Clifford Simak - La strada dell'eternità

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Jay Corcoran e Tom Boone sono amici da anni e in certe occasioni formano una coppia perfetta. Jay è un esperto nel raccogliere informazioni su chiunque, e Tom sa girare dietro gli angoli anche quando non ci sono. La scoperta di una stanza che non esiste sarà solo il punto di partenza ideale per un viaggio destinato a scaraventare i due amici in un'avventura ambientata nel più lontano passato e nel più remoto futuro. Incontreranno così una strana famiglia di esiliati che include il bizzarro Henry, detto anche Fantasma (ma non fatevi sentire a chiamarlo in questo modo dagli altri membri della famiglia), il Popolo dell'arcobaleno, che possiede oscure risposte ad ancora più oscure domande, l'ambigua figura nota come Cappello, messaggero di forze sconosciute e al tempo stesso giocattolo di un lupo preistorico, e soprattutto gli Infiniti, che vogliono tramutare l'uomo in una intelligenza priva di corpo. Il tutto, fra robot che vogliono essere utili all'uomo, e lungo quella che è chiamata la Strada dell'eternità.

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Il robot aveva scaricato dalla rete la sua attrezzatura da cucina ed era indaffarato con il forno: non prestava attenzione agli arcobaleni. Enid e Corcoran erano accanto a lui e osservavano il cielo. Il Cappello si era sdraiato in terra. Muso di Cavallo stava davanti a lui.

— Manca uno di noi — disse Boone, sorpreso. — Non c'è Martin. Cosa gli è successo?

— È cascato dalla rete — disse Muso di Cavallo. — La rete non l'ha voluto tenere…

— E voi non ci avete detto niente? Non avete accennato alla cosa.

— Si vede che non era destinato a venire con noi. La rete le sa, queste cose.

— Gli Infiniti ci sono ancora — disse Corcoran.

I tre Infiniti, riuniti insieme, si tenevano in disparte.

— Mi pare che sia successa una cosa orribile — disse Enid. — Dite che Martin è caduto. Siete sicuro di non avergli dato una spinta?

— Io ero lontano da lui. Non potevo dargli nessuna spinta.

— Io per primo non piangerò la sua mancanza — disse Corcoran.

— Avete idea di dove possa trovarsi? — chiese Boone.

Muso di Cavallo alzò le spalle.

Il Cappello disse a tutti: “Io non parlo per me” disse. “Sono il portavoce del Popolo dell'Arcobaleno. Attraverso di me, parla a voi”.

— Ma chi è il Popolo dell'Arcobaleno? — domandò Boone.

“È composto di coloro che vi sembrano arcobaleni” disse il Cappello. “Vi danno il benvenuto. Più tardi parleranno con voi”.

Enid domandò: — Ho capito bene? Gli arcobaleni sono persone? Sono le persone di cui ci avete parlato?

— A me — disse Corcoran — non sembrano persone.

Lupo si avvicinò alla gamba di Boone, e Boone gli parlò piano. — Tutto a posto — gli disse. — Sta vicino a me. Siamo sempre insieme.

— E il Popolo dell'Arcobaleno non ha altro da dirci? — chiese Enid. — Che siamo i benvenuti e che più tardi ci parlerà?

“È tutto” la informò il Cappello. “Che altro volete”?

Il robot disse: — Senza preavviso, posso fare solo degli hamburger. Vanno bene?

— Se si mangiano — gli disse Muso di Cavallo — per me vanno bene.

Al di sopra dell'orizzonte, il mucchio di arcobaleni perse fulgore; dapprima i colori sparirono, e infine non ci fu più traccia di luminosità. La sparizione degli arcobaleni, pensò Boone, pareva avere portato via anche una parte del calore. Rabbrividì a questo pensiero, anche se sapeva che non c'era motivo di rabbrividire. In quel luogo c'era la stessa temperatura di prima.

È stato il Cappello, si disse Boone, a portarci qui. Il Cappello non aveva dato loro il tempo di discutere le altre possibilità. Forse era un agente dell'Arcobaleno: conosceva il Popolo, sapeva dove lo si poteva trovare, era il suo portavoce.

— Propongo di salire sulla rete e di andarcene — disse. — Cosa diavolo stiamo a fare qui?

— Sei anche tu della mia idea, vedo — disse Corcoran.

“Siamo venuti qui” disse il Cappello “per giudicare gli Infiniti. All'unica corte che può dare loro una giusta udienza, l'unica che abbia le conoscenze necessarie”.

— Allora, cerchiamo di fare in fretta — disse Corcoran. — Giudichiamoli e partiamo. Oppure, ancora meglio, lasciamo qui gli Infiniti e partiamo. A me non interessa conoscere il verdetto.

— A me, invece, interessa — disse Enid. — Sono quelli che hanno distrutto la razza umana. Voglio sapere cosa succederà loro.

“Il processo non è tutto” disse il Cappello. “Ci sarà qualcosa d'altro che riguarderà tutti voi”.

— Non so proprio cosa possa essere — disse Corcoran.

“Gli Arcobaleni sono una razza antica” disse il Cappello. “Una delle prime, se non la prima razza dell'universo. Hanno avuto il tempo di evolversi al di là di ogni attesa. La loro conoscenza e la loro saggezza superano ogni vostra concezione. Adesso che siete qui, sarebbe bene che li ascoltaste. Non vi richiederà altro che un po' di tempo”.

— La più antica razza dell'universo… — disse Boone, e non continuò. Se era la razza più antica, aveva potuto evolversi fino alla condizione più alta.

Si sentì girare la testa, a quel pensiero. Gli pareva fantastico… eppure non più fantastico di ciò che gli uomini avevano fatto in qualche centinaio di migliaia di anni, passando dalla condizione di animaletti astuti, ma facile preda di tutti gli altri, a quella di padroni del pianeta. Questo grazie alla loro mente acuta e alle loro mani abili, che avevano permesso loro di costruire strumenti capaci di farli sopravvivere in un ambiente ostile.

Ma gli Infiniti, pensò… santo cielo, se ciò che dicevano gli Infiniti era vero, la smaterializzazione che offrivano agli uomini non aveva niente da temere da mutamenti delle condizioni fisiche dell'universo, mentre il Popolo dell'Arcobaleno, se era vincolato alle forme di energia che assumeva su quel pianeta, poteva morire con l'aumento dell'entropia. Dato che l'universo era destinato a raggiungere l'annullamento di tutte le differenze, e che spazio, tempo ed energia erano destinati a rimanere immobili, anche la forza che permetteva al Popolo dell'Arcobaleno di esistere si doveva annullare e quel giorno il Popolo sarebbe morto insieme con l'universo.

E il Cappello aveva affermato che il Popolo dell'Arcobaleno era il solo che poteva giudicare gli Infiniti!

Eppure, si domandò Boone, era possibile che gli Infiniti, pur essendo in grado di fornire agli altri un perfetto sistema di sopravvivenza, per qualche ragione fossero incapaci di usarlo su se stessi? Forse gli Infiniti, giunti al momento di porre il piede sulla Strada dell'Eternità, avevano avuto paura?

E anche adesso avevano paura, tutt'e tre. Si erano messi in cerchio, uno di fronte all'altro, cosicché le loro tonache sembravano far parte di un unico organismo.

Intonavano un canto doloroso, che aveva accenti di solitudine e di disperazione. Non era un canto di morte, perché un canto di morte contiene sempre un nota di sfida. Il canto degli Infiniti non conteneva né sfida né speranza: era la nenia funebre per la morte dell'universo.

Dall'immobilità che gravava su di loro, scorse una voce mentale che disse: “Il vostro peccato è quello di avere commesso un errore di valutazione. Voi Infiniti avete peccato di orgoglio. Non c'è dubbio, la vostra tecnica è della più elevata qualità, ma l'avete usata troppo presto. Avete condannato i membri di un'altra razza a uno stato mentale più basso di quello che erano destinati a raggiungere. Il popolo del pianeta chiamato Terra non aveva ancora raggiunto gli stadi finali del suo sviluppo, diversamente da quello che voi pensavate. Si stava semplicemente riposando. Se avesse avuto a disposizione dell'altro tempo… tempo che voi non gli avete concesso… avrebbe potuto giungere a una nuova intellettualità. Agendo troppo presto, lo avete reso cittadino dell'universo inferiore agli altri. Questo vi condanna, e pone su di voi una maledizione. Verrete riportati tra i vostri compagni per informarli di questa sentenza. La loro punizione, e la vostra, consiste nella conoscenza dell'ingiustizia commessa. Dovrete portare il peso di questa colpa finché sarà viva la vostra razza”.

La voce tacque. Gli Infiniti non stavano più raggomitolati l'uno accanto all'altro, simili a una tenda nera: erano scomparsi.

Corcoran emise finalmente il respiro, dopo averlo trattenuto fino a quel momento.

— Accidenti! — esclamò.

— Comunque — disse Muso di Cavallo — qui tutto è finito. Adesso che il giudizio è stato pronunciato possiamo andarcene. — Dette queste parole, si arrampicò sulla rete.

Erano in sette, contò Boone: Enid, Corcoran, Lupo, Muso di Cavallo, il robot cuciniere, il Cappello e lui stesso. All'inizio erano in undici, ma Martin era caduto dalla rete, e i tre Infiniti erano spariti dopo la condanna.

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