Arthur Clarke - Ombre sulla Luna

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Questo affascinante racconto scritto da uno dei migliori e piú noti autori di fantascienza si svolge tutto sulla Luna, in un’epoca — tra due secoli — nella quale i viaggi spaziali avranno superato il primo stadio, e già l’uomo avrà fondato le sue colonie sui pianeti del Sistema Solare. Come ora fra le nazioni della Terra, cosí domani fra la Terra e la Federazione dei pianeti si verranno inevitabilmente a creare situazioni passibili di sfociare in un conflitto armato. Ombre sulla Luna ci narra appunto come e perché la guerra ebbe luogo, quali ne furono le cause, e quali conseguenze ebbe... o meglio, avrà. E la descrizione è talmente vivida, accurata, poggiata su solide basi scientifiche, da dare l’ìmpressione di leggere una cronaca vera, di eventi veri, di uomini veri. E la Luna ci appare accessibile e familiare nella sua realtà. Arthur Clarke, l’indimenticabile autore di Sabbie di Marte, è tornato!

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— Dove dirigevate le vostre segnalazioni? — domandò.

— La Federazione aveva inviato una piccola astronave a circa dieci milioni di chilometri. Era convenuto che l’astronave si trovasse sempre in linea fra me e una piccola stella del cielo settentrionale sempre visibile sul mio orizzonte. Quando dovevo inviare una segnalazione (loro naturalmente, sapevano quando avevo i miei turni al telescopio) non avevo che da puntare il telescopio, ed ero sicuro che mi ricevevano. Avevano un piccolo telescopio, a bordo, con un ricevitore ultravioletto. Si tenevano in normale contatto radio con Marte. Mi capitava spesso di pensare quanto dovessero annoiarsi lassù, con nient’altro da fare che aspettare le mie segnalazioni. Certe volte passavano giorni e giorni senza che trasmettessi niente.

— Un’altra cosa mi interesserebbe sapere — l’interruppe Sadler. — Come ottenevate le informazioni?

— Oh, c’erano due metodi. Ricevevamo copie di tutti i giornali astronomici ed eravamo d’accordo che nelle pagine di certi, fra cui, per esempio, “L’Osservatorio”, ci fossero scritte fluorescenti, che potevano essere rivelate dalla luce ultravioletta. Nessuno, leggendo nel modo normale, avrebbe visto niente.

— E il secondo metodo?

— Andavo tutte le settimane in palestra a Central City. Come sapete, si lasciavano i vestiti in armadietti chiusi a chiave, quando ci si spogliava. Ma la sorveglianza agli ingressi non era tale da impedire che qualcosa scivolasse dentro non vista. Talvolta mi trovavo in tasca una normale scheda perforata, del tutto innocua a prima vista, simile a quelle che si sarebbero potute trovare a migliaia all’Osservatorio, e non solo nel reparto Calcoli. Io badavo sempre a tenermene qualcuna in tasca, perché quella sospetta non desse nell’occhio. Al mio ritorno, la decifravo e trasmettevo poi la risposta… erano sempre cifrate. E non ho mai scoperto chi le infilasse nel mio armadietto.

Molton s’interruppe e guardò Sadler in modo strano.

— Nel complesso — concluse — non credo proprio che voi aveste molte probabilità di scoprirmi. L’unico pericolo di cui temevo era che smascheraste qualche mio collega e, attraverso lui, raggiungeste anche me. Tutti gli apparecchi di cui mi servivo avevano anche una funzione scientifica. Perfino il modulatore era inserito in uno spettroanalizzatore mal riuscito che non mi ero mai dato la pena di disfare. Le mie trasmissioni duravano solo pochi minuti, ma bastavano per dire un mucchio di cose, poi continuavo il mio lavoro regolare.

Sadler guardò il vecchio astronomo con ammirazione sincera. Cominciava già a sentirsi molto meglio: il complesso d’inferiorità che lo tormentava da tanti anni era scomparso. Non aveva niente da rimproverarsi: era certo che nessuno avrebbe mai potuto scoprire le attività del professor Molton finché erano rimaste circoscritte nell’ambito dell’Osservatorio. Colpevoli piuttosto erano stati gli agenti del controspionaggio dislocati a Central City e al Progetto Thor, che avrebbero dovuto scoprire la falla dalle origini.

C’era ancora una domanda che Sadler avrebbe voluto fare, ma non riusciva a parlare. Dopo tutto, non era affar suo. Il come, ormai non era più un mistero, per lui, ma il perché era ancora senza risposta.

E di risposte ne poteva trovare mille. Gli studi fatti in passato gli avevano spiegato che un uomo come Molton non poteva essere diventato una spia per denaro, per amore del potere, o per altri motivi banali. Un impulso emotivo aveva dovuto attirarlo sulla strada che poi aveva scelto, e le sue azioni erano state il frutto dell’intimo convincimento di essere dalla parte della ragione. Anche la logica gli aveva forse detto che bisognava sostenere la Federazione contro la Terra; tuttavia in un caso come quello, la logica non poteva essere stata sufficiente da sola.

Forse intuendo il pensiero di Sadler, Molton si diresse verso l’ampia libreria e fece scivolare uno dei pannelli che la chiudevano.

— Una volta — disse — lessi una citazione che mi consolò molto. Non so se chi la scrisse lo fece con lo scopo di essere cinico o no, so che per me è molto vera. La disse, mi pare, un uomo politico francese, che si chiamava Talleyrand, circa quattro secoli fa. Ecco la frase: “Che cos’è il tradimento? Una semplice questione di date”. Meditatela bene, signor Sadler.

Tornò dalla libreria portando una caraffa e due bicchieri.

— Una mia piccola mania — disse. — È l’ultima vendemmia di Espero. I Francesi mi prendono in giro, ma io dico che regge il confronto con il miglior vino del mondo.

Fecero tintinnare i bicchieri.

— Alla pace tra i pianeti — disse il professor Molton — e che nessuno, mai, debba sostenere la parte che fu assegnata a noi.

La spia e l’agente del controspionaggio brindarono davanti al paesaggio lontano quattrocentomila chilometri nello spazio e due secoli nel tempo. Entrambi erano avvolti nei ricordi, ma l’amarezza era svanita. Non c’era altro da aggiungere, ormai: per tutti e due la storia era finita.

Molton accompagnò Sadler nel corridoio, oltre le silenziose fontane che fiancheggiavano la sua abitazione, e fino al pavimento mobile che l’avrebbe portato all’incrocio principale.

Mentre tornava nella sua casa, aspirando il profumo del piccolo giardino, fu quasi travolto da un gruppo di bimbi vocianti che correvano verso il campo da gioco del Settore Nove. Il corridoio echeggiò per un momento delle loro voci acute; poi i bimbi scomparvero come una improvvisa folata di vento.

Il professor Molton sorrise guardandoli correre verso il loro luminoso, sicuro avvenire, quell’avvenire che lui aveva contribuito a creare. Aveva avuto molte consolazioni, e questa era una delle più grandi. L’umanità, per quanto la sua immaginazione potesse spingersi avanti nel tempo, non si sarebbe mai più divisa per rivoltarsi contro se stessa. Perché sopra di lui, oltre il tetto che ricopriva Central City, l’inesauribile ricchezza della Luna veniva distribuita nello spazio a tutti i pianeti di cui adesso l’uomo era padrone.

FINE
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