John Christopher - I possessori

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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Aveva bevuto un sorso, e sostava pensando a un secondo, quando George entrò in cucina.

«Ero un po’ preoccupato…» cominciò lui. Le vide il bic chiere in mano. «Be’, penso che non sia una cattiva idea. È quel che ci vuole in una giornata simile. Prendo un bicchiere e ti faccio compagnia.»

La sua voce era gaia o meglio, pensò Mandy, forzatamente gaia. Era gentile da parte di George, ma lui era buono; lo aveva sempre saputo. Versò del gin nel bicchiere che le porgeva, e la mano le tremò leggermente. Mandy, si rimproverò, l’hai fatto apposta. È una cattiveria da parte tua.

George disse: «Salute.» Mandy sapeva che non gli piaceva il sapore del gin liscio, ma lo bevve con aria d’apprezzamento. «Mi sento un po’ riscaldato, adesso,» disse: Le cinse affettuosamente le spalle con un braccio: ma non bastò a farlo sembrare più vicino. «Mandy,» le disse, «quando questa storia sarà finita…»

Lei resse il bicchiere con tutte e due le mani, e attese che George proseguisse. Non riusciva a interessarsi di ciò che le avrebbe detto, e questo non era giusto. Sorrise, cercò di guardarlo come se le importasse: come se ci fosse qualcosa che importava, al mondo.

«Ce ne andremo,» disse George. «Disdiremo le prenotazioni per tutto il resto della stagione. Non sono in molti, e potranno andare al Buffet de la Gare. Faremo una vera vacanza. Prenderemo il minibus e andremo a girare un po’ l’Italia. Ci fermeremo dove vorremo e finché vorremo. Qualche settimana a Siena. Hai sempre detto che ti sarebbe piaciuto tornarci e restarci di più. Passeremo la primavera in Italia… è la stagione migliore.»

La stava guardando, sperando in una reazione, e lei sapeva che era importante non deluderlo. Disse:

«Sarebbe meraviglioso, George.»

«E potremmo andare a Venezia. Tu ci sei stata solo d’estate: è un posto diverso, quando non sei costretto a turarti il naso ogni volta che sali su una gondola. E a San Marino. Non abbiamo mai visto veramente l’Italia come si deve, con calma, senza correre.»

Mandy disse ancora: «Sarebbe bellissimo.»

Ma in realtà sembrava uno di quei radiodrammi di una volta, prima della televisione, quando alla radio trasmettevano drammi e commedie, e si ascoltava, mentre con gli occhi si badava ad altro… il lavoro a maglia, l’orologio appeso alla parete, il gattino che si prendeva la coda, o le facce degli altri presenti nella stanza. Così l’attenzione non era mai completamente assorbita, i problemi e le promesse non erano mai reali.

George chiese: «Ti piacerebbe davvero?»

La stava osservando. Mandy sorrise. «Davvero.»

Lui sembrò sollevato, e lei ne fu lieta. George disse:

«Adesso vieni a raggiungere gli altri?»

«No,» disse Mandy. «Devo spolverare quella porta, e poi devo tornare qui a preparare la cena.» Lui sembrava incerto. «Non preoccuparti, George. Vedi bene che qui sono al sicuro, e poi terrò la porta aperta, e tutto il resto.»

«Posso fare qualcosa?»

«No, niente. Puoi tornare dagli altri e cercare di tenerli su di morale. Ti chiamerò, se succede qualcosa.»

Andarono nel corridoio insieme, e George proseguì verso il salotto. Mandy spolverò l’esterno della porta, con cura, lentamente. Li sentiva parlare: una volta, George rise. Provò di nuovo quel grande senso di solitudine, ma sapeva che se anche fosse andata là non sarebbe successo niente: solo le voci sarebbero state più forti, e gli altri si sarebbero aspettati che ascoltasse, magari che rispondesse. Finì di spolverare e tornò in cucina. Adesso non li sentiva quasi, ed era meglio. Si versò un altro goccio, e pensò alla cena.

Il cibo stava diventando un problema. A parte le scatole di corned beef, c’era abbondanza solo di patate. La soluzione, probabilmente, era un piatto di patate ripiene. Poteva usare un uovo a testa, anche se la scorta era sempre più ridotta, e con prosciutto tritato e cipolle, e formaggio grattugiato avrebbero fatto la loro figura. E per contorno? Be’, c’erano tre barattoli di spinaci. E prima una crema di verdure, anche se la scorta ormai era agli sgoccioli. Tutto era ormai agli sgoccioli. Ah, be’, decise, domani si sarebbe arrangiata in qualche modo.

Bevve ancora un goccetto prima di andare in dispensa a prendere le patate. Per fortuna Peter aveva portato di sopra un sacco pieno, il giorno prima. Mentre sceglieva le più adatte, pensò a Peter e a Marie, e a quanto era diverso non averli più intorno. Si chiese cosa facevano, fuori, e come era venire cambiati come loro, le tornò in mente, in modo vago, qualcosa che aveva detto Selby… che facevano le cose insieme. Allora, forse, erano amici, perché la gente non poteva fare qualcosa insieme, se non c’era l’amicizia. Quella volta che aveva litigato con Clyde, e non gli aveva parlato per due giorni, e poi Cooper li aveva convinti a lavorare tutti insieme per costruire una diga sul fiume, e in un momento tutto era diventato diverso.

Portò le patate all’acquaio, le grattò scrupolosamente e le tagliò a metà. Stava svuotandone una quando udì la voce. La finestra era aperta, ma c’era l’asse inchiodata di traverso: aveva dovuto accendere la lampada per vedere quello che faceva. La voce veniva dall’esterno. La voce di Ruth Deeping.

«Vieni fuori, Mandy,» disse. «Vieni con noi.»

La voce non era forte, il tono né minaccioso né accattivante, solo ragionevole. E amichevole. Alzò la testa e guardò fuori. Tra le assi rozze vide il grigiore della nebbia, null’altro. La finestra era molto alta dal suolo, naturalmente… più di due metri.

«Vieni con noi, Mandy.»

Aveva promesso che avrebbe chiamato, se fosse successo qualcosa, e pensava che avrebbe dovuto dirlo agli altri… almeno a George. Ma la voce era serena, non pericolosa. Come poteva essere pericolosa? E non chiedeva niente: né una risposta, né attenzione. Era strano, ma il fatto che non chiedesse nulla la faceva sembrare più vicina delle altre voci. Mentre svuotava le patate, Mandy ci pensò. Non solo non chiedeva niente. Le dava qualcosa: la sensazione di essere desiderata.

«Vieni fuori, Mandy. Vieni fuori.»

Aveva lasciato la bottiglia sulla tavola; non era più il caso di rimetterla sullo scaffale. Il bicchiere era vuoto e lo riempì. Giocò con il liquore sulla lingua, prima d’inghiottirlo, per sentire il formicolio sulle papille gustative. E in quel momento, si vide nello specchio appeso alla parete dietro la lampada, e le venne voglia di ridere. Si avvicinò e si guardò attentamente. La faccia quadrata, un po’ rincagnata, la pelle rozza segnata dalle minuscole linee rosse dei capillari spezzati, le sopracciglia sempre troppo folte (tranne nel periodo del suo matrimonio con John, quando lui insisteva perché se le sfoltisse), e gli occhi, vacui e confusi: dov’era la bambina che avevano conosciuto Clyde e Cooper?

«Vieni con noi, Mandy. Vieni con noi.»

E dov’era, del resto, la madre che Lois e Annette e Johnny conoscevano, nella casa sulla Parkway, con le terrazze e i prati tenuti verdi dagli innaffiatoi automatici anche dopo un’estate così calda, in quella fulgida mattina d’autunno, con l’aria frizzante e odorosa di foglie e di fumo? Nessuno di loro mi riconoscerebbe, pensò, e vide il volto contrarsi, gli occhi della sconosciuta davanti a lei annebbiarsi di lacrime che non avevano senso.

«Mandy, Mandy. Vieni fuori, Mandy.»

«Non posso uscire,» disse lei.

Vi fu una pausa, poi la voce disse: «Sì che puoi. Niente può fermarti. Vieni, Mandy. Vieni con noi.»

Lei riportò il bicchiere all’acquaio, e continuò con le patate. Era stato un errore, pensare ai bambini. Si poteva pensare a loro durante le preghiere della sera, ma durante il giorno era sbagliato. Ingiusto nei loro confronti, ingiusto nei confronti di George. Quando si faceva una scelta, si prendeva una decisione, bisognava mantenerla, o si era perduti. E quando si diventava vecchi e ci si sentiva soli, pensò, c’erano inevitabilmente i ricordi, ma bisognava scegliere i ricordi permessi. Caesar, e i ragazzi, e i cugini. Non c’era niente di male, in questo.

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