«Un altro, Carl?» Slim gliene versò un altro, prelevò un adeguato quantitativo di moneta dal mucchietto che Cal aveva davanti e aggiunse un altro scontrino alla pila bene ordinata. Un aumento… o era una diminuzione di entropia… oppure era entalpia? Cal cercò di ricordare il dottor Trivian e la Valutazione della Termodinamica, ma i suoi pensieri correvano in ellissi…
Guardo i vecchi lungo la parete, che sonnecchiavano sopra il cribbage o le tabelle del Monopoli e le birre. Di tanto in tanto, qualcuno si svegliava leggermente, diceva qualcosa di stizzito, e poi si riappisolava senza aspettare la risposta.
Il più alto dei due nuovi arrivati, aveva voltato la schiena, ma il più basso si era materializzato a fianco di Cal. «Mi scusi, signore,» disse timidamente. «Il mio amico e io abbiamo fatto una scommessa. Io dico che lei è un medico, e lui sostiene che guida un camion frigorifero pieno di carne. Le dispiacerebbe dirmi chi ha ragione?»
Cal sorrise con modestia perversa. «Per la verità, sono un biofisico. Quindi mi sembra che ci sia andato più vicino lei.»
«Molto interessante.» Lo sconosciuto si esplorò un orecchio con il grosso indice. «Immagino che ne sappia parecchio di matematica, eh?»
«Bingo!» strillò un vecchio di sesso imprecisato, che sedeva davanti a una tavola da cribbage.
Con una certa riluttanza, Cal ammise di avere una vaga conoscenza del Calcolo.
«Capisco. Be’, la ringrazio di avermi fatto vincere la scommessa.» Lo sconosciuto si allontanò, prima che Cal potesse chiedergli come si chiamava il suo compagno più alto. Gli venne in mente «Tennessee», e anche un paio di scarpe da tennis. Per il momento, Cal optò per Dennis Shoe.
Poi si accorse che tutto questo lo stava gridando quando Slim si girò verso di lui e gli sorrise. «Ruggisca un po’ più piano, Carl, vecchio amico.»
«Hai barato!» squittì qualcuno lungo la parete. «Da dove viene fuori quell’albergo, eh? Dimmelo un po’!»
«Bada a come parli,» rispose una voce tremante. «Io ho Via dei Giardini e Parco della Vittoria, e per Dio, devi pagarmi l’affitto!»
«Per favore,» disse una vecchia dalla camicia scarlatta. «Andy può tirare di nuovo, no?»
Si rovesciò un bicchiere di birra. «Ecco, guarda cosa mi hai fatto fare! Tutte le carte degli Imprevisti rovinate!»
«Te lo faccio vedere io chi è che bara!» strillò un vecchietto dall’alto sombrero bianco e dalla camicia di un rosa carico. Il suo gozzo andava convulsamente in su e in giù, sopra il fazzolettone da collo verde. «Tieni!» Balzò in piedi e strappò via la coperta dalle ginocchia dell’avversario, facendo cadere alcune schede. «Ahah!» gridò. «Colto sul fatto, eh? Ecco qui che fine avevano fatto tutte le stazioni, eh?»
Il colpevole, un uomo che sembrava un pappagallo arancione e blu, raccolse un segnalino squadrato di legno rosso e glielo tirò contro. «Prenditi il tuo albergo e vai all’inferno!» ululò. Arraffò la tabella e la rovesciò, spazzando via alberghi, case, dadi e segnalini. «Hai barato anche tu !»
«…tirare di nuovo, no, Edna?»
«Barato! Ah! Imbroglione!»
«Te lo dò io il baro, per Dio!» strillò l’uomo dentro al sombrero. Impugnò un bastone e cominciò a mulinarlo intorno. «Mi avete imbrogliato tutti! Mi avete imbrogliato tutti!»
Al banco del bar ci fu un certo movimento nel gruppo degli accompagnatori. Un giovanotto si girò sullo sgabello. Sopra il taschino, Cal gli lesse il nome. «Dott. Michaels.» Attraversò la sala in tre balzi e strappò il bastone dalla mano del vecchio.
«Andiamo, Toby. Andiamo Toby, è solo un gioco,» disse.
Il vecchio roteò gli occhi e piagnucolò: «Mi state imbrogliando tutti!»
Il dottore estrasse dalla fondina la pistola nera dal calcio di madreperla, appoggiò la canna sul braccio di Toby e premette il grilletto.
I due sconosciuti dalla carnagione olivastra s’infilarono la mano dentro la giacca.
Toby si rilassò visibilmente, e il suo borbottio si affievolì. Il dottor Michaels tirò indietro la pistola. Cal vide che era di plastica nera. Poteva sembrare un giocattolo, se non fosse stato per quelle due dita di ago lucente che sporgevano dalla canna. Il dottore fece rientrare l’ago e infilò l’arma nella fondina.
«Scusate il fastidio,» disse, sogghignando alla folla in generale. I due forestieri estrassero le mani dalle giacche e risero scioccamente. Il dottor Michaels e un altro accompagnatore calarono il vecchio privo di sensi in una sedia a rotelle. Cal vide che anche quella aveva ruote da carro.
«E lei cosa sarebbe?» disse a Cal una donna vestita di violaceo. «Il dottorino di campagna? A cosa serve quel camice bianco?»
«In Giappone,» cercò di dire lui, «il bianco è il colore del lutto.»
«In Sapone,» disse invece, «il banco è l’odore di prosciutto.»
Le labbra imporporate della donna sorseggiarono il cocktail. Con evidente soddisfazione, lei disse: «Non mi racconti frottole! Lei non è mica un dottore! È solo un facchino del mercato delle carni. Perché non se ne torna alle sue zampe di porco?»
Cal scosse il capo, poi si guardò i piedi, cercando di capire cosa avesse inteso dire la donna. «Perché non…»
«Che schifo!» urlò quella, spruzzando in giro saliva. «Che schifo! Tutto eguale a mio marito! Cribbio, era un vero mascalzone! Si sporcava le camicie apposta! Veniva a casa con le scarpe sudicie e girava per tutte le stanze. Buttava quella lurida cenere in tutti i portacenere di casa. Be’, ne ho avuto abbastanza di quel porco e ne ho abbastanza anche di lei!»
Il cocktail della donna era gelido e schiumoso di panna. L’impatto costrinse Cal a indietreggiare alla cieca di qualche passo. Rimbalzò contro un tavolo e cadde. Dall’alto, delle facce lo guardarono, rosse e arrabbiate. Quattro o cinque voci blaterarono tutte insieme, quello lì le dava fastidio, signora? quel giovanotto ubriaco dovrebbe essere sotto le armi, mica a far finta d’essere un dottore. Un numero imprecisato di mani rimise in piedi Cal.
«È quasi ora che se ne vada, Carl, vecchio amico,» borbottò Slim, girandolo verso la porta.
«Mi chiamo Cal ,» implorò lui. «Le farebbe piacere se io la chiamassi Scim , eh?»
«Ah, la mettiamo così, allora?» Slim pestò un pugno sulla testa di Cal e l’afferrò per la collottola: l’altra mano si infilò dietro la cintura. «L’avevo capito che avrebbe creato guai, nel momento che è entrato.»
La porta volò verso di loro.
Cal sfrecciò attraverso la porta, rimbalzò a quattro zampe, e poi rotolò e si fermò contro un muro di mattoni.
Il vicolo era inondato dal chiaro di luna. Cal rimase sdraiato per un po’, cercando di orientarsi. Vide un certo numero di bidoni della spazzatura, un manifesto che annunciava una Quadriglia delle Sedie a Rotelle dal Golden Sunset Ranch, e un suo piede privo di scarpa.
Si alzò a fatica e si aggirò zoppicando fino a quando trovò la scarpa perduta. Quando ebbe finito di vomitarci dentro, se la infilò.
Camminare su due gambe era difficile, perciò Cal avanzò a quattro zampe verso l’ingresso del vicolo. I due sconosciuti vestiti secondo lo stile di Palm Beach lo stavano aspettando. Senza una parola, lo raccattarono e lo scaraventarono sui sedili posteriori di una macchina. Benché fosse troppo buio per vederci bene, Cal era sicuro che si trattava di una Cadillac berlina, nera. L’uomo più basso salì accanto a lui, mentre l’altro si infilava al volante. Ricordava decisamente a Cal qualcuno dei suoi compagni di scuola di due settimane prima. Ma chi? Non Barthemo Beele. E neanche Mary Junes…
«Dove andiamo?» chiese, sforzandosi di tirarsi su a sedere. Lo sconosciuto lo respinse sul sedile e sfoderò una pistola.
«Per la verità, signore, l’abbiamo rapita. Il Professore ci ha dato ordine di sequestrare un matematico.»
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