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Robert Silverberg: Ali della notte

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Robert Silverberg Ali della notte

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In una Terra del lontano futuro una spaventosa catastrofe ecologica ha provocato lo sprofondamento delle Americhe e la decadenza della potenza terrestre nello spazio. La società del Terzo Ciclo si è strutturata in corporazioni feudali ed attende l’arrivo degli invasori, gli alieni che hanno salvato l’umanità dall’estinzione e che verranno a reclamare il possesso del pianeta. Quando l’invasione arriva le misere forze della Terra vengono sconfitte, e gli invasori occupano con facilità quello che considerano un loro dominio. L’affascinante vicenda si svolge in tre città, Roum (Roma), Perris (Parigi) e Jorslem (Gerusalemme), seguendo le avventure e gli incontri di Tomis, una Vedetta il cui lavoro, proiettare la mente negli spazi per avvertire dell’arrivo degli invasori, diventerà senza senso dopo l’invasione. La rottura dell’equilibrio della società feudale porterà gli uomini a stabilire nuovi rapporti umani e ad incrementare i loro poteri mentali, sino ad arrivare a dominare gli invasori, che non verranno combattuti con le armi ma con l’amore e la fratellanza, contribuendo a formare una società di impensabile ricchezza. Un romanzo leggibile su più livelli e pieno di idee, un premio Hugo più che meritato.

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— Vigilare è la mia arte e la mia scienza. La vostra è schernire. Ognuno di noi ha la propria specialità, Gormon.

— Perdonatemi — disse con finta umiltà. — Andate, allora, e Vigilate.

— Lo farò.

Irritato, tornai al mio stipo di strumenti, deciso a ignorare qualsiasi interruzione, per quanto brutale. Le stelle splendevano: guardai le costellazioni scintillanti e, automaticamente, la mia sensibilità registrò gli innumerevoli mondi. “Iniziamo la Vigilanza” dissi a me stesso. “Facciamo il nostro dovere, in barba agli scherni di quelli che non credono.”

Ed entrai nello stato di piena Vigilanza.

Afferrate le impugnature, mi lasciai investire dall’ondata di energia. La mia mente si innalzò nei cieli, alla ricerca delle entità ostili, nell’estasi indicibile di uno splendore abbagliante. Io, che mai avevo lasciato questo piccolo pianeta, spaziavo nell’immensità tenebrosa del vuoto, scivolando da una stella ardente a un’altra, e vedevo i mondi girare come trottole. Facce sconosciute mi fissavano nel mio vagabondare, alcune senza occhi, altre con molti occhi: tutta la Galassia, così complessa, abitata da innumerevoli specie, diventava accessibile per me. Spiavo, per individuare eventuali concentrazioni di forze avverse. Scrutavo campi di manovra e accampamenti militari. Cercavo, come avevo sempre fatto quattro volte al giorno, per tutta la mia vita, gli invasori annunciati dalle profezie, i conquistatori che, alla fine dei giorni, si sarebbero impadroniti del nostro mondo decrepito.

Non scoprii niente, e quando mi riebbi dalla trance, madido di sudore e completamente estenuato, vidi Avluela che scendeva.

Atterrò, leggera come una piuma. Gormon la chiamò e lei si mise a correre, nuda, il piccolo seno fremente, verso di lui; l’uomo circondò la figuretta minuta con le braccia poderose, e si baciarono, senza passione, gioiosamente. Quando Gormon la lasciò, Avluela si volse a me.

— Roum — disse senza fiato. — Roum!

— L’hai vista?

— Tutta! Migliaia di persone! Luci! Viali! Un mercato! Edifici in rovina, di molti Cicli fa. Oh, Vedetta, è stupenda Roum!

— È stato bello il tuo volo, allora — dissi.

— Come un miracolo!

— Domani entreremo nella città.

— No, no, Vedetta, subito! Stanotte! — esclamò eccitata. — È così vicina! … Guarda!

— Dobbiamo riposare, prima — dissi io. — Per non arrivare stanchi.

— Riposeremo là — replicò Avluela. — Suvvia, riponi i bagagli! Hai già fatto la tua Vigilanza, no?

— Sì, sì.

— E allora andiamo. A Roum! A Roum!

Guardai Gormon con aria supplice. La notte era già scesa: sarebbe stata ora di accamparci e di concederci alcune ore di sonno.

Una volta tanto, Gormon si schierò dalla mia parte. — La Vedetta ha ragione — disse ad Avluela. — Dobbiamo riposare. Entreremo in città all’alba.

Avluela mise il broncio. Sembrava più bambina che mai. Le sue ali si afflosciarono e il suo corpo acerbo si curvò. Chiuse le ali, riducendole a due piccole protuberanze grosse come un pugno, e raccolse gli indumenti sparsi sul terreno. Si rivestì mentre noi preparavamo il campo. Distribuii delle tavolette di cibo, poi ci infilammo nei nostri ricettacoli. Io caddi in un sonno inquieto e sognai Avluela che si stagliava contro la luna decrepita, e Gormon che le volava accanto. Due ore prima dell’alba, mi alzai e compii la prima Vigilanza del nuovo giorno, mentre loro dormivano ancora. Poi li svegliai, e ci avviammo verso la favolosa città imperiale: verso Roum.

2

La luce del mattino era limpida e cruda, come in un mondo giovane, appena creato. La strada era pressoché deserta: la gente non viaggiava volentieri, di quei tempi, a meno che non fosse, come me, nomade di professione. Di quando in quando, ci facevamo da parte per lasciare il passo al cocchio di qualche membro della Corporazione dei Padroni, trainato da una dozzina di neutri inespressivi e aggiogati in fila. Ne passarono quattro, di quei veicoli, nelle prime due ore della giornata, ciascuno accuratamente chiuso e sigillato per nascondere gli altezzosi lineamenti del Padrone allo sguardo della gente comune. Incontrammo anche diversi carri coperti, carichi di prodotti; parecchi velivoli passarono sopra la nostra testa. Tuttavia, avevamo quasi sempre la strada per noi.

Nei dintorni di Roum abbondavano le vestigia dell’antichità: colonne solitarie, i resti di un acquedotto che non trasportava più nulla, da nessuna sorgente a nessun utente, il pronao di un tempio distrutto. Quella era la Roum più antica; ma c’erano anche reliquie di Cicli più recenti; capanne di contadini, cupole di pozzi d’energia e strutture di torri residenziali. Più raramente ci imbattevamo nello scafo bruciacchiato di qualche antico veicolo aereo. Gormon esaminava ogni cosa, e, di tanto in tanto, raccoglieva qualche oggetto. Avluela fissava tutto a occhi spalancati, e non diceva niente. Continuammo a camminare finché le mura della città apparvero alla nostra vista.

Erano di una pietra color azzurro cupo, lucida come porcellana, e si alzavano a un’altezza di circa otto uomini. La nostra strada le attraversava passando sotto un arco i cui cancelli erano spalancati. Mentre ci avvicinavamo a questi, ci venne incontro un uomo incappucciato e mascherato, straordinariamente alto, che indossava il costume scuro caratteristico della Corporazione dei Pellegrini. Non ci si rivolge a una persona simile di propria iniziativa, ma le si presta attenzione soltanto se fa cenno di voler parlare. Il Pellegrino fece un cenno.

— Da dove venite? — domandò attraverso la griglia della maschera.

— Dal sud. Sono vissuto in Agupt per un po’, poi ho attraversato il Ponte di Terra e sono entrato in Talya — risposi.

— Dove siete diretto?

— A Roum. E intendo restarci un poco.

— Come va la Vigilanza?

— Come al solito.

— Avete un luogo dove alloggiare, a Roum? — domandò il Pellegrino.

Io scossi la testa. — Ci affidiamo alla misericordia della Volontà.

— La Volontà non è sempre misericordiosa — disse l’altro, assorto. — E non c’è gran bisogno di Vedette, a Roum. Perché viaggiate con un’Alata?

— Per la compagnia. E perché è giovane e ha bisogno di protezione.

— E l’altro chi è?

— È senza Corporazione: un Diverso.

— Questo lo avevo già capito da solo. Ma perché sta con voi?

— Lui è forte e io son vecchio; perciò viaggiamo insieme. Dove siete diretto, Pellegrino?

— A Jorslem. C’è forse un’altra meta, per uno della mia Corporazione?

Annuii, alzando le spalle.

— Perché non venite a Jorslem con me? — chiese il Pellegrino.

— La mia strada ora volge a nord, e Jorslem è a sud, vicino all’Agupt.

— Siete stato in Agupt e non a Jorslem? — chiese meravigliato.

— Sì. Per me non era ancora giunto il momento di vederla.

— Veniteci ora. Cammineremo insieme, Vedetta. E parleremo del tempo antico e di quello futuro. Io vi assisterò nella Vigilanza, e voi mi assisterete nelle mie comunioni con la Volontà. Siete d’accordo?

La tentazione era forte. Davanti ai miei occhi passò in un lampo la visione di Jorslem, la Dorata, con i suoi edifici sacri e i suoi santuari, il suo luogo di rinnovamento dove i vecchi ringiovaniscono, le sue guglie, i suoi tabernacoli. Benché fossi ligio al dovere, in quel momento desiderai di abbandonare Roum e di seguire il Pellegrino.

— E i miei compagni? — dissi.

— Lasciateli. Io non posso viaggiare con i senza Corporazione e non mi va la compagnia di una femmina. Io e voi soltanto, Vedetta, andremo a Jorslem insieme.

Avluela, che era rimasta in disparte, col viso rabbuiato, durante tutto il colloquio, mi lanciò uno sguardo pieno di terrore.

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