essere invasato da lei, o distrutto da lui? Decidete alla svelta.

Carlsen fece un altro tentativo per muoversi, ma le loro tre volontà lo tenevano inchiodato alla poltrona con la durezza di corde metalliche. Si sentì debole, indifeso: un bambino nelle mani di adulti. Parlare gli costò uno sforzo.

— Sarebbe stupido uccidermi — disse. — Potreste usare il mio corpo, ma non ingannereste nessuno che mi conosca.

— Non sarà necessario. Vi chiediamo solo di fare l’intervista televisiva di questa sera. Ma dichiarerete che la “Stranger” venga portata immediatamente sulla Terra. Direte che sarebbe un errore aspettare ancora permettendo così che altri paesi se ne impossessino. Poi, io annuncerò di avervi affidato il comando della spedizione che porterà l’astronave sulla Terra, e che voi partirete domattina presto per la base lunare. Non vi chiediamo altro.

Carlsen rimase a fissarlo, combattendo la spossatezza e il profondo senso di sconfitta. La voce disse: — Decidete subito.

La ragazza disse: — Devo tentare di convincerlo? — E senza aspettare risposta, si sedette sulle ginocchia di Carlsen e gli spinse indietro la testa. Lo fece con freddezza come un’infermiera che prepara un paziente per un’operazione.

Non appena le mani di lei, fredde, lo toccarono, Carlsen si accorse che la sua energia vitale fluiva nella ragazza. Tenendogli le mani sulle orecchie, lei si chinò a premere la bocca sulla sua. Di nuovo lui provò l’incanto stupefatto, il desiderio di arrendersi, di lasciarle prendere possesso della sua volontà.

E quando la ragazza sentì che si era rilassato, gli mise le braccia intorno al collo, e le sue labbra si fecero avide.

Carlsen sentiva fiotti vitali d’energia sgorgare da lui come sangue da vene tagliate: la vita stava trasferendosi dal suo corpo a quello della ragazza. Quando tentò di muoversi, con un ultimo guizzo di ribellione, Carlsen sentì che le forze unite degli altri lo inchiodavano sulla poltrona. Poi, quando smise di resistere, il senso di impotenza si dissolse in un ardore di risposta.

Gli sembrò che fosse a causa dei movimenti della ragazza, che simulavano il ritmo dell’accoppiamento. Sentiva il calore del suo seno contro il petto, e avrebbe voluto alzare le mani e strapparle la camicetta dalle spalle. Il desiderio acquistò violenza, e Carlsen si accorse della sorpresa di lei nell’accorgersi che non era più passivo. In un lampo si rese conto che poteva servirsi della propria volontà per combatterla, serrandola, premendole la bocca con una forza che gli veniva dal proprio cervello. Senza muoversi, la teneva come un uccello tiene stretto un verme. E prese ad assorbire energia da lei, il corpo vibrante dal desiderio.

La voce di Armstrong disse: — Cosa stai facendo, Vraal? Non ucciderlo.

Carlsen rafforzò la stretta, abbandonandosi completamente al piacere di bere l’essenza dell’altro essere. L’intensità del contatto gli bruciava la carne.

Vide Jamieson afferrare Vraal per le spalle. Lui allentò la presa non appena la ragazza fu strappata via. Jamieson ci aveva messo una tale forza che lei finì contro la scrivania e cadde. Jamieson fece per parlare, poi vide la bocca tumefatta della ragazza e la sua espressione sconvolta ed esausta. Reagì istantaneamente. Si voltò verso Carlsen e la sua forza di volontà fu come un’esplosione. Avrebbe potuto annientare Carlsen lì sulla poltrona, mettendo fine alla sua resistenza con l’effetto di un proiettile nello stomaco. Ma la reazione di Carlsen fu ancora più veloce. Parò il colpo, evitandolo come avrebbe fatto un pugile sul ring, schivandolo di lato. Poi, prima che Jamieson potesse rimettersi dalla sorpresa, Carlsen rispose con la propria volontà, colpendo Jamieson nelle costole e scagliandolo contro la parete. Un movimento alla sua destra gli ricordò la presenza di Armstrong; e questa volta, prima di poter alzare le difese, ricevette il colpo che gli si abbatté su un lato della testa con la violenza di una mazzata. Infuriato per il dolore, rispose con più forza di quanta avrebbe voluto. La sua collera si abbatté su una spalla di Armstrong e gli spezzò l’osso come avrebbe fatto la zampata di un orso. Armstrong, buttato all’indietro, finì con la testa contro la parete, fece mezzo giro su se stesso e cadde sulle ginocchia, lo sguardo vacuo.

Intanto Jamieson si era rialzato. Sostenendosi alla scrivania, fissava Carlsen. L’occhio sinistro era semichiuso, e il sangue gli colava sulla faccia. Eppure, a dimostrazione della sua forza, la faccia non esprimeva né paura né sconfitta. In tono calmo, chiese: — Chi sei?

Carlsen stava per rispondere, ma si rese conto che era inutile: la domanda non era rivolta a lui. Una voce gli uscì dalle labbra, e in una lingua straniera, che lui però capiva, disse: — Vengo da Karthis.

Quella era la lingua dei Nioth-Korghai.

Jamieson mise una mano in tasca, ne tolse un fazzoletto bianco e si asciugò il sangue. Con voce calma e piatta, chiese: — Che cosa vuoi?

— Dovresti saperlo — risposero le labbra di Carlsen.

Mentre parlava, Carlsen si accorse che il vampiro, che aveva invasato la ragazza, stava staccandosi dal suo corpo. Anche se lui stava guardando da un’altra parte, un sesto senso lo rese conscio del fatto che il vampiro si spostava verso la finestra.

Disse: — Non puoi sfuggire, Vraal. Abbiamo impiegato mille anni per trovarti. Non ti permetteremo di andartene ancora. — L’afferrò e la costrinse a tornare in mezzo alla stanza. Heseltine e Fallada fissarono sbalorditi la trasparente forma violacea visibile ora sullo sfondo della parete. Brillava leggermente nella luce e l’energia di cui era composta vibrava con un effetto di volute di fumo.

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