Arthur Clarke - Culla

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Un missile top secret che svanisce in volo. Un tridente d’oro che cambia sorprendentemente forma. Una caverna subacquea custodita da balene... Qualcosa si nasconde nel fondo marino al largo di Key West, un mistero in parte umano ma nello stesso tempo terribilmente alieno. Il suo potere è immenso e terrificante e potrebbe distruggere ogni forma di vita sulla Terra. Ma qualcuno ha deciso di scoprire il terribile segreto. E da quel momento non esiste più alcuna certezza, nessun luogo sicuro in cui nascondersi, nessuna alleanza su cui poter contare. Intorno a una giornalista bella e ambiziosa, disposta a correre qualsiasi rischio pur di arrivare alla verità, si stringe la rete di una cospirazione implacabile: spie militari, killer spietati, ma soprattutto una forza estranea e sconosciuta, le cui mosse nessuna mente umana potrebbe comprendere e prevedere... L’inesauribile immaginazione di Arthur C. Clarke spazia in questo nuovo romanzo dagli enigmi irrisolti del passato alle soglie indecifrabili del futuro, dagli infiniti oceani di stelle all’imperscrutabile fondo del mare. In un appassionante viaggio ai confini della realtà, Culla esplora i percorsi dell’avventura e dell’ignoto.

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Carol salì un altro gradino, chiaramente esausta. Nick le prese la mano e la tirò a bordo.

«Dov’è Troy?» tornò a chiederle in tono vibrato, guardandola, mentre lei vacillava sulle gambe. «E che fine ha fatto tutto il tuo equipaggiamento?»

Carol tirò un lungo respiro. «Non… non lo so… non so dove sia» balbettò. «Siamo stati risucchiati in…»

«Non lo sai?!» urlò Nick, scrutando freneticamente la superficie dell’oceano. «Va’ giù, torni su senza equipaggiamento, e non sai dov’è il tuo compagno! Ma che razza…»

La barca venne colpita da una piccola onda. Carol, che aveva alzato la mano per frenare la diatriba di Nick, all’improvviso movimento perse l’equilibrio e cadde sulle ginocchia, sussultando dal dolore. Nick, intanto, in piedi sopra di lei, continuava a sbraitare: «Be’, Miss Perfezione, sarà meglio che ti spicci a tirar fuori un qualche cazzo di risposta, perché, se non lo troviamo alla svelta, Troy morirà. E, se succede, la colpa sarà tua, maledetta te!»

Carol si fece d’istinto piccola piccola dinanzi alla collera di lui, grande e grosso sopra di lei, intento a sbraitarle contro. Le ginocchia doloranti, sfinita, a un certo punto non resse più. «Piantala!» urlò. «Piantala, stronzo! E togliti di qui!» continuò, mulinando le braccia e colpendolo alle gambe e allo stomaco. «Tu non sai niente,» disse, dopo aver tirato rapidamente il fiato «ma proprio un cazzo di niente!»

Poi, prendendosi la testa fra le mani, scoppiò in lacrime. In quell’istante le esplose nella memoria un ricordo da lungo sepolto: quello del fratello di cinque anni che la prendeva a pugni, singhiozzando isterico, mentre lei si faceva schermo con le mani. «È colpa tua, Carol!» strillava lui. «Se n’è andato per causa tua!» «No, non è vero, Richie. Non è stato per colpa mia!» rispondeva lei, piangendo a calde lacrime…

Alzò lo sguardo fra le lacrime verso Nick, che s’era fatto indietro ed esibiva un’espressione imbarazzata. Asciugatasi le lacrime, tirò un lungo respiro, poi disse, scandendo le parole: «Non è stata colpa mia». Nick le tese la mano per aiutarla, ma lei la scostò con uno schiaffo. «Scusa» mormorò lui, mentre lei si alzava. «Adesso, se chiudi il becco e mi lasci parlare, ti racconto cos’è successo» continuò lei. «La scogliera sotto la barca non era per niente una scogliera… Oh, mio Dio… rieccolo!»

All’espressione costernata di lei, Nick ne seguì il dito che indicava, dietro di lui, la fiancata opposta. Giratosi, lì per lì non notò nulla, poi vide uno strano oggetto piatto, simile a un tappeto, che strisciava sul piancito verso il monitor del telescopio. Aggrotando la fronte, si girò di nuovo verso Carol con espressione perplessa.

Il tappeto s’era chissà come arrampicato sulla fiancata, per finire quindi sul ponte, mentre Carol stava parlando. Il tempo che lei cominciasse a spiegare, ed era già davanti allo schermo, intento a osservare le immagini del fondale sottostante riprese dal telescopio. Non ci fu tempo per spiegazioni protratte. Con un «Ma che cazzo…» Nick si avventò sullo strano visitatore per catturarlo, ma, quando la sua mano arrivò a tre centimetri dal tappeto, avvertì una forte scarica elettrica alla punta delle dita. «Acc…!» fece Nick, saltando indietro. E, mentre scuoteva la mano e osservava sbalordito, il tappeto continuò a rimanere davanti allo schermo.

Nick guardò Carol come in cerca d’aiuto, ma lei sembrava trovare la scena alquanto divertente. «Quel coso è solo una delle ragioni della stranezza della nostra immersione» disse, senza accennare alla minima voglia di intervenire. «Ma non credo che ti farà del male. È a lui, probabilmente, che devo la vita.»

Nick afferrò una piccola rete da pesca appesa al tendaletto e s’avvicinò lentamente al tappeto. Questo parve girarsi a guardarlo. Lui scattò in avanti con la rete, ma il tappeto la schivò con destrezza, e lui perse così l’equilibrio, finendo contro il monitor a braccia incrociate. Carol scoppiò a ridere di gusto, ricordando il loro primo incontro. Il tappeto si posò sopra la banca-dati del telescopio e s’avvolse stretto attorno all’intero sistema.

Dal piancito, Nick lo osservò studiare il sistema-dati, e scosse la testa incredulo. «Ma si può sapere che cavolo è, ’sto coso?» gridò a Carol.

Lei gli si avvicinò e gli porse la mano per aiutarlo, scusandosi così dello sfogo di poco prima. «Non ne ho idea» rispose. «In principio ho pensato che potesse essere un robot superperfezionato della Marina, ma è troppo sofisticato e intelligente.» E, indicando il cielo con la sinistra libera: «Chi lo sa, sono loro » disse con un sorriso.

Il ricordo di Troy la fece diventare grave. Andò alla fiancata e rimase a fissare l’oceano, Nick, intanto, si alzava, a un braccio di distanza dal tappeto e dalla banca-dati del telescopio. Il tappeto, a quanto pareva, aveva in qualche modo esteso parte di sé nel sistema elettronico interno! Nick osservò per qualche secondo, come affascinato, impazzire le varie letture diagnostiche digitali della banca-dati, poi disse: «Ehi, Carol, vieni a vedere! Questo maledetto coso è di plastica o materiale del genere».

Lei non si voltò subito. «Nick» gli chiese finalmente, girandosi, in tono sommesso «che facciamo per Troy?»

«Appena sbattuto fuori questo dannato intruso, faremo una ricerca sistematica della zona» rispose Nick da sotto il tendaletto, dove stava frugando fra gli utensili da cucina. «E magari mi calo io stesso a vedere se riesco a trovarlo.»

Impugnato un forchettone dal manico di plastica, si accinse a scacciare il tappeto dalla banca-dati. «Non lo farei, se fossi in te» avvertì Carol. «Se ne andrà quando lo vorrà lui.»

Ma l’avvertimento giunse troppo tardi. Nick infisse il forchettone attraverso il tappeto, sicché i denti finirono contro la parete superiore della sezione elettronica. Ci fu uno schiocco, poi un sottile arco azzurro lingueggiò a ritroso lungo il forchettone, procurando a Nick una scossa potente. Si udirono degli squilli d’allarme, la lettura digitale dei dati sparì dallo schermo, e il monitor del telescopio oceanico prese a fumare. Il tappeto ricadde sul piancito e cominciò a produrre le ondine che Carol gli aveva visto fare nel salone con la finestra sull’oceano. Un momento dopo, lo squillo di due allarmi del sistema di navigazione indicò che non solo era andata perduta la posizione della barca, ma che era stata anche cancellata la memoria non volatile, ossia quella immagazzinante tutti i parametri che consentivano la comunicazione via satellite.

In piedi in mezzo al rumore e al fumo, Nick si massaggiava il braccio destro dal polso alla spalla con aria sconcertata. «Sono paralizzato» constatò stupito. «Il mio braccio non sente nulla.»

Il tappeto continuava a fare le sue onde sul piancito della barca, mentre Carol, preso un secchio e calatolo in mare, spruzzava d’acqua il monitor. Nick, intanto, se ne stava là immobile, a pizzicarsi il braccio con aria confusa. Carol gli rovesciò addosso il resto dell’acqua. «Ma, cazzo, si può sapere che ti piglia?» esclamò lui, indietreggiando involontariamente e sputando acqua.

«Mi piglia che dobbiamo trovare Troy,» rispose lei, andando alla plancia di comando «e che non possiamo star qui ad aspettare per il resto della giornata. Ignora quel maledetto tappeto e… il tuo braccio. C’è in ballo la vita di un uomo.»

Mentre lei aumentava la velocità della barca, il tappeto tornò a rizzarsi, e, girando su se stesso, si affrettò alla fiancata. Nick tentò di fermarlo, ma invano: in un lampo, fu in acqua. Mentre Carol pilotava in cerchi sempre più larghi, lui rimase alla fiancata a scrutare l’oceano alla ricerca di Troy.

Un’ora più tardi furono entrambi d’accordo che non aveva più senso continuare le ricerche. Avevano percorso l’intera area diverse volte (a prezzo di un notevole sforzo, visto che non disponevano più di un sistema di navigazione funzionante), ma senza trovare traccia di Troy. Convintosi di avere il braccio ormai perfettamente a posto, Nick si era perfino immerso e aveva percorso la trincea dalla fessura alla sporgenza e viceversa, ma, di Troy, manco l’ombra. Aveva anche avuto la vaga tentazione di esaminare la fessura, ma la strampalata storia di Carol sembrava remotamente plausibile, e la prospettiva di finir risucchiato in un bizzarro laboratorio sottomarino gli era parsa assai poco allettante. Senza contare che, sparito lui, per Carol sarebbe stato praticamente impossibile riportare a Key West una barca dal sistema di navigazione fuori uso.

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