Kim Robinson - La Costa dei Barbari

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2047: l’America soffre le conseguenze di un attacco nucleare portato a termine in maniera insospettabile da esecutori di nazioni diverse. Da quasi sessant’anni la più grande potenza mondiale è regredita a un’economia di pura sussistenza, e le comunità vivono un’esistenza separata, ristretta ognuna ai propri confini. Lo stato subisce una quarantena mantenuta con ferrea disciplina dalle squadre di sorveglianza militare giapponese e avallata dalle Nazioni Unite.
È in questo scenario apocalittico che si svolge la vicenda di Henry Fletcher, un giovane della comunità californiana di San Onofre, che per il suo sostentamento dipende interamente dalla pesca e dai raduni di baratto che si svolgono periodicamente nella valle. Dopo l’arrivo di alcuni viaggiatori di San Diego che hanno osato sfidare la vigilanza dei guardiani giapponesi. Henry viene gradualmente a conoscenza del nuovo mondo e delle sue insidie. La sua guida spirituale è Tom, l’uomo più anziano della valle, sopravvissuto alla catastrofe tristemente nota come II Giorno.
La scoperta di un mondo da cui gli americani vengono ingiustamente esclusi, il contatto con gli “stranieri” che vivono a pochi chilometri di distanza, le testimonianze di chi è riuscito a sfuggire alla prigionia in patria trascinano il giovane in un’avventura che segna la fine dell’adolescenza e la transizione verso la maturità, a cui si accompagna la speranza della redenzione per il popolo americano.

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«Sei a posto» le dissi. Avevo visto Tom Barnard, dall’altra parte del viale. «Vado a vedere cosa combina Tom. Tu intanto comincia a trattare.»

«Bene. Farò la parte della povera innocente, finché non torni.»

«Buona fortuna.» Ma non sembrava poi tanto innocente, era questa la verità. M’avvicinai a Tom, che discuteva animatamente con un mercante di utensili. Quando mi fermai accanto a lui, mi posò la mano sulla spalla e continuò a parlare.

«… rifiuti industriali, legno fradicio, corpi d’animali, a volte…»

«Cagate» disse il venditore d’utensili. («Anche quelle» si intromise il vecchio.) «Lo facevano dalla canna da zucchero e dalla barbabietola, c’è scritto sulla scatola. E lo zucchero resta buono per sempre ed è dolce come il tuo miele.»

«Non esistono canne da zucchero e barbabietole» disse Tom, sprezzante. «Hai mai visto piante del genere? Le hanno inventate gli zuccherifici. E intanto ricavavano lo zucchero dai residui delle fogne e lo si paga con orribili malattie e deformità. Ma il miele! Il miele tiene lontano il raffreddore e tutte le malattie dei polmoni, libera dalla gotta e dall’alito cattivo, è dieci volte più gustoso dello zucchero, ti aiuta a vivere quanto me, è nuovo e naturale, non robaccia sintetica vecchia di sessant’anni. Tieni, assaggia un po’ di questo, prendine una ditata, ha entusiasmato tutto il raduno, e poi non c’è obbligo, in una ditata.»

L’uomo degli utensili tuffò due dita nel vasetto che il vecchio gli porgeva e leccò il miele.

«Sì, il sapore è buono…»

«Certo che è buono! Ora, un solo maledetto accendino… e tu ne hai migliaia, nell’Orange County… non è certo esagerato per due, dico duuueee, barattoli di questo miele delizioso. Soprattutto…» Tom si batté la mano contro la tempia, come se si fosse dimenticato. «Soprattutto perché ti restano anche i barattoli di vetro.»

«Anche i barattoli, dici.»

«Sì. Sono generoso, lo so, ma noi di Onofre siamo fatti così, daremmo via anche i calzoni, se alla gente non importasse vederci girare con il culo al vento. E poi, sono un vecchio rimbambito…»

«D’accordo, d’accordo! Chiudi pure il becco: affare fatto. Dammi i due barattoli.»

«Eccoli qui, giovanotto. Arriverai alla mia età, se mangerai questo magico elisir, lo giuro.»

«Non ci tengo, se non ti spiace» disse lo sciacallo, con una risata. «Ma il sapore è buono.» Prese l’accendino, di plastica trasparente con cappuccio metallico, e lo diede al vecchio.

«Arrivederci, allora» disse Tom, intascando rapidamente l’accendino e tirandomi via. Si fermò sotto l’albero seguente. «Hai visto, Henry? Hai visto? Un accendino per due vasetti di miele. Non è stato un affare? Ecco, guarda. Ci avresti mai creduto? Guarda.» Estrasse l’accendino, lo tenne davanti a me, premette il pollice. Lo tenne acceso per un secondo, poi lo spense.

«Grazioso» dissi. «Ma hai già un accendino.»

Accostò il viso rugoso al mio. «Procurateli sempre, quando ne trovi, Henry. Sempre. Sono la cosa più preziosa che gli sciacalli hanno da barattare. La più grande invenzione della tecnologia americana, non c’è dubbio.» Frugò nello zaino. «To’, bevi un goccio.» Mi tese una piccola bottiglia di liquido ambrato.

«Sei già passato dalla zona dei liquori?»

Sogghignò, mettendo in mostra gli spazi vuoti fra i denti. «Il primo posto dove sono andato, naturalmente. Bevi un sorso. Scotch di cent’anni. Ottimo davvero.»

Ne mandai giù un sorso, quasi soffocai.

«Prendine un altro, adesso: il primo apre solo la porta. Senti il calore che ti scende dentro?» Lo sentivo. «Roba buona.»

Bevemmo a turno. Indicai Melissa, che sembrava concludere ben poco con la donna dei barili. «Ahh!» disse Tom, con una sbirciata maliziosa. «Peccato che non sappia mercanteggiare come un uomo.»

«Senti, mi presti un vasetto di miele? Ti ricambierò lavorando agli alveari.»

«Be’, non so…»

«Su, andiamo, cosa vuoi scambiare ancora per oggi?»

«Un mucchio di roba» protestò lui.

«Hai già la cosa più importante che gli sciacalli possiedono, no?»

«Oh, va bene. Ti darò quello piccolo. Bevi un altro goccio, prima di andartene.»

Tornai da Melissa. Mi sentivo bruciare lo stomaco, girare la testa. Melissa diceva lentamente, come se fosse già la quarta volta: «Li abbiamo tirati via dall’acqua ancora vivi, stamattina. Facciamo sempre così, è risaputo. Tutti hanno mangiato i nostri granchi e mai nessuno è stato male. La carne dura una settimana, tenendola al fresco. La più saporita che ci sia, e se l’hai mai provata lo sai.»

«Già fatto» disse la donna, brusca. «Mi spiace, i granchi vanno bene, ma non ce ne sono abbastanza da far cambiare la situazione. Queste mezze botti sono difficili da trovare. A te durerà per sempre, mentre io avrò qualche boccone di granchio per una settimana.»

«Ma se non le baratti, dovrai riportarle a nord» intervenni, in tono amichevole. «Spingerle su per le montagne, stare attenta che non rotolino dall’altra parte… ti faremmo un favore a prenderne una gratis… non che ne abbiamo l’intenzione, ovviamente. Ecco… ci mettiamo anche un vasetto di miele di Barnard, oltre a questi granchi squisiti: un vero furto. Per te.» Prima Melissa mi aveva scoccato un’occhiata di fuoco perché m’impicciavo nella trattativa. Ora, speranzosa, sorrideva alla donna. Quest’ultima guardò il vasetto di miele, ma pareva poco convinta.

«Il Registro dice che mezza botte vale dieci dollari» continuai. «E i granchi valgono due dollari l’uno. Ce ne sono sette, per cui sei già in vantaggio di quattro dollari, senza contare il miele.»

«Lo sanno tutti che il Registro è pieno di stronzate» disse la donna.

«Da quando in qua? L’hanno fatto gli sciacalli.»

«No… siete stati voi zappaterra.»

«Chiunque sia stato, lo usano tutti e lo disprezzano solo quando cercano di fregare.»

La donna esitò. «Il Registro dice davvero che i granchi valgono due dollari l’uno?»

«Ma certo» risposi, augurandomi che non ce ne fosse una copia a portata di mano, perché valgono solo un dollaro e cinquanta.

«Bene» disse la donna «mi piace il sapore.»

Mentre facevamo rotolare la mezza botte fino al nostro campo, Melissa scordò la mia mancanza d’educazione. «Oh, Henry» trillò. «Come posso ringraziarti?»

«Ma figurati, non è niente, eh eh.» Fermai la botte per lasciar passare un gruppo di pastori che reggevano sulla testa un enorme tavolo capovolto. Melissa mi abbracciò e mi diede un bel bacio. Rimanemmo lì a guardarci, prima di ricominciare. Aveva le guance arrossate, il corpo caldo contro il mio. Mentre riprendevamo la strada, schioccò le labbra. «Hai bevuto, Henry?»

«Uh… il vecchio Barnard mi ha dato un paio di sorsi, laggiù.»

«Ah, sì?» Girò la testa a guardarsi indietro. «Non direi di no neppure io.»

Tornati al campo, Melissa andò a cercare Kristen, mentre io collaborai a terminare lo scambio del pesce. Steve mi si avvicinò, sigaretta fra le dita; fumammo a turno, sotto i raggi di sole che facevano scintillare la polvere nell’aria del pomeriggio. Subito dopo scoppiò una lite fra un bovaro dei Pendleton e uno sciacallo, ma fu sedata da un gruppo di omacci rudi che avevano il compito di mantenere l’ordine. Questi sceriffi dei raduni non gradivano che la gente ignorasse la loro autorità: chi si azzuffava, finiva sempre per prenderle da loro. Dopo questo episodio, mi appisolai per un paio d’ore, insieme ai cani addormentati.

Rafael mi svegliò, quando venne a portare i rifiuti ai perros. Solo a ovest il cielo era ancora azzurro; le nuvole, in alto, riflettevano un po’ di luce del tramonto. Mi alzai troppo in fretta. Passato lo stordimento, m’avvicinai al nostro fuoco di bivacco, attorno al quale qualcuno mangiava ancora. Sedetti sui talloni accanto a Kathryn, che mi offrì un po’ di stufato. «Dov’è Steve?» chiesi mentre mangiavo.

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