John Sladek - Il sistema riproduttivo

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Il sistema riproduttivo: краткое содержание, описание и аннотация

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Classico romanzo d’automazione, ma anche di indiavolato divertimento,
ha considerato John Sladek fra i grandi della fantascienza e la sua pubblicazione in questa collana non poteva mancare. Molte volte la SF si è occupata di macchine, ma mai con il vigore e l’astuzia di questo grande libro: infatti, che cosa accadrebbe se un giorno venisse inventata la macchina capace di figliare? Un interrogativo che quando il romanzo fu scritto sembrava del tutto utopico e futuribile, ma che oggi, in tempi di robot industriali, ha assunto un nuovo, sinistro colorito senza perdere nulla dell’originario divertimento. Se le macchine di tutto il mondo trovassero davvero il sistema di riprodursi da sole, qualcuno, sulla Terra, sarebbe di troppo…

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«La Vortex è molte cose per molta gente. Vediamo qui un’acciaieria diretta dai computer prodotti dalla Sezione Apparecchiature della Vortex. E qui,» disse l’annunciatore, e Susie si interessò maggiormente alla scena, poiché rappresentava una sala operatoria, «qui vediamo il dottor Toto Smilax che esegue un intervento chirurgico a cuore aperto… con un bisturi prodotto dalla Sezione Coltelleria della Vortex.

« Vortex !» esclamò concludendo l’annunciatore. «Prima in guerra e prima in pace… e prima nell’arrivare al cuore dei suoi compatrioti.»

Ricomparve il giornalista. «Altoona, Nevada,» disse. «Fino ad oggi, una delle tante cittadine del West. Adesso… chissà! Forse la vita continua come al solito ad Altoona… a quanto ne sappiamo. Ma da questa mattina presto c’è stata una totale censura sulle notizie, imposta dagli sforzi congiunti dell’FBI, della CIA, e della National Security Agency. Ci è stato impossibile stabilire un qualunque contatto con la cittadina.

«Che cos’è accaduto? In tutta sincerità, non lo sappiamo. Potrebbe trattarsi, come insinuano alcuni, di un’invasione russa, o addirittura d’una invasione extraterrestre. Altre fonti più responsabili ritengono che si tratti invece di una specie d’esperimento, e almeno una fonte solitamente attendibile ipotizza che potrebbe essere un’arma segreta sfuggita al controllo. Noi non lo sappiamo. » Ogni volta che ripeteva questa frase, il viso del giornalista sembrava un po’ più raggrinzito, un po’ più vicino alle lacrime. Per altri quindici minuti disse a Susie tutte le altre cose che non si sapevano. Poi l’annunciatore, con quella sua voce accattivante, che faceva scorrere caldi, piacevoli fremiti nel pancino di Susie, ritornò per presentare il missile Hermes-Aphrodite a due stadi. La pubblicità era così stupida, pensò Susie, riprendendo gli esercizi di respirazione.

Guardò l’orologio Lifetime e notò che si stava facendo molto tardi. Doveva sbrigarsi a prepararsi per uscire con Ron. E aveva avuto intenzione di studiare per la prova di Chimica Organica in programma per lunedì mattina. Era sabato sera e lei non aveva neanche aperto il libro!

In fretta, Susie fece una doccia con Nice , il sapone attivo ventiquattro ore su ventiquattro, che liquida gli odori che agli altri saponi sfuggono, e si passò addosso abbondantemente lo SHUR, per essere proprio sicura di averli eliminati tutti. Dopo essersi cosparsa di talco Lady Clinge , si infilò nella guaina-mutandina Modaform sei volte elastica, la guaina mutandina che r-e-s-p-i-r-a, poi mise il reggiseno Sportivo Modaform , e cominciò a darsi il profumo Classique , il profumo che fa di ogni donna un’imperatrice, di ogni uomo uno schiavo.

Dopo aver indossato il maglione nero e la gonna nera, Susie sedette alla toeletta per farsi la faccia. Dopo aver coperto le lentiggini dorate con il fondotinta blanc , si incipriò con la cipria Kown di Rubella Gorne. E si diede, sulla bocca perfetta, un rossetto bianco che si chiamava Eraser.

Per gli occhi, Susie scelse il solito assortimento di ombretti di Nora Hart, soprattutto ostrica e verde colibrì, ma sfumati con tocchi di borgogna e bronzo. Poi, dopo essersi spazzolati i capelli ed averli spruzzati abbondantemente di Airnet , non le restò altro che scegliere i gioielli.

Su un vassoio di velluto, nel cofanetto di Susie, erano appuntati il distintivo ΔKE di Bob, il distintivo di Giovane Repubblicano di Len, e il distintivo del Vietnam di Jim. Le sue dita passarono su questi, senza fermarsi neppure su Vivi allegro ! della Pepsi Cola, Dai, Marmotte! o Vinci con Dewey! ma arrivarono in fondo alla fila e scelsero il Mandala della Pace che le aveva regalato Ron. Mentre se lo stava appuntando, sua madre comparve sulla porta.

«C’è quell’orribile Ron,» bisbigliò la madre, teatralmente. «Oh, mi rincresce tanto che non mi vada a genio, cara, ma è così… così sfuggente. E porta sempre vestiti vecchi. E adesso… adesso si fa addirittura crescere la barba ! Ugh!»

Reprimendo a stento la sua repulsione a quel pensiero, Susie disse: «Ma vedi, mamma, è uno dei ragazzi più ricchi di tutta Santa Filomena. Ci terrai, spero, che io abbia un bell’avvenire?»

«Non lo so. Proprio non lo so.» Il viso abbronzato di Madge si incise di rughe di preoccupazione. «Ho sposato tuo padre perché aveva un brillante avvenire nella compagnia d’assicurazione. E guardami un po’ adesso!»

Susie guardò sua madre e vide un’attraente donna di mezza età che sembrava uscita dalle pagine di Lady Fair , al quale Madge del resto era abbonata: capelli scuri striati d’argento, una snella figura da ragazzina; l’unica cosa che tradiva l’età erano le lievi rughe del volto. Susie si augurò fervidamente di poter avere anche lei quell’aspetto, a trentacinque anni.

Madge continuò: «Mi rendo conto che non dovrei cercare di dirti come devi vivere, dopo lo sbaglio che ho commesso io. Tutte le volte che penso a quel mascalzone di tuo padre, e a come si diverte laggiù con quelle sue ragazze dell’harem… neanche una cartolina in più di tre mesi! Bene, oggi sono stata dall’avvocato, e gli intento causa di divorzio. Se lui vuole divertirsi, posso farlo anch’io! Finché il gatto non c’è, i topi ballano!»

Madge aveva l’aria di aver bevuto. Si avvicinò a passi incerti allo specchio e si esaminò gli occhi, tirando di qua e di lì la pelle delle palpebre. Quasi non si accorse che Susie aveva infilato gli stivali di feltro bianco, le aveva dato un bacio di saluto e aveva detto: «Così si fa, mammina! Piglialo a calci nel… nel sedere! Ciao!»

Presso il campus dell’University of California, a Santa Filomena, c’era una strada che ostentava quattro caffè ben frequentati, ma nessuno era popolare quanto The Blue Tit, il Capezzolo Azzurro o la Cinciallegra Azzurra, a seconda di come si preferiva interpretarlo. Per evitare fastidi con le autorità universitarie, il padrone del caffè, Kevin Mackintosh, aveva dipinto sull’insegna una bella cincia azzurra. Come avveniva in tutte le serate festive, una folla s’era riversata nel Blue Tit per ascoltare musica folk e poesia; ma quella sera era una folla cupa e depressa. Molti, come Susie e Ron, erano arrivati in motocicletta sotto l’acquerugiola, e la sala era piena di vapore e dell’odore acido della lana bagnata.

Su di un podio in fondo alla stretta sala, un poeta stava leggendo a voce alta un foglio che teneva molto vicino alla faccia. Quando lui si girò per mettersi meglio nella luce, Susie riconobbe Kevin Mackintosh.

« Tempopoesia numero quattordici ,» lesse.

«Johnson nell’Omaha: sonori ticchetti dall’interno dell’orologio.
Deve esserci sempre una vittima
Nel passo freddo segreto
Nessun altro motivo che il patriottismo
e il puro disgusto.
Ritorna al lavoro, senza stivali.
Qui ricerca uno spirito esplosivo.»

«Cribbio!» esclamò Susie. «Gli esplosivi mi fanno venire in mente che avrei dovuto studiare per la prova di Chimica Organica di lunedì.»

«Ssst,» disse Ron. «Dopo domani non ci sarà più un altro giorno.»

«Non so neanche la nomenclatura di Ginevra, niente di niente.»

Ron sorrise. Kevin Mackintosh la guardò incredulo. «La nomenclatura di Ginevra è finita,» disse. «E anche la Convenzione di Ginevra. E anche Ginevra.»

«È la fine del mondo,» spiegò Ron.

«È vero,» disse qualcun altro. «La tromba del giudizio ha già squillato.»

«Cosa vorreste dire?» chiese Susie, con un lieve sorriso. «Non ho mica capito.»

«È la fine di tutto, pupa,» disse Ron. «Come dicono alla radio. Non hai sentito i notiziari?»

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