«Questa è la nostra festa della fine del mondo,» annunciò Kevin. «Portate chi volete.»
Qualcuno ridacchiò, ma il poeta non sorrideva.
«Per favore, qualcuno vuol dirmi cos’è questa storia?» chiese Susie. Pensava e pensava, ma non riusciva a ricordare cosa aveva sentito al telegiornale delle sei.
«Quella cosa ad Altoona, Nevada,» spiegò Ron, «è un missile russo, oppure l’Orrore da un Altro Mondo, oppure uno dei nostri incubi urlanti. Se è un missile dei russi, rappresaglia nostra. Poi rappresaglia loro. Eccetera, fine.
«Se è una cosa venuta dallo spazio, perché il governo insabbia tutto? Perché è qualcosa di veramente orribile, come un essere che ha inghiottito tutta la città, oppure dei mostri atomici che lanciano raggi X dappertutto. Qualcosa che noi non possiamo fermare, che finirà per vincere.
«Se è una delle nostre armi sfuggita al controllo, cosa può essere? Qualche bomba? Non è probabile, altrimenti le altre nazioni starebbero già facendo un chiasso d’inferno. Molto più probabilmente una malattia atroce… diciamo un cancro contagioso universale.»
Nella sala, tutti tacevano. Si rannicchiavano l’uno contro l’altro, nella semioscurità, attendendo la fulminea luce accecante che li illuminasse e li trasfigurasse nell’istante finale. Le azioni e le parole più importanti non avevano senso, le più banali erano cariche di significato, quasi elevate alla dignità di sacramento.
Susie si sentì venire le lacrime agli occhi. Le sembrava così ingiusto. Lei aveva diciassette anni ed era ancora vergine, e adesso era troppo tardi. Desiderava soprattutto rinunciare alla sua inutile, piccola virtù, ora che veniva la fine di Tutto, ma in un certo senso era un sacrificio troppo piccolo: e poi c’era sempre la possibilità che il mondo non finisse, e allora come avrebbe fatto a spiegarlo a Madge? All’improvviso, furiosamente, Susie provò un sentimento d’odio per la Fine del Mondo! Avrebbe voluto strapparle gli occhi!
«Ma… ma… credo che dovremmo uscire a protestare!» dichiarò alzandosi. Gli altri la fissarono, senza capire cosa intendeva dire. «Non hanno il diritto di farci una cosa simile! Non hanno il diritto di toglierci in questo modo il mondo, quei porci egoisti!»
Uno dei giovani esplose all’improvviso in una risata acuta. «E cosa credi che dovremo fare?» chiese, beffardo. «Scrivere ai nostri deputati al Congresso?»
«No,» disse Susie, seria seria. «Ma non credo che risolveremo niente a starcene qui seduti a piangere, santo cielo! Dobbiamo uscire… e protestare! Dovremmo marciare su quell’Alt… quel posto, insomma, e dire chiaro e tondo cosa ne pensiamo di loro!» Pestò sul pavimento lo stivaletto bianco. «Oppure lasceremo che ci portino via tutto ?»
La sala era tutta un frastuono. Alcuni l’incitavano a continuare, altri riflettevano sulle sue parole. L’atteggiamento sprezzante di Susie era magnifico. Qualcuno cercò invano di far notare che la protesta contro l’inevitabile era inutile.
«Be’, certo che è inutile!» scattò Susie. «Non sono tanto scema da non capirlo! Ma è ancora più inutile starcene qui seduti… a bollire, no?»
«Credo che abbia ragione lei,» fece Ron, sogghignando. «Perché diavolo non andiamo laggiù a protestare? Sono soltanto dieci ore di macchina.»
«Protestare contro cosa?» chiese Kevin. «Contro la fine del mondo?»
«Sicuro, perché no?» fece Ron. «Come nell’ Attacco degli Uomini-Fungo : tutti protestavano contro gli esperimenti pericolosi, giusto? Come in Goz , dove facevano dimostrazioni contro l’impotenza dell’esercito, vi ricordate? E nel Giorno che la Terra prese freddo… »
«Va bene, va bene, ma per che cosa stiamo protestando?» chiese Kevin. «Se posso essere così stupido.»
«Per esempio, contro l’isolamento di una città americana ad opera della CIA, e contro la violazione della libertà di parola! Venite, prepariamo un po’ di cartelli, e cerchiamo qualcuno che abbia la macchina per portarci.»
Kevin si arrese. «Lasceremo che sia la tua ragazza a dirigere lo spettacolo,» propose. «L’idea è stata sua. Ma non avrei mai pensato che avrei passato le ultime ore della mia vita a dipingere cartelli di protesta.»
«O a farti arrestare,» aggiunse Ron. «Agli amici questa storia non piacerà.»
«Se vedo un poliziotto,» disse il poeta, «ricordatevi che ho un affare urgente da sbrigare a Tangeri. Non me la sento di andare molto in là con questo scherzo.»
Forse era uno scherzo per lui e per molti dei presenti, che si comportavano secondo una parodia consapevole o inconsapevole di vecchi film: «Ehi, gente,» disse qualcuno, «facciamo una colletta per le uniformi?» «Ho capito tutto! Combiniamo una roba da fine del mondo!» Ma per Susie significava diventare, per un momento, una Giovanna d’Arco. Quando lasciarono il caffè, lei era in prima fila, e camminava decisa pestando gli stivaletti bianchi, in testa al corteo.
Certamente Madge non si era mai preoccupata meno che in quel momento della vulnerabilità dell’innocenza di sua figlia, dopo averla appena sentita insistere sulla parola «sedere» e averla vista arrossire nel pronunciarla. Com’era innocente, Susie, e come era stata invece smaliziata lei, a quell’età!
Madge sentiva appena il rombo morente della Harley di Ron, era appena consapevole della propria mano che accarezzava i distintivi sul vassoio di velluto nel cofanetto di Susie. Madge vedeva se stessa, diciotto anni prima, mentre andava al Webster Beach Club insieme al giovane e bell’agente delle assicurazioni.
Da giovane, Suggs somigliava moltissimo a uno degli amici di Susie, Jim Porteus, pensò. Strano che Susie non l’avesse mai notato. Era un ragazzo così simpatico, così serio, con quegli occhiali dalla solenne montatura nera, così energico, così ansioso di mettere a fuoco il mondo. Madge accarezzò il distintivo giallo che aveva regalato a Susie: «NESSUN CEDIMENTO — SCONFIGGIAMO I VIETCONG!»
Jim valeva già parecchio danaro per conto suo, oltre ad essere figlio di un eminente ginecologo, e presidente della sezione californiana dell’Associazione dei Giovani Americani per la Difesa dell’Iniziativa Privata.
Quando Jim era serio, era serio davvero. Madge ricordava tutti i particolari della prima conversazione che aveva avuto con lui:
«Ha intenzione di studiare medicina anche lei, Mr. Porteus?»
«No, no. Mrs. Suggs.» Si era tolto gli occhiali, sbalordendola con i piani aspri della sua faccia. «No, purtroppo la professione medica è lettera morta, di questi tempi. Nonostante tutti i nostri sforzi per impedirlo, sta per imporsi la medicina socializzata… che ridurrà i medici alla fame.
«No, ho tenuto l’orecchio ben teso quando ho scelto un corso di amministrazione aziendale. L’analisi di mercato sembra molto promettente… molto promettente, glielo assicuro. Gli analisti qualificati sono pochi: è un campo poco affollato, dove un giovane energico e attivo può rapidamente farsi largo. Oppure potrei optare per diritto aziendale, soprattutto per proteggere le industrie neonate dalle rapine dell’aquila federale… o per qualche altro campo affine. Immagino che l’ideale sia la via di mezzo. Forse diventerò un modesto dirigente, una rotella sconosciuta ma importante nella macchina direzionale… un lavoro in cui la ricompensa non consiste nel semplice arricchimento, ma nella piena adesione a un uso discrezionale del potere. Io distribuisco lavoro e ricompense, o punizioni, ai miei subordinati, mentre ricevo la mia giusta porzione dai miei superiori: un anello vitale nella Grande Catena di Comando!»
Sotto molti aspetti, rifletté Madge, ripensando a quella conversazione, Jim sembrava più vecchio di suo marito.
Madge guardò l’ora, sconvolta. Per cinque minuti fu in piena attività, fece il bagno, si profumò, si pettinò, si avvolse in un diafano pigiama di un misterioso grigio nebbia, un attimo prima che suonasse il campanello. Si affrettò ad appuntarsi il distintivo giallo e corse ad accogliere Jim.
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