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Robert Silverberg: Ali della notte

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Robert Silverberg Ali della notte

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In una Terra del lontano futuro una spaventosa catastrofe ecologica ha provocato lo sprofondamento delle Americhe e la decadenza della potenza terrestre nello spazio. La società del Terzo Ciclo si è strutturata in corporazioni feudali ed attende l’arrivo degli invasori, gli alieni che hanno salvato l’umanità dall’estinzione e che verranno a reclamare il possesso del pianeta. Quando l’invasione arriva le misere forze della Terra vengono sconfitte, e gli invasori occupano con facilità quello che considerano un loro dominio. L’affascinante vicenda si svolge in tre città, Roum (Roma), Perris (Parigi) e Jorslem (Gerusalemme), seguendo le avventure e gli incontri di Tomis, una Vedetta il cui lavoro, proiettare la mente negli spazi per avvertire dell’arrivo degli invasori, diventerà senza senso dopo l’invasione. La rottura dell’equilibrio della società feudale porterà gli uomini a stabilire nuovi rapporti umani e ad incrementare i loro poteri mentali, sino ad arrivare a dominare gli invasori, che non verranno combattuti con le armi ma con l’amore e la fratellanza, contribuendo a formare una società di impensabile ricchezza. Un romanzo leggibile su più livelli e pieno di idee, un premio Hugo più che meritato.

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Avevo appena oltrepassato la soglia per entrare nella prima fase della Vigilanza, quando una voce risuonò alle mie spalle: — Olà, Vedetta, come va?

Mi piegai contro il carrello. Si prova una pena fisica a essere strappati così bruscamente al proprio lavoro. Per un attimo, mi sentii il cuore come dilaniato da invisibili artigli. La mia faccia divenne di fiamma; gli occhi non riuscivano a mettere a fuoco gli oggetti; la saliva mi si asciugò in gola. Appena possibile, presi misure protettive per ridurre quel salasso metabolico e mi staccai dagli strumenti. Cercando di nascondere il tremito, mi voltai. Gormon, il terzo componente della nostra piccola comitiva, era tornato e se ne stava sfrontatamente accanto a me. Rideva, divertito dal mio sgomento, ma non potevo infuriarmi contro di lui. Non si può mostrarsi incolleriti verso una persona senza Corporazione, qualunque sia la sua colpa.

A denti stretti, con grande sforzo, dissi: — Avete speso bene il vostro tempo?

— Benissimo. Dov’è Avluela?

Indicai il cielo. Gormon annuì.

— Che cosa avete scoperto? — gli domandai.

— Che questa città è senz’altro Roum.

— Non c’è mai stato dubbio che lo fosse.

— Per me, sì. Ma ora ho le prove.

— Davvero?

— Nella mia ipertasca. Guardate.

Dalle pieghe della tunica estrasse l’ipertasca, e, posatala sul terreno accanto a me, ne sciolse l’estremità e ci infilò una mano. Brontolando, cominciò a trarne fuori qualcosa di pesante, di pietra bianca: una lunga colonnina di marmo, scanalata, butterata dal tempo.

— Viene da un tempio di Roum imperiale! — disse trionfante.

— Non dovevate prenderla.

— Aspettate! — gridò lui. E infilò di nuovo la mano nell’ipertasca. Ne tolse una manciata di placche di metallo, circolari, e le sparse tintinnanti ai miei piedi. — Monete! Denaro! Guardate, Vedetta. La faccia dei Cesari!

— Di chi?

— Di antichi governanti. Non conoscete la storia dei Cicli passati?

Lo guardai incuriosito. — Dite di non appartenere a nessuna Corporazione, Gormon. Non sarete mica un Ricordatore che cerca di nascondermi la sua identità?

— Guardatemi bene in faccia, Vedetta. Potrei appartenere a una qualsiasi Corporazione? Potrebbe, un Diverso?

— È vero — dissi osservando la sua pelle spessa e dorata, gli occhi dalle pupille rosse, la bocca tagliuzzata. Gormon era stato svezzato con farmaci teratogeni. Era un mostro, bello, nel suo genere, ma sempre un mostro: un Diverso, escluso dalle leggi e dalle abitudini dell’uomo nel Terzo Ciclo di civiltà. E non esiste una Corporazione di Diversi.

— C’è dell’altro — disse Gormon. Le ipertasche hanno una capacità inesauribile: all’occorrenza, un mondo intero avrebbe trovato posto nella sua sacca grinzosa, color grigio gabbiano, senza alterarne le modeste dimensioni. Gormon ne tolse pezzi di macchinari, bobine di lettura, un oggetto angolare di metallo bruno, che doveva essere un utensile antico, tre quadrati di vetro scintillante, cinque strisce di carta, sì, proprio di carta!, e una moltitudine di altre reliquie del passato. — Vedete? Passeggiata fruttuosa, no? — disse. — E non un bottino raccolto a caso. Ogni pezzo è registrato, etichettato: strato, età presumibile, posizione in situ. Qui ci sono diecimila anni di Roum.

— Ma potevate appropriarvi di queste cose? — domandai, dubbioso.

— E perché no? Chi ne sentirà la mancanza? Chi si preoccupa ancora del passato in questo ciclo?

— I Ricordatori.

— Non hanno bisogno di oggetti solidi, per svolgere il loro lavoro.

— Ma perché vi interessano tanto queste cose?

— Il passato mi interessa, Vedetta. Anche se non appartengo a nessuna Corporazione, ho degli interessi culturali. Secondo voi, un mostro non può amare il sapere?

— Certo, certo. Cercate quello che vi pare. Realizzate voi stesso a modo vostro! Questa è Roum. All’alba entreremo; spero di trovare un impiego, là dentro.

— Non sarà facile.

— E perché?

— Ci sono molte Vedette, a Roum. Non c’è bisogno della vostra opera.

— Chiederò aiuto al Principe di Roum — dissi.

— Il Principe di Roum è un uomo duro, freddo e crudele.

— Come fate a saperlo?

Gormon si strinse nelle spalle. — Lo so. — Poi cominciò a riporre il bottino nell’ipertasca. — Tentate pure con lui, Vedetta. Che altra possibilità avete?

— Nessuna — dissi. Gormon rise, ma io no.

Si occupò solo più del suo bottino rubacchiato all’antichità. Mi aveva notevolmente depresso, con le sue parole. Sembrava così sicuro di sé, in un mondo gravido d’incertezza, quel tipo senza Corporazione, quel mostro mutato, quell’uomo dall’aspetto disumano… Come poteva essere così freddo, indifferente? Viveva senza preoccuparsi del pericolo incombente e si pigliava gioco di chi ammetteva di avere paura. Viaggiava con noi da dieci giorni, ormai, da quando lo avevamo incontrato nell’antica città ai piedi del vulcano, a sud, presso la riva del mare. Non ero stato io a proporgli di unirsi a noi. Si era invitato da solo; e, alla preghiera di Avluela, avevo accettato. Le strade sono scure e fredde in questa stagione, e infestate da ogni specie di bestie feroci; è naturale che un vecchio e una ragazza, soli, siano disposti ad accettare la compagnia di un tipo nerboruto come Gormon. Però, in certi momenti avrei preferito che non fosse mai venuto con noi, e quello era appunto uno di quei momenti.

Tornai lentamente verso la mia attrezzatura.

Lui, fingendo di accorgersene soltanto allora, disse: — Ho interrotto la vostra Vigilanza, Vedetta?

— Sì — risposi mitemente.

— Scusatemi. E ricominciate. Vi lascerò in pace. — E mi scoccò un sorriso così affascinante, con quella sua bocca asimmetrica, che dimenticai l’arroganza delle sue parole.

Toccai le manopole, stabilii i vari contatti, controllai i quadranti. Ma non entrai nello stato di Vigilanza piena, perché sentivo la presenza di Gormon e temevo che mi strappasse di nuovo alla concentrazione in un momento delicato, nonostante la sua promessa. Infine, distolsi gli occhi dagli apparecchi. Gormon stava ritto in fondo alla strada, il collo teso nello sforzo di avvistare Avluela. Nello stesso istante in cui mi voltai, si accorse di me.

— Qualcosa che non va, Vedetta?

— No. Ma non è il momento propizio per il mio lavoro. Aspetterò.

— Ditemi — domandò lui — quando i nemici della Terra verranno per davvero dalle stelle, le vostre macchine ve lo faranno sapere?

— Spero di sì.

— E allora?

— Avvertirò i Difensori.

— E poi, la vostra missione sarà terminata? Non avrete più niente da fare?

— Forse.

— Ma, allora, perché creare un’intera Corporazione di Vedette e non un centro principale, dove si tenga la Vigilanza? Perché un gruppo di Vedette nomadi che vagano senza sosta da un luogo all’altro?

— Più sono i vettori della ricerca, più probabilità esistono che ci si accorga in tempo dell’invasione.

— Ma in questo modo potrebbe succedere che una singola Vedetta, isolata dalle altre, metta in funzione le sue macchine e non trovi niente, mentre invece l’invasore potrebbe già essere sbarcato…

— Potrebbe succedere; per questo, a ogni turno di Vigilanza, le Vedette sono più di una.

— Secondo me, siete esagerati — rise Gormon. — Credete davvero nella possibilità di un’invasione?

— Ci credo — dissi. — Altrimenti la mia vita sarebbe sprecata.

— E perché gli abitanti delle stelle dovrebbero impossessarsi della Terra? Cosa abbiamo, oltre i resti di antichi imperi? Che se ne farebbero di questa miserabile Roum? Di Perris? Di Jorslem? Città in rovina! Principi idioti! Andiamo, Vedetta, dovete riconoscerlo: l’invasione è un mito, e voi compite gesti senza senso quattro volte al giorno! Non è così?

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