Jack Finney - Un mondo di ombre

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Un mondo di ombre: краткое содержание, описание и аннотация

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Può ritornare il passato? E una donna può attraversare lo schermo invisibile che separa il suo tempo dal nostro? Nell’anno del centenario del cinema, questo affascinante romanzo di Finney costituisce l’omaggio di URANIA (e della fantascienza in generale) al mondo della settima arte. Un mondo di sguardi allucinati, di visioni terrificanti e sogni impossibili; un mondo di mostri e magie che diventano sotto i nostri occhi tangibili e vivi. Come gli spettri di Marion, come le ombre della nera villa adagiata in collina di questo romanzo, come il mondo del passato — anzi, il mondo senza tempo che s’infiltra nel nostro lasciando una traccia enigmatica e indelebile.

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Marion stava semplicemente passeggiando per casa in attesa di ciò che sarebbe accaduto. Avevamo detto tutto quello che c’era da dire. La guardai; guardai il viso di mia moglie sotto l’assurda parrucca bionda, e però non era il viso di mia moglie. Non era di Jan, ma di Marion Marsh, la donna che avrebbe potuto diventare una star del muto. E aveva vissuto quel periodo! Era realmente stata a Hollywood nei remoti, quasi mitici giorni dei film muti. Le chiesi: — Marion, hai mai visto qualche star?

Lei annuì. — Lon Chaney, una volta.

— Non stai scherzando? Dove?

— In una strada di uno studio. All’ora di pranzo. Stavo andando a comperare un cestino alla mensa, e ho svoltato in un vicolo tra due edifici. — Si fermò davanti a me. Io accavallai le gambe, la fissai, rimasi in ascolto. — E lui spunta dietro l’angolo. Camminava diritto verso me. Stavano girando un film. Era truccato e aveva un aspetto assolutamente orribile. Aveva una cicatrice sul sopracciglio sinistro, e un occhio completamente bianco.

— Singapore Joe! Era il trucco da Singapore Joe per Il capitano di Singapore!

— Lo hai visto?

— No. Venderei l’anima per averne una copia. Ne ho soltanto letto. Aveva l’occhio coperto dalla membrana di un uovo.

— Come fai a saperlo?

— Colleziono vecchi film. Non che ne abbia molti. Il segno di Zorro , Giglio infranto. Un paio di episodi di serial. Qualche vecchio cinegiornale. Però so parecchio sull’argomento, e si dice che la membrana d’uovo abbia procurato a Chaney danni permanenti alla vista.

— Be’, era mostruoso, Nickie. — Marion sedette al mio fianco. — Si è accorto che ero un po’ spaventata. Eravamo noi due soli in quel vicoletto. E quando mi è arrivato più vicino, ha chiuso deliberatamente l’altro occhio, così a fissarmi è rimasto solo quello bianco! Mi è scappato uno strillo, e lui ha sorriso, ha chiuso l’occhio bianco, e quando ci siamo incrociati mi ha fatto l’occhiolino con l’occhio buono. Era un uomo dolcissimo. Lo dicevano tutti. Anche piuttosto bello. Una di quelle bellezze da duro.

— Signore. Avere visto dal vivo Lon Chaney. Nel trucco per Il capitano di Singapore. — Sorridevo, scuotevo la testa. — Hai visto qualcun altro?

— Oh… Laura La Plante.

Sul serio?

— Sì. Stava girando sul set vicino al nostro. E quando non c’era bisogno di me per le riprese, andavo a guardare alla porta accanto.

Annuii. Ai tempi del cinema muto, i rumori non avevano importanza, e spesso giravano su set disposti fianco a fianco. — Qual era il film?

— Non ricordo.

— Non ricordi!

— No. — Lei mi guardò, incuriosita.

— Be’, com’era qualche scena? Potrei riconoscerlo da quello.

— Oh, Nickie, che differenza fa? Lei era in cucina a preparare da mangiare o roba del genere. Io volevo vedere Laura La Plante.

— E com’era?

Marion scrollò le spalle. — Okay. Però io ero meglio. — Mi vide sorridere, e sorrise a sua volta. — Lo so. Sembro troppo piena di me. E lo sono. Però è anche vero: io ero molto meglio. Lo sono ancora. E lo sarò sempre.

— Hai mai conosciuto qualche star?

— Sì. Be’, non molto. Non troppo bene. Però ho conosciuto un po’ Valentino. Anche lui ha lavorato su un set vicino al mio, una volta, e abbiamo parlato. Due, tre volte.

— Mio Dio. Valentino! Di cosa avete parlato?

— Oh… — Lei aggrottò la fronte, guardò il pavimento. Poi rialzò la testa. — Di quanto fossero orgogliosi di lui gli abitanti del suo paese. Un paesello italiano. Secondo me era un uomo molto semplice. E molto gentile. Con me lo è stato.

Non riuscivo a smettere di scuotere la testa. — Hai conosciuto Valentino. Non posso proprio crederci. In questi giorni, all’Olympic proiettano un suo film. I quattro cavalieri dell’Apocalisse. L’ho visto due volte.

— Sei proprio un fanatico del cinema, eh? Ho conosciuto un tizio della Paramount che faceva collezione di film come te. A dire il vero, li rubava.

— Cosa?

— Sì. Lavorava al reparto… come lo chiamereste voi?… distribuzione; penso. Era solo un impiegato addetto alle spedizioni. Impacchettava le copie dei nuovi film e le inviava ai distributori. Magari una dozzina a New York, una mezza dozzina a Chicago, un paio a Milwaukee, e così via. Era un lavoro da schifo, e non pagava molto, però anche lui era un patito di film. Come me. Come quasi tutti quanti noi. Eravamo pazzi per i film. E poterci lavorare , avere rapporti col mondo del cinema… Una volta…

— Aspetta un secondo. Parlami un po’ di questo tizio che collezionava film.

— Te l’ho detto. Era pazzo dei film, ma sapeva che non avrebbe mai potuto interpretarne uno. Aveva un naso enorme, girato all’insù. Non mi piaceva guardarlo, anche se era un uomo gentile e andava matto per me. Se un film gli piaceva, se lo teneva, tutto qui. Ordinava una copia in più e se la portava a casa.

Mi alzai in piedi, girandomi a guardarla. Sentivo crescere l’eccitazione, e cercai di frenarla. Mi sembrava di dover stare molto attento, o tutto quello che stavo udendo sarebbe scomparso, svanito come un sogno impossibile da ricordare. — Marion. Stammi a sentire. Che tipo di film gli piaceva?

Lei scrollò le spalle, poi si mise a pensare. — Oh… — Puntò di nuovo gli occhi su me. — Quelli di Griffith, per esempio. Un regista. Lo conosci? D. W. Gr…

— Sì! Lo conosco.

— Be’, quello aveva tutti i suoi film, ricordo. Tutti i suoi lungometraggi.

— Tutti? — mormorai. Le mie ginocchia stavano per sciogliersi. — Tutti i lungometraggi di D. W. Griffith? Gesù. Lo sai che diversi non esistono piu ? Sono andati persi! Non ne esiste una sola copia nel mondo intero! E lui li aveva… tutti?

— Sì. — Marion mi fissava colma di meraviglia.

— Che altro? Marion, che altro aveva?

— Nickie, non lo so. Un’infinità di film. Scambiava copie coi suoi amici che facevano lo stesso mestiere in altri studios.

— Mio Dio. — Sedetti al suo fianco, ma mi rialzai subito. — Cioè, per esempio?

— Be’, aveva un amico alla Universal e si scam…

— La Universal ! NO! Senti, c’è stato un incendio alla Universal! Dopo la tua morte. Centinaia di film assolutamente senza prezzo andati persi! Film favolosi! Film mitici , oggi! — La scrutai. Il mio viso non aveva più un’espressione. — E lui ne aveva qualcuno. Pensare che li abbia avuti… Senti, quando accadeva tutto questo?

— Nel millenovecentoventisei.

— E lui quanti anni aveva?

— Hmm… Trenta.

Feci i conti, e scossi la testa. — Ormai dovrebbe essere morto. Però forse no. Forse no. Come si chiamava? — Girai sui tacchi, corsi alla libreria, afferrai i tre elenchi telefonici di Los Angeles, e tornai al bovindo. — Come si chiamava, Marion? Potrebbe essere ancora vivo. Potrebbe essere in queste pagine! — Sedetti, coi tre volumi sulle ginocchia, BEVERLY HILLS in cima.

— Quando a Los Angeles ci sono stata io, c’era un solo elenco telefonico, e non era più grande…

Marion! — Lei si zittì. — Come si chiamava ?

— Non ricordo.

— MA CERTO CHE PUOI RICORDARE!

— Aspetta un secondo! Buonanotte, infermiera! Aveva un cognome insolito. E un nome molto breve. Dick? No, non Dick. Quello era l’elettricista alto… Però qualcosa di simile. — Aggrottò la fronte. — Norman? No, quello era il giovane falegname coi capelli scuri. E Ned Berman era un cameraman…

— Ma non conoscevi nemmeno una donna, Cristo?

— Non le ricordo troppo bene. Dammi un minuto e me lo ricorderò. Smettila di interrompermi.

Tentai di aspettare con tutta calma, ma ero talmente eccitato che dovetti saltare su e andare in bagno, poi tornai indietro. Lei aveva ancora la fronte corrugata. Fissava il pavimento col labbro inferiore tra i denti. — Ti è venuto in mente? — Mi fermai di fronte a lei.

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