John Sladek - Il sistema riproduttivo

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Il sistema riproduttivo: краткое содержание, описание и аннотация

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Classico romanzo d’automazione, ma anche di indiavolato divertimento,
ha considerato John Sladek fra i grandi della fantascienza e la sua pubblicazione in questa collana non poteva mancare. Molte volte la SF si è occupata di macchine, ma mai con il vigore e l’astuzia di questo grande libro: infatti, che cosa accadrebbe se un giorno venisse inventata la macchina capace di figliare? Un interrogativo che quando il romanzo fu scritto sembrava del tutto utopico e futuribile, ma che oggi, in tempi di robot industriali, ha assunto un nuovo, sinistro colorito senza perdere nulla dell’originario divertimento. Se le macchine di tutto il mondo trovassero davvero il sistema di riprodursi da sole, qualcuno, sulla Terra, sarebbe di troppo…

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«Caspita!» disse lui. «Che buio, qui dentro! Gettiamo un po’ di luce sull’argomento.

«Caspita!» ripeté, guardandola in piena luce. «Sei splendida, Madge.» Si tolse il cappello alla tirolese e la baciò.

Mentre si svestiva, con ordine ed efficienza, Jim parlò delle prossime elezioni studentesche, nelle quali la sua Lega degli Studenti Ultraconservatori, da poco fondata, sperava di vincere alcuni seggi.

«Siamo giovani e dinamici, anche se inesperti,» disse, ripiegando meticolosamente le calze e appendendole alla spalliera della sedia. «I più anziani dovranno spostarsi per farci spazio.»

Madge si spostò e gli fece spazio in letto.

La stessa notte, Woody era seduto nell’ufficio dello spedizioniere, e fissava con occhi vitrei il modulo della Denuncia di Smarrimento. Per ore ed ore si era sentito incapace di cominciare quello strano rapporto… sebbene rivedesse chiaramente tutto nei minimi particolari.

Quando aveva fermato il suo trenino, quel pomeriggio, gli altri del personale erano balzati a terra, a correre verso l’ufficio dello spedizioniere, dove c’era sempre la birra. La corsa Altoona-Las Vegas si fermava sempre lì a Double Flats per via della birra, specialmente nelle giornate afose. Ufficialmente, era ovvio, si fermavano per ritirare gli ordini.

«Dov’è la birra?» chiese allegramente Fats, il frenatore.

«Non sono mica il vostro schiavo!» urlò lo spedizioniere, che non parlava mai in altro tono. «Sapete bene dove la tengo. Voialtri non sapete neanche cos’è il lavoro. Voi non sapete quanto siete fortunati, a starvene sempre fuori all’aria pura. Vorrei essere anch’io in servizio di linea, lo giuro!» Sputò in un angoletto buio e sudicio, dove forse c’era una sputacchiera. Woody e gli altri aprirono le lattine di birra e si sistemarono su varie sedie scricchiolanti qua e là nella stanza marrone scuro. Non erano affatto ansiosi di tornare nel caldo e nella polvere del deserto, anche se avevano quella fortuna.

La vita del ferroviere era una novità meravigliosa per Woody, sebbene ostentasse di odiarla come parevano fare tutti gli altri. Stava già apprendendo il gergo ferroviario, e le differenze tra i vari tipi di carri merci, ma aveva ancora parecchio da imparare. Una cosa che non finiva mai di stupirlo era che non aveva bisogno di sterzare per guidare la locomotiva. Sembrava quasi che si guidasse da sola, inspiegabilmente, anche nelle curve più brusche. Le ferrovie, doveva ammetterlo, erano un’invenzione meravigliosa.

La Nevada Southern era l’unica ferrovia in cui erano ancora in servizio le locomotive a vapore. Woody non avrebbe mai voluto guidare un locomotore diesel o elettrico. Lui amava il calore e il sibilo del vapore.

«È giusto,» disse, unendosi alla conversazione. «Bisogna essere matti a mettersi nelle ferrovie.» Gli altri approvarono.

«Io ne vengo fuori presto,» disse Fats. «Ho un fratello che lavora nei mangimi. Andrò con lui. I mangimi, ecco quello che serve per far danaro.»

«Io lodo,» disse solennemente Woody, «il vincolo fratricida.» La birra l’aveva rinfrescato, lo faceva sentire lucido. Prima, ad Altoona, aveva avuto un’allucinazione, senza dubbio a causa del caldo. Era stato un classico sogno gratificante: una donna che aveva conosciuto un tempo, in un altro stato, era salita sul treno ad Altoona, così gli era parso. Lui si era anche sbracciato per salutare l’allucinazione, ma poiché si trattava appunto di un’allucinazione, lei non aveva ricambiato il saluto.

Finì la birra, si rimise i guanti e si avviò verso la porta. E si fermò.

Mac, il fuochista, era fermo sul marciapiedi, completamente stordito. Fats e il conduttore stavano avviandosi a balzi sui binari, verso il treno.

Il treno si stava muovendo. Si muoveva e accelerava, a tutto vapore.

Ma non poteva andare a tutto vapore. A bordo della locomotiva non c’era nessuno, né per dare vapore né per alimentare la caldaia. A tutti i fini pratici, la locomotiva era vuota.

Rombando e sferragliando, scivolando, la locomotiva, il tender del carbone e l’unico vagone passeggeri si allontanavano. La donna dell’allucinazione pareva essere ancora in carrozza.

Fats si fermò sbuffando. Il conduttore cercò di abbrancarsi al respingente di coda del vagone, mancò la presa e cadde. Rotolò via, sano e salvo, sfiorato appena dalle ruote.

Un miraggio? Ipnosi collettiva?

Woody intinse il pennino d’acciaio nell’inchiostro e scarabocchiò sul modulo.

«NOME: Elwood Trivian, Ph. D. TITOLO: Macchinista. OGGETTO SMARRITO: Un treno. DESCRIVERE LE CIRCOSTANZE: Apparentemente il treno è stato rubato da una…» Cancellò «una» e scrisse: «da quella che sembrava una cassetta di latta grigia.»

Capitolo Nono

Coincidenza

«Gli uomini che arrischiano tutto lo fanno nella speranza di un equo guadagno.»

SHAKESPEARE

Il giovanotto in fondo al banco del bar non indossava abiti Western. Se non avesse avuto niente addosso, non sarebbe stato altrettanto vistoso, almeno in The El Cantina Bar di Goodtime, Nevada. L’ El , come lo chiamavano i clienti abituali, era il ritrovo degli sgargiantissimi ospiti di tre ranch di lusso. C’erano le donne ovoidali e infelici del Merry Widow Rancho (in attesa di divorzio); gli uomini ovoidali e infelici del Triple-Tumplebug Ranch (in attesa di divorzio); e i vecchi queruli e sonnolenti, senza un particolare sesso, del Golden Sunset Retirement Ranch (in attesa di morire). Tra i loro colori orchidea, turchese e rossovioletto, tutte le sfumature di un tramonto dipinto, l’abito grigio e gualcito e il camice biancosporco da laboratorio di Cal spiccavano come gli escrementi di un uccello.

A furia di chiedere passaggi verso la California, era arrivato fin lì prima che il sole, la sabbia, il vento, l’asfalto lucido e il fumo dei camion lo avessero costretto a rifugiarsi al coperto.

«Un altro?» chiese il barista, alzando la bottiglia. Il suo nome, ricamato a lettere viola sul taschino della camicia color corniola, era Slim. Il cliente senza etichetta annuì solennemente.

«Ne prendo un altro. E se ne versi un altro anche per lei, Slim.»

«Oh, grazie, Carl. Alla sua.»

«Mi chiamo Cal. Senta, Slim, mi dica, chi sono tutti quei vecchi vicino al muro?»

Slim gli spiegò cos’erano i «ranch per pensionati.» «Vengono qui di tanto in tanto per divertirsi un po’, con i loro accompagnatori.» Indicò un gruppo di uomini e di donne, giovani e dall’aria annoiata, al centro del banco del bar: portavano tutti cappelli neri da cowboy e camicie di seta ocra. Sul dorso di ogni camicia era ricamato un sole che tramontava, o che sorgeva, irradiando raggi neri. I nomi degli accompagnatori erano ricamati in nero all’altezza del cuore.

«Un’altra cosa. Come mai, qui dentro, sembra fatto tutto di ruote da carro e di barili? I tavoli e i lampadari e… Da dove vengono tutte quelle ruote da carro?»

Slim si spostò lungo il banco, sorridendo, per andare a servire due donne di mezza età.

«Oh, Slim, che bestia !» strillò la donna magra dalla camicia nera e lavanda. «Sono ore che aspettiamo!»

La sua amica, piccola e rotondetta vestita di fiammante arancione, disse che Slim era un cattivo ragazzo, e aggiunse che non sapeva se voleva un Daiquiri ghiacciato o no da un ragazzo così cattivo. Non era proprio cattivo? chiese alla sua compagna.

Sullo schermo del televisore a colori apparve una sfilata nel Texas: schiere di cow-girl vestite d’azzurro cielo, con gli stivaletti bianchi che si muovevano come pistoni in passi sincroni e scalcianti. Gli uomini che venivano dal Triple Tumblebug si inumidirono le labbra e cominciarono a ridacchiare.

Cal bevve ancora. Entrarono due forestieri dalla carnagione olivastra. Il più piccolo era alto come Cal, il più grosso era un gigante. Portavano abiti in stile Palm Beach, con le spalle imbottite e cappelli di panama dalla tesa stretta. I loro occhi, comunque, sembravano in ombra. Cal li avrebbe scambiati per poliziotti, se non avesse visto che bevevano, e per giunta whiskey tolto dallo scaffale più alto. C’era qualcosa di familiare, nell’uomo più grosso…

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