Hutchman si premette le mani sulle tempie, perché il mal di testa era diventato insopportabile. Cosa mi hai fatto, Vicky?
Audrey si alzò, si rivestì e lo accompagnò alla porta. «È stata comunque una bella serata, Lucas, ma domani ho molto da fare e devo andare a letto. Ti spiace?»
«Naturalmente, no» mormorò lui, con una formula di cortesia assolutamente priva di senso. Cercò qualcosa di intelligente e un po’ carino da dirle, e alla fine uscì con un banalissimo: «Spero che troverai bel tempo, domani.»
La faccia di lei non rivelò emozioni. «Lo spero anch’io. Buona notte, Lucas.» Chiuse la porta, adagio. L’ascensore era ancora al piano. Vi salì e guardò la sua immagine, riflessa nell’alluminio lucido. Cosa incredibile, dopo tutto quello che era successo, rientrò in casa a mezzanotte appena passata, e Vicky era ancora in piedi. Indossava una vecchia sottana comoda e un golf: allora, durante la sua assenza, non era uscita e non c’erano state visite! Guardava l’ultimo film alla TV e, come al solito, il colore era troppo basso e dava un’immagine molto sbiadita. Hutch lo mise a posto, e dopo si sedette stancamente, senza parlare.
«Dove sei stato, Lucas?»
«A bere qualcosa.»
Si aspettava che lei protestasse, più o meno direttamente, e invece gli disse: «Non devi bere molto, ti fa male.»
«Mi fa bene, più di altre cose.»
Lei si voltò a guardarlo, poi disse, incerta: «Ho avuto l’impressione che tutto questo ti abbia veramente ferito, Lucas, e la cosa mi sorprende. Ma non capivi quello che stavi per provocare?»
Hutchman osservò attentamente sua moglie. Gli era sempre piaciuta, quando indossava quegli abiti casalinghi, familiari come quella sera. Nella calda luce arancione il viso era bello e serio, e in lei c’era il potere di farlo sentire ancora un uomo. Ricordò il primo plico di lettere, in viaggio verso la sua destinazione, senza che nessuno, ormai, potesse farle tornare indietro.
«Ma va’ all’inferno» disse con voce rauca, e uscì dalla stanza.
Il mattino dopo, Hutchman si recò a Maidstone e spedì un altro gruppo di buste. Il tempo era sereno e abbastanza caldo. Rientrando a casa, trovò Vicky e David che facevano colazione. Il ragazzo mangiava fiocchi d’avena e, contemporaneamente, cercava di trovare la soluzione di alcuni problemi.
«Papà» gli gridò con aria accusatrice. «Ma perché nelle somme ci sono le centinaia, le decine e le unità? Non potrebbero essere tutte unità? Non ci sarebbe bisogno del riporto.»
«Ma, caro mio, le addizioni non funzionerebbero più. Perché hai del compito a casa da fare, la domenica mattina?»
David alzò le spalle. «La maestra non mi può vedere.»
«Non è vero, David» intervenne Vicky.
«E allora perché mi dà sempre più compiti che agli altri?»
«Perché vuole aiutarti.» Vicky guardò Hutchman, cercando aiuto. Lui prese il quaderno e la matita, di David, scrisse i risultati degli esercizi e riconsegnò il tutto al ragazzo.
«Grazie, papà.» David lo guardò, stupito, poi schizzò fuori dalla cucina, lanciando urla di gioia.
«Perché l’hai fatto?» Vicky prese la caffettiera, versò un’altra tazza e la porse a Hutchman attraverso la tavola. «Hai sempre detto che quel genere di cose non serve al ragazzo.»
«Erano altri tempi.»
«Che cosa vuol dire?»
«Forse non c’è tempo per fare ogni cosa con calma e bene.»
Vicky si portò la mano alla gola. «Ti guardavo, Lucas. Non ti comporti come un uomo che è stato…» sospirò. «Cosa penseresti, se ti dicessi che non ti sono stata infedele, nel senso clinico della parola?»
«Ti risponderei quello che mi hai detto cento volte, in passato: basta pensarlo perché sia ugualmente male.»
«E se ti dicessi che mi ripugnava a pensarlo e che solo…»
«Ma cosa vuoi, adesso?» chiese lui, aspro, premendosi le nocche contro la bocca per evitare che tremasse. Dopo tutto quello che è successo , si chiedeva spaventato, adesso rischio di cedere? Ma una donna riesce davvero a dissolvere il suo « homunculus » nell’acido e a farlo rinascere, a suo piacere?
«Lucas, mi sei stato infedele?» Aveva la faccia come una sacerdotessa.
«No.»
«Ma, allora, che senso ha tutto questo?»
Hutchman, in piedi, con la tazza di caffè in mano, si accorse che le ginocchia gli tremavano al punto da non reggerlo più. In lui avvenne una tremenda trasformazione. Che bisogno ho della macchina? Quello che conta è che tutti ne siano informati. Basta che il sistema di costruzione della macchina anti-bomba sia reso noto su scala mondiale perché il possesso di un ordigno nucleare diventi troppo rischioso. Anche se adesso la macchina fosse distrutta, le mie buste continuerebbero il loro viaggio e, se non altro, servirebbero da ammonimento. Ancora meglio, potrei aprire le buste rimaste e togliere la lettera, spedendo soltanto i dati. Senza quella macchina, forse potrei starmene in pace. Non avrebbero bisogno di trovarmi…
In quel momento squillò il telefono. Vicky fece per alzarsi, ma lui le fece segno di star ferma. Corse nell’ingresso e alzò il ricevitore, a metà di uno squillo.
«Parla Hutchman.»
«Buongiorno, Lucas.» La voce della donna gli parlava come da un altro mondo, da un qualcosa che, in quella mattina di domenica, era lontanissimo e assolutamente estraneo. Hutchman dovette fare uno sforzo mentale per riconoscere Audrey Knight.
«Buongiorno» rispose, a disagio. «Ti credevo a Gatwick, a quest’ora.»
«Avrei dovuto esserci, però mi hanno destinata a un altro volo.»
«Ah!» Hutchman tentava di capire perché gli aveva telefonato. Per consolarlo, forse? Per farlo stare peggio, cercando di farlo stare meglio?
«Lucas, avrei piacere di vederti, oggi. Potresti fare un salto da me?»
«Mi spiace» disse lui, freddo. «Non vedo perché…»
«È per la busta che mi hai dato ieri.»
«Sì?» improvvisamente aveva una strana difficoltà di respiro.
«L’ho aperta.»
«Come…?»
«Ho pensato che dovevo sapere cosa portavo a Mosca. Dopo tutto, sono una socialista militante, e se l’articolo era destinato alla pubblicazione…»
«Sei socialista?» le domandò con la voce bassissima.
«Sì. Te l’ho detto, l’altra sera.»
«È vero.» Adesso ricordava le dichiarazioni di Audrey a cui, allora, non aveva dato importanza. Tirò un lungo sospiro. «Bene, cosa ne dici del mio scherzetto? Un po’ infantile, non credi?»
Ci fu una lunga pausa. «Non molto infantile, Lucas.»
«Ma ti assicuro…»
«Ho mostrato quei documenti a un mio amico, e non ci ha riso su.»
«Non avevi diritto di farlo!» Era un piccolo tentativo di minaccia.
«E tu non avevi diritto di coinvolgermi in una faccenda del genere. Ti spiacerebbe venire da me a discutere della questione?»
«Va bene.» Posò il telefono e si precipitò in cucina. «È successo qualcosa al programma Jack-and-Jill. Ne avrò per un’ora.»
Vicky sembrava preoccupata. «Di domenica? È qualcosa di grave?»
«Non è grave, ma è urgente. Tornerò fra un’ora.»
«Va bene, Lucas.» Lei gli sorrise timidamente, in un modo che gli faceva male solo a vederla. «Noi due abbiamo bisogno di stare un po’ assieme e di parlare.»
«Lo so.» Corse alla macchina, partì facendo schizzare la ghiaia e accelerò violentemente in direzione di Camburn. C’era poco traffico, per cui poté filare, e, mentre si concentrava nella guida veloce, evitava di pensare alle sue azioni immediate. Quando arrivò nel quartiere dove abitava Audrey, quasi non riconobbe il palazzo, in quella luce solare, di un giallo limone. Fermò la macchina e alzò lo sguardo verso l’ultimo piano. Alla finestra dell’alloggio di lei non c’era nessuno. Si diresse rapidamente all’ascensore, vi salì, osservando con disgusto le pareti di alluminio che gli ricordavano, nelle loro immagini contorte, la sera prima. Suonò alla porta, senza avere il tempo di pensare a quello che avrebbe detto. Pochi secondi e lei aprì. La sua faccia bruna era impassibile, mentre lo faceva entrare.
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