Arthur Clarke - Ombre sulla Luna

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Questo affascinante racconto scritto da uno dei migliori e piú noti autori di fantascienza si svolge tutto sulla Luna, in un’epoca — tra due secoli — nella quale i viaggi spaziali avranno superato il primo stadio, e già l’uomo avrà fondato le sue colonie sui pianeti del Sistema Solare. Come ora fra le nazioni della Terra, cosí domani fra la Terra e la Federazione dei pianeti si verranno inevitabilmente a creare situazioni passibili di sfociare in un conflitto armato. Ombre sulla Luna ci narra appunto come e perché la guerra ebbe luogo, quali ne furono le cause, e quali conseguenze ebbe... o meglio, avrà. E la descrizione è talmente vivida, accurata, poggiata su solide basi scientifiche, da dare l’ìmpressione di leggere una cronaca vera, di eventi veri, di uomini veri. E la Luna ci appare accessibile e familiare nella sua realtà. Arthur Clarke, l’indimenticabile autore di Sabbie di Marte, è tornato!

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Wheeler non riuscì mai a capire perché la fortezza avesse aspettato tanto prima di usare la sua arma decisiva. Forse Steffanson, posto che il comandante fosse lui, aveva aspettato che l’attacco si affievolisse in modo da poter con meno rischio abbassare gli schermi di protezione della cupola per quel millesimo di secondo sufficiente a vibrare la sua pugnalata.

Wheeler la vide salire in alto a colpire, solida lama di luce che si avventava contro le stelle. Rammentò allora le voci che circolavano all’Osservatorio; quello dunque era il fascio di luce che avevano visto fiammeggiare di là dai monti. Non ebbe il tempo di riflettere sulla sbalorditiva violazione delle leggi ottiche che il fenomeno implicava, perché stava guardando la nave colpita, alta nel cielo. Il raggio aveva trapassato il “Lete”, come se non esistesse, l’aveva infilzato come l’entomologo infilza con uno spillo le farfalle. E lo schermo protettivo sparì come per incanto.

La seconda pugnalata del forte fracassò la struttura metallica e fece fondere uno dopo l’altro i vari strati della corazza. Allora, lentamente, l’astronave cominciò a scendere verso la Luna. Nessuno potrà mai sapere che cosa l’avesse fermata, forse un corto circuito nei comandi, poiché nessun membro dell’equipaggio poteva essere ancora vivo. Tuttavia, d’un tratto, la sua caduta s’arrestò, e improvvisamente il “Lete” virò verso est. Ormai quasi tutto lo scafo era fuso, e lo scheletro visibile. Lo schianto seguì dopo qualche minuto, quando il relitto era ormai fuori vista, oltre i Monti Teneriffe. Un’aurora bianco-azzurra brillò per un attimo sull’orizzonte, e Wheeler attese che l’onda d’urto giungesse fino a lui.

Poi, mentre teneva gli occhi fissi verso est, vide una cortina di polvere sollevarsi dalla pianura e muovere verso di lui, come sospinta da un forte vento. Quel muro silenzioso che avanzava veloce e inesorabile avrebbe terrorizzato chiunque non ne conoscesse la causa. Invece era innocuo: quando l’ondata frontale giunse addosso a Wheeler, fu come se l’avesse colpito una lieve scossa di terremoto. La cortina di polvere ridusse la visibilità a zero per qualche istante, poi si depositò con la stessa velocità con cui si era sollevata.

Quando Wheeler tornò a guardare in cerca delle astronavi superstiti, queste erano così lontane, che i luminosi schermi protettivi si erano ridotti a puntini di fuoco, verso lo zenith. In un primo momento, il giovane credette che battessero in ritirata, poi, di punto in bianco, tornarono a velocità sbalorditiva. Intorno alla fortezza, la lava, simile a una creatura viva torturata, si slanciava follemente contro il cielo mentre i razzi la dilaniavano.

L’“Acheronte” e l’“Eridano” si immobilizzarono bruscamente quando furono a un chilometro circa dalla fortezza. Rimasero ferme un istante, poi ripartirono insieme verso l’alto. Ma l’“Eridano” era stata colpita a morte.

A dieci chilometri di altezza lo schermo dell’astronave parve esplodere, e l’apparecchio restò indifeso, ottusa torpedine di metallo nero, quasi invisibile contro il cielo. E i razzi della fortezza colpirono ancora e ancora. L’enorme apparecchio assunse una tinta rosso ciliegia, poi diventò bianco e, inclinandosi con la poppa all’ingiù, si tuffò per l’ultima volta contro la Luna. Wheeler ebbe l’impressione che gli precipitasse addosso, poi lo vide cadere nella direzione del forte, obbedendo all’ultimo comando del suo capitano.

Fu un colpo centrato in pieno. L’astronave moribonda andò a fracassarsi nel lago di lava ed esplose all’istante avvolgendo il forte in un emisfero di fiamma. “Questa” pensò allora Wheeler, “è la fine!”. Aspettò che l’onda d’urto lo raggiungesse, e ancora una volta guardò la parete di polvere avventarsi precipitosa, questa volta in direzione nord. La concussione fu talmente violenta da farlo sobbalzare. Certo nessuno di quelli che si trovavano nell’interno del forte era sopravvissuto. Il giovane mise cautamente da parte lo specchio che gli era servito a seguire quasi tutte le fasi della battaglia e sporse la testa oltre l’orlo della trincea.

Pareva incredibile, ma la cupola era ancora là, anche se mutilata. Ma era inerte e senza vita: i ripari abbassati, le energie esaurite, la guarnigione certamente morta. Della superstite nave federata non si vedeva l’ombra. Stava infatti ritirandosi verso Marte, con le armi fuori combattimento e i motori in procinto di spegnersi. Non avrebbe mai più combattuto, eppure nelle brevi ore di vita che le restavano aveva ancora una parte da sostenere.

— È finito, Sid — chiamò Wheeler. — Puoi venir a vedere, non c’è più pericolo.

Jamieson si arrampicò oltre l’orlo della trincea, tenendo avanti a sé il rivelatore di radiazioni.

— Scotta ancora, qui in giro — lo udì borbottare Wheeler. — Sarà meglio darcela a gambe al più presto.

— Non sarebbe una buona idea tornare a bordo di Ferdinando e trasmettere… — cominciò Wheeler, ma non finì. Stava succedendo qualcosa.

Laggiù, a Progetto Thor, la terra si fendette con un’esplosione di vulcano che erutta, e un enorme soffione salì nel cielo, lanciando grandi ciottoli a chilometri di distanza, allargandosi rapidamente sulla pianura e portandosi appresso un turbine di fumo e di schiuma. Torreggiò per un attimo simile a un incredibie albero nato dalla sterile terra lunare poi, con la stessa rapidità con cui era esploso, ricadde in silenziosa rovina, e i suoi rabbiosi vapori si dispersero nello spazio.

Le migliaia di tonnellate di liquidi pesanti che tenevano aperto il più profondo pozzo mai scavato dall’uomo, erano giunte al punto d’ebollizione. La miniera era esplosa in modo spettacolare, come può fare un pozzo di petrolio sulla Terra, dando una volta di più la prova che si può sempre ottenere un’eccellente esplosione anche senza l’ausilio dell’energia atomica.

18

Per l’Osservatorio, la battaglia non fu altro che un terremoto lontano, una debole vibrazione del suono che disturbò alcuni fra gli strumenti più delicati, senza però produrre danni materiali. Quanto ai danni psicologici, invece, il discorso cambia. Niente è più demoralizzante di sapere che stanno succedendo cose di portata enorme, rivoluzionaria, e ignorarne l’esito. L’Ufficio Segnalazioni veniva tempestato di domande alle quali non poteva rispondere. Le comunicazioni con la Terra si erano interrotte: l’umanità tratteneva il respiro, in attesa che la furia della battaglia si placasse, per poter finalmente conoscere il nome del vincitore. Non era stata prevista la possibilità che non ci fossero vincitori.

Solo dopo molto tempo da che le ultime vibrazioni si erano andate smorzando in lontananza, e la radio aveva annunciato che le forze federate erano in piena rotta, Maclaurin permise che qualcuno salisse in superficie. Il loro rapporto fu soddisfacente: nei dintorni si era riscontrato un trascurabile aumento di radioattività, ma non erano stati prodotti danni. Quello che era successo sull’altro versante delle montagne rimaneva però un mistero.

La notizia che Jamieson e Wheeler erano salvi servì a rincuorare non poco i colleghi. A causa della parziale interruzione delle comunicazioni c’era voluta un’ora perché i due dispersi potessero mettersi in contatto con l’Osservatorio.

Quando giunse il loro messaggio, Sadler si trovava nel reparto Comunicazioni. La voce stanca di Jamieson descrisse in brevi frasi la battaglia, poi chiese istruzioni.

— A quanto ammonta la radioattività nel trattore? — domandò Maclaurin. Jamieson riferì la cifra. — Chiedo al reparto Sanità che mi dicano qual è il limite massimo di tolleranza — rispose allora il direttore. — Avete detto che all’aperto diminuisce fino a un quarto?

— Sì… noi siamo stati per lo più fuori del trattore e ci siamo saliti ogni dieci minuti solo per cercare di metterci in contatto con voi.

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