«Oh, certo, quando l’ho scoperto, quando è cominciato a succedere proprio la me, ero a terra. Agghiacciato. Non riuscivo a crederlo! Ero certissimo che non sarebbe mai accaduto a me. Quando eravamo bambini, devi sapere, scherzavamo su qualche conoscente che era un po’ volatile e dicevamo: ‘Un giorno o l’altro prenderà il volo’. Ma io? Che mi spuntassero le ali? Non poteva succedere a me. Così quando mi è venuto mal di testa, mal di denti, e la schiena si è messa a darmi il tormento, ho continuato a dirmi che era una nevralgia, un’infezione, un ascesso… ma quando è cominciato davvero, non mi sono più potuto illudere. È stato terribile. Ma in realtà non ricordo molto. Faceva male. Prima come dei coltelli che mi passavano avanti e indietro sulle spalle, o degli artigli che mi afferravano su e giù per la spina dorsale. Poi li ho sentiti dappertutto, sulle braccia, sulle gambe, sulle dita, sulla faccia… e io ero così debole che non riuscivo a tenermi in piedi. Ho provato a scendere dal letto, ma sono caduto sul pavimento e non riuscivo ad alzarmi. Sono rimasto in terra, e ho chiamato mia madre: ‘Mamma! mamma! Ti supplico, vieni ad aiutarmi!’ Ma lei dormiva. Lavorava fino a tardi, serviva in un ristorante, e non arrivava a casa prima della mezzanotte, in genere molto più tardi, e quando andava a letto dormiva profondamente. Sentivo il pavimento che scottava sotto di me, tanto avevo la febbre alta, e cercavo di spostare la faccia su un punto più fresco…
«Be’, non saprei dire se il dolore sia diminuito col tempo o se io mi ci sono abituato, ma dopo un paio di mesi la cosa era un po’ migliorata. Comunque è stato un periodaccio. E non finiva mai; ed era un’esperienza strana.
«Stare a letto, ma non sulla schiena. Da allora in poi, non puoi più sdraiarti supino, lo sai. Difficile dormire la notte. Quando fa male, fa male soprattutto quando è buio. Sempre un po’ di febbre, sempre con strani pensieri in testa, idee ridicole. E mai capace di seguire fino alla fine un filo di ragionamento, mai capace di soffermarti su un’idea.
«Avevo l’impressione di non essere più in grado di pensare. I pensieri entravano dentro di me e mi attraversavano, e io ero un semplice spettatore. E non potevo fare alcun piano per il futuro, perché qual era adesso il mio futuro?
«Avevo intenzione di diventare un maestro. Mia madre ne era così contenta, mi aveva incoraggiato a rimanere a scuola per un anno in più, in modo da poter fare la domanda per il college degli insegnanti. Per farla breve, ho trascorso il diciannovesimo compleanno a letto, nel mio stanzino del piccolo alloggio di tre stanze, nella strada dei Fabbricanti di Pizzi, sopra la drogheria. Mia madre aveva portato del cibo speciale dal ristorante e una bottiglia di vino di mele, e abbiamo cercato di festeggiare, ma io non potevo bere il vino e lei non riusciva a ingerire il cibo, perché piangeva. Comunque, io potevo mangiare, anzi ero sempre famelico e questo l’aveva fatta un po’ sorridere… povera mamma!
«Alla fine ne sono uscito, un po’ alla volta, e le ali sono cresciute, grosse, brutte e nude, penzolanti, disgustose, tanto per iniziare, e ancora più brutte quando hanno cominciato a mettere le penne, e i pori della pelle sembravano grosse pustole. Ma quando sono spuntate le remiganti e le maestre, e ho iniziato a sentire i muscoli, e sono riuscito a muovere le ali, a scuoterle, sollevarle un poco — non avevo più la febbre, o mi ero abituato ad avere sempre la febbre, non so neppure io — e potevo alzarmi e camminare, e sentivo come adesso era leggero il mio corpo, come se la gravità non riuscisse più a toccarmi, neppure con il peso di quelle grandi ali che mi trascinavo dietro… ma potevo sollevarle, staccarle dal pavimento… Non in quel momento, però. Io ero ancora incollato! a terra. Il mio corpo si sentiva leggero, ma io mi stancavo non appena provavo a camminare, mi sentivo debole e tremavo. Una volta ero molto bravo nel salto, ma ora non riuscivo a staccare tutt’e due i piedi da terra nello stesso momento.
«Stavo meglio, ma la debolezza mi preoccupava, mi sentivo chiuso, in trappola. Poi è venuto a trovarmi un volatore, un uomo che abitava lontano dal centro, il quale aveva udito parlare di me. I volatori adulti si prendono cura dei giovani che sono nel periodo del cambiamento. Era già venuto un paio di volte per rassicurare mia madre e accertarsi che tutto andasse nel migliore dei modi… io gliene ero riconoscente. Quel giorno che venne, mi parlò a lungo e mi mostrò gli esercizi che potevo fare. E io li eseguii, giorno dopo giorno, ininterrottamente. Per ore e ore. Che altro potevo fare?
«Un tempo mi piaceva leggere, ma adesso non riuscivo a concentrare la mia attenzione su quello che leggevo. Mi piaceva andare a teatro, ma ora non potevo farlo, non ero ancora sufficientemente forte. E nei luoghi come i teatri non c’è posto per le persone con le ali sciolte. Occupate troppo posto, siete un disturbo. A scuola ero bravo in matematica, ma adesso non riuscivo più a concentrarmi sui problemi. Mi sembravano privi di importanza. Perciò non avevo altro da fare che ripetere gli esercizi che il volatore mi aveva insegnato. E così facevo.
«Gli esercizi mi aiutarono. In realtà, in casa lo spazio non era sufficiente; non potevo distendere le ali in verticale, ma facevo quello che potevo. Con il tempo mi sentii meglio, mi sentii più forte, e alla fine cominciai ad avvertire le ali come mie. Una parte di me. O io ero una loro parte.
«Poi, un giorno, non riuscii più a sopportare quella sorta di esilio. Da tredici mesi ero chiuso lì dentro, in quelle tre stanzette, quasi sempre nella mia camera. Tredici mesi! Mia madre era al lavoro.
«Scesi al piano terreno. Feci a piedi i primi dieci scalini, poi sollevai le ali. Anche se la scala era troppo stretta, ero in grado di sollevarle un poco. Mi staccai da terra e volai per gli ultimi sei scalini. Be’, più o meno. Colpii con forza il pavimento e mi si piegarono le ginocchia, ma non caddi realmente. Non volavo, tuttavia non fu proprio una caduta.
«Uscii sulla strada. L’aria era meravigliosa. Mi pareva di non respirare a pieni polmoni da un anno. In realtà mi sentivo come se non avessi mai saputo che cosa fosse l’aria in tutta la mia vita. Anche in quella strada piccola e stretta, con le case che la stringevano sui due lati, c’era la brezza, c’era il sole, non un soffitto. Il cielo sopra la mia testa. L’aria.
«Cominciai a camminare. Non avevo nessun progetto. Volevo togliermi dai vicoli, raggiungere uno spazio libero, una grossa piazza o un parco, qualunque cosa che fosse aperta al cielo. Notai che la gente mi fissava, ma la cosa non mi dava fastidio; anch’io avevo fissato le persone con le ali, quando non le avevo. Quel mio sguardo non aveva un significato particolare, solo curiosità: le ali non sono poi così comuni. Mi chiedevo cosa si provasse ad averle, sai. Semplice ignoranza. Perciò non m’importava che la gente mi guardasse, adesso. Ero troppo ansioso di allontanarmi dalle case.
«Avevo le gambe deboli, le ginocchia che si piegavano, ma andavo avanti e a volte, quando la strada non era affollata, allargavo un po’ le ali, le battevo, sentivo l’aria sotto le penne e per qualche momento mi sentivo più leggero sui piedi.
«Infine arrivai al Mercato delle Erbe. IL mercato era chiuso, era sera, i banchi erano stati spinti ai margini: al centro c’era uno spazio vasto, coperto di ciottoli. Mi fermai laggiù sotto il palazzo dell’Annona, e per qualche tempo eseguii i, miei esercizi di alzare e allungare le ali: per la prima volta potevo estenderle completamente in verticale, ed era una sensazione bellissima. Poi cominciai a trotterellare un poco mentre muovevo le ali e i miei piedi si staccarono dal terreno per un momento e a quel punto non potei resistere, non potei evitarlo, iniziai a correre con le ali aperte e le battei, e con un paio di colpi mi trovai in aria! Ma davanti a me s’innalzava il Palazzo dei Pesi e delle Misure. Avevo la sua facciata grigia davanti alla faccia, e dovetti sollevare le braccia per non batterci la testa lasciandomi cadere sul marciapiedi.
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