«Eureka!» gridò e, com’era sua abitudine, tradusse senza che ce ne fosse bisogno: «Ho trovato!» Balzò gioiosamente in piedi e batté con violenza la testa contro il tavolato del marciapiedi sotto il quale si era nascosto. Che altro mangiano le cassette metalliche? si chiese, mentre la coscienza lo abbandonava. Cosa mangerei, se fossi una cassetta metallica? Di certo, non il direttore di un giornale…
Si svegliò in un momento imprecisato del pomeriggio e si accorse che la cosa non era più vicina a lui. Tastò con la lingua e scoprì che le otturazioni erano sparite. E la sua cintura non funzionava più. Non c’era più la fibbia. Questo confermava che non aveva sognato. Cribbio! Era sparita persino la spirale metallica del suo block-notes; persino il piombo della sua matita. Adesso vedeva il titolo a caratteri di scatola:
LO GNOMO METALLICO DIVORA DENTI E FIBBIE
Furba come una volpe, la scatola ha un appetito da capra.
Magari con un disegno della cosa che masticava un barattolo di latta. Barthemo era certo che sarebbe stato sensazionale.
Le voci che raccolse nel passare per Park Avenue erano più che semplici voci. Dischi volanti, migliaia di mostri dall’alito di fuoco, secondo le testimonianze di cittadini rispettabili. Magnifico , pensò lui. Poi diventerà un telepate grande come una casa. Mostrò i denti non più otturati ai propalatori di quelle dicerie. Barthemo Beele si considerava un fedele servitore della verità, nemico dell’immaginazione.
Oh, è come se mi avesse letto nella mente! pensò, fissando casa Ruytek. Il Poltergeist non infestava più l’edificio… era diventato l’edificio. Il grigio castello decaduto aveva preso vita: si inclinava e oscillava in una specie di goffa danza. La mente di Beele rifiutò di funzionare… se non per maledire la perdita della cinepresa. Sarebbe stato un filmato da un milione di dollari, e poteva capitare solo lì nel West, dove i mostri erano mostri.
L’edificio malandato fremeva e si squassava oscenamente… Beele pensò al cadavere putrefatto d’una vedova che ballasse il twist… E poi si protese verso l’alto, come se si alzasse in punta di piedi. Le torri smisero di afflosciarsi e torreggiarono davvero, mentre i chiodi si svellevano stridendo dalle assi, le travi erose dalla muffa si sgretolavano, e da ogni crepa saliva ribollendo la polvere di un secolo.
La vecchia casa fu scossa da un ultimo brivido, scrollandosi di dosso ornamenti e pezzi di finestre come se fossero gocce d’acqua, ondeggiò, si inclinò assurdamente su un angolo e…
Scomparve. Andò a pezzi così bruscamente e completamente che sembrò il trucco di un illusionista. In un istante, l’edificio solido si trasformò in un mucchio appiattito di legname. Un branco saltellante di lucide cassette metalliche irruppe dalle macerie e si aggirò intorno, senza meta, come per orientarsi. Poi le cassette si separarono e schizzarono via in direzioni diverse, ma con fare molto deciso. Il direttore dell’ Altoona Truth notò un particolare comune a quella schiera di mostri: sembravano rivestiti di reticelle per lampade a gas, appicciccate chissà come.
I MOSTRI MARZIANI
Saccheggiano un magazzino e indossano reticelle per lampade a gas
Beele seguì una delle cassette su per Park Avenue, fino all’angolo di Broadway, dove si soffermò davanti all’idrante antincendio.
I CANI PROTESTERANNO
Ma la cassetta stava circondando l’idrante. Si aprì e si richiuse racchiudendolo. Un attimo dopo, dal gruppo uscì un piccolo geyser. Beele vide una specie di rozza ruota da mulino, foggiata come una girandola per bambini, girare al centro del getto. Dal gruppo si staccò una piccola scatola che subito schizzò via. Parte della sua superficie, notò Beele, era di ghisa verniciata di rosso.
L’INVASORE SPOSA L’IDRANTE
Può durare questo matrimonio?
In lontananza la torre dell’acquedotto, una gigantesca palla da golf in bilico sul suo tee , cominciò a inclinarsi. La guardò deformarsi e crollare sotto un brulicare di sagome grige.
ADDIO, ACQUEDOTTO MIO
Beele pensò di riempire semplicemente il titolo di punti interrogativi, ma nella cassa dei caratteri non ce n’erano abbastanza. Non ce n’erano abbastanza neppure per tutte le domande che intendeva rivolgere ai suoi lettori.
Tornò sui suoi passi e si avviò verso l’ufficio. Fu per puro caso che sbirciò dall’uscio del negozio di ferramenta degli Smilax (dopotutto, anche quello aveva le finestre fracassate, come tutti gli altri edifici dell’isolato) ma ciò che vide lo indusse ad arrestarsi.
O meno, ciò che non vide. Il negozio era completamente vuoto, saccheggiato, ripulito. Trovò il proprietario, Milo Smilax, che piangeva sdraiato sul pavimento del retro. Naturalmente, la montatura metallica dei suoi occhiali era scomparsa. Balbettò qualcosa a proposito di certe lavatrici. Milo, che non era mai stato troppo coerente anche nelle sue giornate migliori, piagnucolava:
«Sono spacciato, mi hanno rovinato! Quelle stramaledette lavatrici mi hanno rovinato, hanno mangiato tutto, hanno mangiato i fucili. Aiuto mamma quelle mascalzone. Hanno mangiato il carbone e correvano dappertutto come granchi hanno mangiato le seghe e le viti e i coltelli e le canne da pesca e…»
Il dottor Trivian avrebbe detto, se fosse stato lì, che gli scaffali erano «esausti». In pratica, restavano soltanto i cataloghi delle sementi, i cartellini dei prezzi, e un cartello pubblicitario molto malridotto. Milo lo fissò, mentre continuava a blaterare a vanvera. «VI SERVONO OTTIMI UTENSILI?» Le pupille delle due O di SERVONO fissavano l’occhio guercio di OTTIMI. «MIRATE I NOSTRI MIRINI!»
«È la fine! Rovinato! Chiodi, seghe, catene, tutto sparito…»
«La fine? Su su! Non è questo il modo di parlare, Milo! Ammetto che sul momento la situazione sembra molto brutta, ma non abbiamo ancora il quadro generale, vero? Voglio dire, dobbiamo combattere questi cosi, non starcene qui a piangere. Dobbiamo…»
Ma Milo non lo ascoltava: ricadde lungo disteso e riprese a piagnucolare. «Chiodi, viti, bulloni, seghe, chiavi, martelli, tenaglie, asce, lime, fucili, coltelli, ami, doppiette, pistole, accette, coltelli, bombe, pugnali, morte…»
«Su, su,» disse Beele, sgusciando fuori dalla porta. «Si faccia coraggio. Sono sicuro che stanno per arrivare i rinforzi.»
Il problema, rifletté, era interessante. Nessuno sapeva con che nome chiamare gli invasori. Lui avrebbe potuto inventarne uno, aggiungere un neologismo al dizionario. Per esempio, UNCROB (Unidentified Creeping o Crawling Objects: Oggetti Striscianti Non Identificati).
Archiviò mentalmente quel nome insieme al pezzo su Milo.
ATTACCO SFERRATO ALLA FERRAMENTA
Le avide macchine divorano chiodi e scalpelli
Davanti a lui, una bambinetta piangeva seduta sul marciapiedi. Un cagnaccio cattivo, gli disse, l’aveva morsicata al popò. E poi aveva perso la sua bimba, cioè la sua bambola radiocomandata a sette transistor: gliel’aveva portata via un gigante grande e grosso. Beele le disse di non piangere, perché era sicuro che stavano per arrivare i rinforzi.
Allungò il passo per tornare in ufficio. Sarebbe stata la più grande notizia mai pubblicata da un giornale:
LE SCATOLE CHE DIVORARONO ALTOONA
Persino le borchie dei blue jeans d’una bambina!
Incontrò una specie di macchina da scrivere. Era rotta e sformata, ma Beele poté ancora leggere il nome, L.C. Smith sulla piastra posteriore. Beele bestemmiò e si mise a correre. Una cassa di caratteri, che adesso era diventata qualcosa d’altro, uscì ondeggiando dal suo ufficio, lo costrinse a spostarsi sulla porta, e si avviò maestosamente lungo la strada.
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