Arthur Clarke - Ombre sulla Luna

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Questo affascinante racconto scritto da uno dei migliori e piú noti autori di fantascienza si svolge tutto sulla Luna, in un’epoca — tra due secoli — nella quale i viaggi spaziali avranno superato il primo stadio, e già l’uomo avrà fondato le sue colonie sui pianeti del Sistema Solare. Come ora fra le nazioni della Terra, cosí domani fra la Terra e la Federazione dei pianeti si verranno inevitabilmente a creare situazioni passibili di sfociare in un conflitto armato. Ombre sulla Luna ci narra appunto come e perché la guerra ebbe luogo, quali ne furono le cause, e quali conseguenze ebbe... o meglio, avrà. E la descrizione è talmente vivida, accurata, poggiata su solide basi scientifiche, da dare l’ìmpressione di leggere una cronaca vera, di eventi veri, di uomini veri. E la Luna ci appare accessibile e familiare nella sua realtà. Arthur Clarke, l’indimenticabile autore di Sabbie di Marte, è tornato!

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— Sid! — chiamò. — Vieni un po’ qui a vedere.

Jamieson corse a raggiungerlo, e stettero tutti e due a guardare verso l’orizzonte. L’emisfero della cupola aveva completamente mutato aspetto. Invece di una piccola falce di luce, ora brillava una stella abbagliante, come se l’immagine del Sole fosse riflessa da uno specchio sferico.

Il binocolo confermò quell’impressione. La cupola non si vedeva più ed era stata sostituita da una fantastica apparizione d’argento, che a Wheeler pareva un’enorme bolla di mercurio.

— Mi piacerebbe sapere come ci sono riusciti — fu il commento pacato di Jamieson. — Credo che sia effetto di un’interferenza. Deve far parte del loro sistema difensivo.

— Meglio che ci muoviamo — fece Wheeler preoccupato. — Quella roba mi piace poco, è orribile starsene qui, così esposti.

Jamieson aveva intanto aperto uno scaffale dal quale tolse delle provviste: cioccolata e carne compressa. Lanciò a Wheeler la sua parte.

— Comincia a masticare un po’ di questa roba — disse. — Non abbiamo il tempo di fare un pasto vero e proprio. È meglio anche che tu beva, se hai sete.

Wheeler stava facendo qualche rapido calcolo mentale: si trovavano a un’ottantina di chilometri dalla base, e fra loro e l’Osservatorio c’era la muraglia di Platone. Sì, sarebbe stata una lunghissima passeggiata… e loro potevano essere al sicuro anche lì. Il trattore, che era già stato così utile, avrebbe potuto proteggerli ottimamente.

Jamieson si gingillò con quest’idea, poi la respinse.

— Ricordati di quello che ha detto Steffanson — rammentò a Wheeler. — Ci ha detto di infilarci sottoterra il più presto possibile. E doveva ben sapere quello che diceva.

Dietro un dirupo, a una cinquantina di metri dal trattore, trovarono un crepaccio profondo quel tanto che bastava perché, stando in piedi, potessero vedere quello che succedeva fuori, e il fondo era abbastanza levigato perché ci si potessero sdraiare. Dopo aver trovato quella specie di trincea, Jamieson si sentì più sollevato.

— L’unica cosa che mi preoccupa, adesso — osservò — è la durata dell’attesa. È anche possibile che non succeda niente. D’altra parte, se ci mettessimo in cammino, potremmo venire sorpresi all’aperto, lontano da un riparo.

Dopo averci discusso sopra a lungo giunsero a un compromesso. Avrebbero tenuto indosso le tute, ma sarebbero tornati a bordo di Ferdinando, dove, almeno, sarebbero stati comodi. Da lì alla trincea, non c’era che qualche secondo.

Non ci fu preavviso di sorta. D’un tratto i massi grigi e polverosi del Mare delle Piogge furono bruciati da una luce che mai avevano visto da che erano stati creati. La prima impressione di Wheeler fu che qualcuno avesse acceso un riflettore gigantesco volgendo la luce tutta su Ferdinando. Poi capì che l’esplosione che aveva eclissato il Sole era avvenuta a molti chilometri di distanza. Alto sull’orizzonte c’era un globo di fiamma viola, perfettamente sferico, che andava sbiadendo man mano che si espandeva. Dopo pochi secondi s’era attenuato in una gran nuvola di gas luminoso che calava verso il bordo della Luna, dietro cui tramontò come un fantastico Sole.

— Siamo stati dei pazzi — disse Jamieson gravemente. — Era un ordigno atomico… ormai siamo perduti.

— Non dire scemenze — ribatté Wheeler in tono però non molto sicuro. — Era distante una cinquantina di chilometri, e i raggi gamma saranno debolissimi quando arriveranno qui. Queste pareti di roccia servono abbastanza bene da protezione.

Jamieson non rispose. Si era già avviato verso la porta stagna. Wheeler stava per seguirlo, quando gli venne in mente che in cabina c’era un rivelatore di radiazioni e tornò a prenderlo. Poteva esserci qualcos’altro di possibilmente utile lì dentro? Spinto da un impulso improvviso strappò la sbarra di sostegno di una tenda, poi staccò lo specchio appeso sul lavabo.

Quando raggiunse Jamieson che lo aspettava impaziente nel compartimento stagno, gli porse il rivelatore, senza però accennargli alle altre cose che aveva preso. Solo quando furono nella trincea, che raggiunsero senza ulteriori incidenti, spiegò qual era il progetto.

— Se c’è una cosa che detesto — disse — è non poter vedere quello che succede! — E così dicendo si accinse a legare lo specchio alla sbarra, servendosi di fil di ferro trovato in una tasca della tuta. Dopo aver lavorato un paio di minuti, issò fuori dall’orlo della trincea il rozzo periscopio.

— Riesco a vedere la cupola — disse soddisfatto. — È immutata.

— Me l’aspettavo — ribatté Jamieson. — Devono essere riusciti a far esplodere la bomba quando ancora non l’aveva raggiunta.

— Forse si trattava di un colpo d’avvertimento.

— Non credo. Nessuno è disposto a sprecare plutonio per fare i fuochi d’artificio. Facevano sul serio. Quale sarà la prossima mossa?

Trascorsero altri cinque minuti prima che la sua curiosità fosse accontentata. Allora, quasi contemporaneamente, tre abbaglianti soli atomici brillarono nel cielo, seguendo traiettorie che li avrebbero portati sulla cupola se prima di averla raggiunta non si fossero trasformati in lievi nubi di polvere.

— La prima e la seconda mano, alla Terra — mormorò Wheeler. — Ma da dove verranno quei missili?

— Se ne esploderà uno direttamente sopra di noi, saremo spacciati — osservò Jamieson. — Non dimenticare che qui non c’è atmosfera capace di assorbire i gamma.

— Che cosa dice il rivelatore?

— Per ora non molto, ma sono preoccupato per il primo scoppio, quello avvenuto mentre eravamo ancora nel trattore.

Wheeler era troppo indaffarato a scrutare il cielo per rispondere. In un punto imprecisato fra le stelle, che gli era impossibile vedere poiché aveva il Sole negli occhi, dovevano esserci gli apparecchi della Federazione, pronti a un nuovo attacco. Sarebbe stato impossibile vederli, però poteva vederne le armi in azione.

Da un punto lontano, oltre Pico, sei lame di fiamma scattarono nel cielo a velocità incredibile. La cupola lanciava i suoi primi missili proprio contro il Sole. Il “Lete” e l’“Eridano” si servivano di un trucco vecchio quanto la guerra: stavano avvicinandosi dalla parte del Sole sfruttando l’accecamento dell’avversario. Anche il radar poteva restare ingannato dallo sfondo dell’interferenza solare, e il commodoro Brennan aveva scelto come alleate anche due grosse macchie solari.

In pochi secondi, i razzi si perdettero nel bagliore, e dopo qualche tempo la luminosità del Sole parve intensificarsi centinaia di volte. “Laggiù sulla Terra” pensò Wheeler aggiustando i filtri del suo visore “avranno un grande spettacolo, stasera. E l’atmosfera che dà tanto fastidio agli astronomi li proteggerà dalle radiazioni di questi ordigni.”

Era impossibile sapere se i missili avevano prodotto danni. L’enorme esplosione silenziosa poteva anche essersi innocuamente dissolta nello spazio. “Che strana battaglia” pensò Wheeler. Con tutta probabilità non sarebbe riuscito a vedere le astronavi della Federazione, che erano senza dubbio verniciate di nero come la notte, per rendere più difficile la loro individuazione.

Poi vide che stava succedendo qualcosa alla cupola. Non era più lo scintillante specchio sferico che rifletteva l’immagine del Sole. La luce s’irradiava da essa in tutte le direzioni, e la sua luminosità andava aumentando di secondo in secondo. Da un punto dello spazio si stava riversando energia nella fortezza. Questo significava una sola cosa: gli apparecchi della Federazione navigavano lassù fra le stelle dardeggiando milioni di kilowatt contro la Luna.

Ormai la cupola era talmente luminosa che non la si poteva fissare, e Wheeler dovette aggiustare ancora una volta i filtri. Stava domandandosi quando sarebbe cominciato il contrattacco, se mai era possibile contrattaccare con quel bombardamento, allorché vide che l’emisfero era circondato da una corona tremolante. Contemporaneamente, la voce di Jamieson gli risuonò all’orecchio.

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