Carol si piegò verso di lui. «Così, sei stato accolto dalla Marina. E subito dopo che ce ne siamo andati noi.» Poi, rivolta a Nick: «Ne consegue che, per qualche ragione, siamo stati seguiti». E che il missile stava davvero là , pensava intanto. Ma, se ci stava dov’è finito? È forse stato trovato dalla Marina? E che c’entra la Marina con quella follia di laboratorio? C’è da diventar matti…
«Ti abbiamo cercato per più di un’ora» stava dicendo Nick, che provava rimorso per aver abbandonato le ricerche tanto presto. «Io non ho minimamente pensato che potessi essere ancora in quell’accidente di posto, e, naturalmente, mica potevamo star là a ciondolare in eterno, dopo che quello strano coso, quel tappeto venuto dal mare, ci aveva mandato in tilt tutta la nostra elettronica. Insomma, avevamo perso tutto il nostro sist…» Si bloccò a mezza frase, e guardò Troy. «Scusa, amico mio.»
«Ma figurati» Troy alzò le spalle. «Avrei fatto lo stesso anch’io! Se non altro, ora so che avete fatto conoscenza con uno dei personaggi bizzarri della mia storia. Non è che avete fatto anche quella di uno dei guardiani, per caso? Globoni di gelatina trasparente, tipo ameba, con scatolette al centro e una selva di bacchette amovibili in cima?»
Nick fece segno di no col capo. «Guardiani?» si affrettò a chiedere Carol, corrugando la fronte. «Perché chiami “guardiano” quel coso?»
«Guardiano, sentinella, quel che è» rispose Troy. «Perché loro mi hanno detto che hanno il compito di proteggere il carico principale della nave.» Allo sguardo smarrito degli amici, continuò: «Il che mi riconduce alla prima domanda. Questo braccialetto mi è stato dato da loro. È una specie di ricetrasmittente. Come funziona, non sono davvero in grado di spiegarvelo, però so che loro se ne servono per ascoltare e osservare, e anche per trasmettermi dei messaggi. Che però io capisco solo in piccola parte».
Carol cominciava a sentirsi sopraffare di nuovo. Alla situazione già complessa si aggiungeva una dimensione nuova. Nel suo cervello s’affollavano centinaia di domande, e lei non sapeva quale porre per prima.
Nel frattempo s’alzava Nick, che, l’aria fra il dubbioso e il confuso, diceva: «Ferma un attimo. Ho sentito bene? Hai detto che ti è stato dato un braccialetto ricetrasmittente da certi extraterrestri, che poi ti hanno messo in libertà nell’oceano? E che sei stato raccolto dalla Marina, che poi ti ha riportato a Key West? Cristo, Jefferson, ma sai che hai proprio una bella fantasia? Però ti prego: riserva la tua creatività a quel videogioco e dicci la verità adesso!».
«Ma ve la sto dicendo» replicò Troy. «Sul serio…».
«E che aspetto avevano?» interruppe Carol, da brava giornalista, estraendo dalla borsetta un registratore grande quanto una stilografica. Troy si chinò in avanti a spegnere l’aggeggio. «Per ora, angelo, questo deve rimanere strettamente fra di noi… Di loro , comunque, non credo di averne visti. Ho visto solo i guardiani e i tappeti, che poi, a mio avviso, sono semplici robot, o macchine, insomma. Intelligenti, sì, ma controllati da qualcos’altro…»
«Oggesù, ma allora parli sul serio!» interruppe Nick, che cominciava a perdere la pazienza. «Questa storia sta diventando la più bislacca che abbia mai sentito. Guardiani, tappeti, robot! E ’sti loro , chi sono? che ci fanno nell’oceano? e perché avrebbero dato il braccialetto proprio a te?» Così dicendo, afferrò uno dei piccoli cuscini posati sul divano e lo scagliò all’altro capo del soggiorno.
«Nick non è il solo a sentirsi frustrato, Troy» rise nervosamente Carol. «Io stessa, che sono stata laggiù con te, confesso che fatico a seguire la tua storia. Forse è meglio che ti lasciamo parlare senza altre interruzioni. Ho raccontato a Nick quello che è successo nella camera del sistema solare fino al momento in cui tu non sei scappato via con il coso, o guardiano che sia, alle calcagna. Comincia da qui, se non ti dispiace, e continua in sequenza logica.»
«Ci fosse, una sequenza logica, angelo! Ma ne dubito» le rispose Troy, facendo eco alla sua risata. «Il fatto è che siamo di fronte a un episodio che sfida qualunque logica. Il coso-guardiano ha finito per intrappolarmi in un vicolo cieco, dove mi ha per così dire anestetizzato con una delle sue bacchette. Dico “per così dire” perché è stato come sognare, con la differenza che i sogni erano reali. Ricordo una sensazione simile da adolescente dopo una scazzottata che mi aveva procurato una leggera commozione cerebrale. Sapevo di essere vivo, ma reagivo con estrema lentezza, come se la realtà si fosse smorzata e fosse da qualche parte, distante.
«Ma torniamo a noi. S’è presentato un altro guardiano, stesso tipo di corpo ma con aggeggi diversi dentro la gelatina, il quale mi ha portato in quella che penso fosse una sala-visita, dove sono rimasto non so precisamente quanto. Sono stato steso sul pavimento e toccato da strumenti d’ogni sorta. Il cervello, intanto, mi girava a velocità supersonica, ma non ricordo pensieri specifici, bensì solo qualche immagine. Ho rivissuto il momento in cui mio fratello Jamie spezzava la mischia e andava in meta, quarantacinque metri dopo, nel campionato della Florida. Poi mi è stato messo al polso il braccialetto, e ho avuto la netta impressione che qualcuno mi stesse parlando. Molto sommessamente, e forse anche in una lingua straniera — ma che io, a tratti, capivo.
«E loro mi hanno detto questo:» continuò, un’espressione viva e distante a un tempo sul viso «che ciò che noi chiamiamo laboratorio è in realtà un veicolo spaziale di un altro mondo, costretto, per così dire, a un atterraggio forzato sulla Terra per avere il tempo di effettuare certe difficili riparazioni. E loro , i costruttori della nave, cioè, chiunque siano, hanno bisogno del nostro aiuto, mio e vostro, per procurarsi certi materiali specifici indispensabili alle riparazioni, e per poter così continuare il viaggio.»
Nick sedeva ora sul pavimento di fronte a lui, e ne beveva, come Carol, le parole. Un silenzio di quasi mezzo minuto accolse la fine del racconto, poi Nick disse: «Se questa storia è vera, allora siamo…».
Un furioso bussare alla porta d’ingresso li fece sobbalzare tutt’e tre. Il bussare si ripeté a vari secondi di distanza. Troy andò alla porta e la socchiuse.
«Ah, ci sei, piccolo stronzo» echeggiò brusca e collerica una voce. Poi, con una spinta, entrò il capitano Homer Ashford, che, lì per lì, non notò Nick e Carol. «Avevamo un patto e tu non l’hai mantenuto. Sei tornato già da due ore e…»
Con la coda dell’occhio vide che c’erano altre persone nel soggiorno. Così, girandosi verso Greta, che non era ancora entrata, disse: «Ma guarda chi c’è! Per forza che non trovavamo la signorina Dawson all’albergo: è qui con Nick Williams».
Greta lo seguì nel soggiorno, fissando per non più di un secondo ciascuno, con gli occhi chiari e vuoti d’espressione, i tre membri del terzetto. Carol credette di cogliere un che di sprezzante in quello sguardo, ma non ne fu sicura. Rivolgendosi in tono assai più educato, Homer disse, con un affettato sorriso: «Vi abbiamo visto rientrare dalla vostra escursione verso le due, ma, chissà come, ci è sfuggito Troy». Poi, ammiccando a Carol, continuò, rivolto a Nick: «Trovato qualche altro ninnolo interessante, oggi, Williams?».
«E come no, capitano » rispose Nick, che non aveva mai fatto mistero della sua avversione per lui, appoggiando con sarcasmo sul titolo. «Non ci crederai, ma abbiamo trovato una vera montagna di lingotti d’oro e d’argento! Sembrava proprio la pila della Santa Rosa che avevamo sulla barca un certo pomeriggio — un otto anni fa, se non sbaglio, eh? —, prima che Jake e io permettessimo a te e Greta di scaricarla.»
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